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Il cambio è un sistema indispensabile con i motori a scoppio, che hanno poca coppia (cioè “tiro”) a bassi giri e ne hanno molta solo ai regimi medio-alti. A causa di tale caratteristica, non esiste un rapporto che consenta al veicolo da un lato di partire agevolmente (cioè con sufficiente accelerazione e senza bruciare la frizione) e dall’altro di raggiungere la massima velocità consentita dalla potenza del motore, ma è necessario adottarne almeno due, un rapporto corto per partire e un rapporto lungo per la velocità. Poi in realtà ce ne sono parecchi di più, perché se le nostre moto avessero solo due marce, avremmo una prima rabbiosa e una seconda addormentatissima, come se passassimo direttamente dalla prima alla sesta, e la guida sarebbe decisamente meno piacevole.
Aumentando il numero delle marce, il salto tra una marcia e l’altra diminuisce. In ogni caso, salendo di rapporto, ogni marcia successiva consente una maggior velocità a prezzo di una minor accelerazione.
Gli errori tipici
Si dà spesso per scontato che qualsiasi motociclista sappia cambiare marcia, ma con l’esperienza dei corsi mi sono reso conto che in realtà molti, soprattutto principianti, ma anche gente più navigata, fanno alcuni errori tipici.
Evitare gli alti regimi
È sorprendente quanta gente non abbia mai provato a tirare al massimo le marce della propria moto. Parecchi motociclisti e più di frequente le donne – che di solito non hanno la tipica ossessione maschile di misurare le proprie capacità di guida – decidono che oltre un certo livello di rumore si rischia di rompere tutto e, guarda caso, di solito fissano la propria soglia mentale dalle parti del regime massimo cui guidano la propria automobile, cioè intorno ai 4-5.000 giri. In realtà i motori delle moto girano molto più in alto; tipicamente, un bicilindrico arriva a 7-10.000 giri e comincia a tirare sul serio intorno ai 4-5.000 giri, mentre un quattro cilindri arriva a 9-15.000 giri e offre il meglio di sé non prima dei 6-9.000 giri. Il contagiri di ogni moto ha una linea rossa, che indica il regime massimo ammesso del costruttore. Si può arrivare fino a quella linea senza rompere niente e comunque non è possibile andare oltre, perché un apposito limitatore lo impedisce.
A che serve arrivare alla linea rossa? A parte a divertirsi, saper tirare le marce è fondamentale quando si sorpassa nel senso opposto di marcia, perché limita la permanenza contromano e consente di completare la manovra in spazi nettamente più brevi. Quelli che non sanno tirare le marce, rimangono dietro al bilico a sessanta all’ora per venti chilometri, mentre quelli che lo sanno fare, lo passano non appena hanno 2-300 metri liberi e si godono il resto della Valnerina senza smadonnare.
Scalare una marcia prima di effettuare ogni curva
Percorrere le curve con un rapporto che consenta di accelerare almeno decentemente è una buona idea, perché così si può usare il gas per accelerare in curva, cosa molto utile soprattutto nei tornanti per riacquistare un equilibrio stabile quando per errore si riduce troppo la velocità. Ma questo non significa che si debba cambiare marcia all’inizio e alla fine di ogni curva; nella maggior parte dei casi è molto meglio restare sempre con il rapporto adatto alle curve e lasciare il cervello libero per fare cose più importanti, come ad esempio impostare la traiettoria migliore.
Pensare che la prima serva solo per partire
Parecchi motociclisti, spesso anche di lunga data, affermano con sicurezza che la prima serve esclusivamente per partire e inorridiscono al pensiero che si possa usare in altre circostanze. Ma se devo affrontare un tornante molto stretto in salita ripida, perché diavolo non dovrei? È vero che di solito nella guida in velocità la prima non serve, ma quando arriva il momento in cui serve, va usata eccome!
La regole per l’uso del cambio
Ciò detto, vediamo come usare le marce. Volendo sintetizzare al massimo, si può ridurre tutto a due sole regole.
Si tende a usare la sesta, tranne quando:
si è o si sta per scendere a una velocità tanto bassa, per cui la sesta non è utilizzabile
la salita è tale che il motore in sesta non ce la fa
in discesa in sesta la moto accelera ed è necessario frenare continuamente per mantenere la velocità costante
si vuole più accelerazione di quella disponibile in sesta.
Si cambia solo quando è necessario, cioè quando si verifica qualcuno dei casi sopra indicati e in generale quando la strada impone un cambio di passo.
Vediamo qualche esempio di cose da fare e da non fare in alcuni casi tipici.
Esempio A: la SS5 Quater, variante della Tiburtina tra Carsoli a Tagliacozzo (AQ)
Si tratta di un tracciato misto pianeggiante fatto di curve ad ampio raggio con brevi rettilinei.
1. Guida spedita e scorrevole
In questo caso viaggio in sesta e non cambio mai, perché non si verifica alcuno dei casi elencati nei punti a-b-c-d elencati sopra. In particolare, visto che le curve sono ad ampio raggio, scalare marcia prima di ogni curva e tornare al rapporto superiore ad ogni successivo rettilineo sarebbe una pratica del tutto priva di senso.
2. Guida rilassata sui 60 km/h per godersi il panorama
In questo caso uso una quarta, perché la velocità è troppo bassa per la sesta (punto a), ma resta il fatto che non ho motivo di cambiare marcia.
3. Guida veloce col coltello fra i denti.
In questo caso scelgo probabilmente una quarta – dipende dalle caratteristiche della moto – perché voglio avere una bella accelerazione in uscita da ogni curva (punto d), ma anche stavolta tendo a non cambiare mai. Scalare marcia prima di una curva e cambiare di nuovo lungo il rettilineo successivo avrebbe senso soltanto se questo fosse lungo abbastanza da far superare i giri massimi del motore.
Esempio B: la SS125 Orientale Sarda nelle vicinanze di Campuomu (CA)
Come si vede dall’immagine, si tratta di un misto variabile, che da largo diventa stretto da un certo punto in poi.
1) Guida spedita e scorrevole
Uso la marcia più comoda in base alla velocità permessa dal tracciato. Nel caso particolare illustrato potrebbe essere una quarta o quinta nel tratto A, per poi passare alla terza nel tratto B.
2) Guida rilassata sui 60 km/h per godersi il panorama
Tengo lo stesso comportamento, ma nel tratto A non supero la quarta a causa della velocità troppo bassa (punto a).
3) Guida veloce col coltello fra i denti
Stesso comportamento, ma con marce più basse per una maggiore accelerazione (punto d), tipicamente la terza nel tratto A e la seconda nel B.
Esempio C: la SP44b per Monte Livata (RM)
Questo è un tracciato di montagna con tratti quasi rettilinei relativamente lunghi seguiti da tornanti abbastanza stretti. La pendenza è moderata.
1) Guida spedita e scorrevole
Uso una marcia lunga (quinta o anche sesta) nei tratti scorrevoli, ma scalo tipicamente in seconda ad ogni tornante, dove la velocità scende di parecchio (punto a), per poi tornare alla marcia lunga nel rettilineo successivo.
2) Guida rilassata sui 60 km/h per godersi il panorama
Tengo lo stesso comportamento, ma arrivo fino alla quarta nei rettilinei a causa della velocità troppo bassa (punto a).
3) Guida veloce col coltello fra i denti
Anche in questo caso scalo ad ogni tornante fino in seconda o anche in prima (per esempio su una 600 sportiva a quattro cilindri, molto fiacca ai bassi giri). La marcia superiore dipende dalla lunghezza dei rettilinei, dalla potenza del motore e dalla rapportatura, tipicamente sarà una terza o una quarta, con la sesta sicuramente fuori discussione per la scarsa accelerazione (punto d).
Esempio D: la SS38 tra il Passo dello Stelvio e Trafoi (BZ)
Si tratta di un tracciato di montagna non troppo diverso dal precedente, ma con tornanti più stretti e maggiore pendenza.
1) Guida spedita e scorrevole
Percorro i tratti quasi rettilinei in terza o in quarta, per avere abbastanza potenza in salita (punto b) e abbastanza freno motore in discesa (punto c), e scalo in seconda e spesso in prima nei tornanti (punto a), particolarmente in quelli in salita a destra, per loro natura più ripidi e stretti.
2) Guida rilassata sui 60 km/h per godersi il panorama
Stesso comportamento descritto sopra, ma probabilmente la pendenza renderebbe impossibile tenere la quarta, per cui mi limiterei a una terza.
3) Guida veloce col coltello fra i denti
Stesso comportamento descritto per la guida spedita e scorrevole, il tutto ovviamente a velocità e regimi più alti.
Le traiettorie sono la cosa più importante per una guida sicura e ciò che più differenzia chi sa veramente andare in moto da chi crede di saperlo fare. Infatti, una buona tecnica delle traiettorie consente di aumentare enormemente i propri margini di sicurezza e la propria efficacia, grazie ai seguenti vantaggi.
Tiene lontano dai pericoli: traffico in senso opposto, traffico proveniente dalle traverse, veicoli che ci vogliono sorpassare, sporco al margine esterno delle curve, persone, cose e animali sulla strada.
Consente in curva di piegare di meno a pari velocità – oppure di andare più veloci a parità di piega – rispetto a chi segue traiettorie non ottimali.
Azzera la necessità di manovre correttive inutili, cioè quelle dovute a errori di impostazione.
Consente di gestire con la massima efficacia e sicurezza gli imprevisti del tracciato, come le curve a raggio decrescente e in generale le curve inattese, e quindi consente una guida più sicura, spedita e rilassata sui tracciati sconosciuti.
Di fatto non esiste una traiettoria universale valida in tutte le circostanze, perché anche a parità di tracciato, essa varia in base al tipo di strada, al traffico e alla velocità a cui si viaggia. Non a caso, sia nel mio manuale “L’arte della sicurezza in moto“, sia nel webinar “Capire la moto con Claudio Angeletti“, ho descritto una lunga serie di casi, più che definire le regole generali.
Ovviamente, non potevo essere soddisfatto di questo stato di cose, doveva per forza essere possibile arrivare ai principi generali. Ragionandoci ancora, credo di essere finalmente riuscito a a distillare le regole definitive per costruire qualsiasi traiettoria, che sono l’oggetto di questo articolo.
Regole generali per la posizione da tenere su strada
Prima di parlare di traiettorie in curva, è opportuno chiarire alcune regole fondamentali che devono sempre essere rispettate quando si circola su strada.
A. Come regola generale – e quindi salvo i casi descritti nelle regole che seguono – si viaggia al centro della corsia di marcia più a destra, perché questo ci tiene lontano dai pericoli sui due lati, impedisce a chi è più veloce di sorpassarci nella nostra stessa corsia facendoci il “pelo” e non lo costringe a spostarsi in un’eventuale corsia a destra per sorpassarci.
B. Ci si tiene ad abbondante distanza di sicurezza – anche cambiando corsia, quando possibile – da veicoli in movimento, persone o animali, perché potrebbero spostarsi lateralmente.
Ciò vale a in modo particolare per i veicoli in senso opposto che sconfinano nella nostra corsia o anche solo minacciano di farlo, perché probabilmente sorpasseranno un pedone o un veicolo lento o un qualsiasi ostacolo sulla strada.
C. Ci si tiene a distanza di sicurezza da veicoli parcheggiati, traverse e accessi carrabili, per evitare sportelli aperti all’improvviso e veicoli che superano la linea di margine per consentire ai loro conducenti di vedere se arriva qualcuno – cioè noi.
D. Qualsiasi sorpasso, anche se non si sconfina nel senso di marcia opposto, può essere fatto solo se non si è poco prima o in corrispondenza di un incrocio – anche regolato da semaforo – o di un accesso carrabile frequentato o di un attraversamento pedonale, perché il sorpassato potrebbe spostarsi lateralmente, oppure in mezzo al sorpasso potremmo trovarci davanti un veicolo o un pedone.
Questa regola vale anche prima o in corrispondenza delle stazioni di servizio sulle carreggiate a doppio senso, che sono da considerarsi incroci a tutti gli effetti.
E. Il sorpasso nel senso di marcia opposto può essere fatto solo quando ci sono visibilità e spazio sufficienti e deve essere eseguito nel più breve tempo e spazio possibile, per ovvie ragioni.
F. Se la strada è a doppio senso si tengono comunque le ruote a una distanza dalla mezzeria tale, da evitare di sconfinare anche solo parzialmente nel senso di marcia opposto, anche se abbiamo la visuale libera e non sembra arrivare nessuno, perché in questo modo si costruisce una buona abitudine e non ci si trova mai a disagio quando effettivamente arrivano veicoli in senso inverso.
G. Se la strada è a doppio senso ed è tanto stretta da non consentire l’incrocio agevole tra veicoli, si viaggia il più possibile vicino al margine destro, evitando comunque rigorosamente lo sporco sul margine nelle curve a sinistra.
Regole per le traiettorie in curva su strada
Ferme restando tutte le regole generali elencate sopra, le regole per costruire traiettorie sicure ed efficaci in curva sono le seguenti.
1. All’inizio di ogni curva si imposta una traiettoria tale da avvicinarsi progressivamente e il più possibile al margine interno (nelle curve a sinistra si tiene ovviamente conto della regola generale F), che deve essere raggiunto il più possibile vicino alla fine della curva e comunque deve essere mantenuto fino alla fine di essa.
Questa è LA REGOLA. È essenziale, perché consente:
di trovarsi nella posizione finale migliore per entrare in una curva successiva nella direzione opposta – cioè all’esterno rispetto ad essa;
di trovarsi nella posizione finalemigliore per stringere una curva che inaspettatamente diventa più stretta;
nelle curve a destra, di massimizzare la distanza da eventuali veicoli in senso opposto che tagliano la traiettoria.
Se durante la percorrenza della curva il margine non si avvicina o, peggio, si allontana, si tratta di un errore gravissimo, perché si perdono tutti i vantaggi sopra elencati e quindi si aumenta enormemente il rischio di cadute e collisioni.
2. Se l’andatura è tale da dover rallentare per percorrere la curva e/o la curva è cieca, si può sfruttare la larghezza della propria corsia per allargarsi e iniziare la curva in prossimità del margine esterno.
Questa regola comporta, in aggiunta ai precedenti, i seguenti vantaggi:
aumenta il raggio della traiettoria percorsa e quindi riduce l’angolo di piega a pari velocità o consente una velocità maggiore a parità di angolo di piega;
consente di vedere più lontano nelle curve cieche.
Se però non ci sono necessità dovute a velocità o a visibilità, questa traiettoria non ha molto senso, perché fa soltanto perdere metri senza alcun vantaggio in cambio.
3. Solo se la curva è seguita da un rettilineo o da una successiva curva a destra a breve distanza, è possibile sfruttare la larghezza della corsia per accelerare e allargarsi prima della fine della curva.
Questa regola ammette, se le circostanze lo consentono, un’ulteriore aumento del raggio della traiettoria percorsa e quindi maggiore velocità in uscita di curva. Ma attenzione: allargarsi in uscita deve essere sempre il risultato di una nostra scelta e non una cosa cui siamo costretti perché abbiamo impostato male la traiettoria. Se finiamo larghi senza volerlo, abbiamo violato la regola 1., perciò perdiamo tutti i vantaggi elencati sopra e ci esponiamo a rischi gravi per la sicurezza.
“Harley-Davidson farà una maxienduro”. Quando me lo dissero, pensai a una roba in stile Buell Ulysses, più stramba che efficace. E invece le prime foto mostravano una maxienduro vera, anche se dall’aspetto fuori dal coro. Letta la scheda tecnica, mi colpiscono la potenza del motore, piuttosto elevata, e il peso, allineato alla categoria e quindi straordinariamente basso rispetto alle altre moto di Milwaukee. Penso che finalmente in America hanno iniziato a capire qualcosa di moto, ma nella testa continuo comunque a immaginare un bestione goffo da guidare, con il cambio di legno e le sospensioni troppo morbide, adatto solo alle passeggiate a bassa velocità su strade american style, cioè lisce e dritte.
Leggo e guardo parecchie recensioni della Pan America, che descrivono senza eccezioni una moto moderna e brillante, ma dentro di me una vocina insistente continua a ripetere “certo, rispetto alle solite Harley dev’essere un razzo, ma voglio vedere come si comporta se è messa a confronto con le migliori del segmento”.
Decido quindi di andare a provarla, con l’idea di recensire l’ennesimo trattore agricolo americano di una lunga serie e di dover subire un’altra volta i commenti al vetriolo dei ragazzi del Webchapter. E scopro che mi sbagliavo di grosso: questa moto è una bomba e lo è in assoluto, non solo rispetto alle altre Harley. Mi cospargo il capo di cenere e ammetto la cantonata motociclistica più grande della mia vita.
Tutto questo è avvenuto nonostante le recensioni mi avessero preavvertito. E ora che l’ho provata e ne parlo con entusiasmo agli amici, mi accorgo che anche alcuni di loro mi ascoltano perplessi, cadendo nel mio stesso errore. Beh, esorto tutti gli scettici a vivere personalmente lo shock di andare in una concessionaria Harley-Davidson, l’azienda che ha vissuto nel Giorno della Marmotta per gli ultimi 70 anni, a provare quella che per me è forse la migliore enduro stradale oggi sul mercato. Che per giunta costa 16.300 Euro per la versione base e 18.700 per la Special, quasi una full optional.
Com’è
Aspetto
La Pan America è un oggetto del tutto nuovo per Harley-Davidson, perciò disegnarla non deve essere stato facile. Nel complesso, credo che l’obiettivo sia stato centrato, perché la moto ha una sua spiccata personalità – non pare proprio un clone GS, per intenderci – e riesce ad avere un certo family feeling con gli altri modelli della casa, pur essendone allo stesso tempo lontana anni luce sotto ogni punto di vista.
La parte più personale è senza dubbio quella anteriore, priva del becco che caratterizza buona parte della concorrenza e basato su un originale e grande gruppo ottico rettangolare, inserito in una carenatura squadrata dalla foggia molto personale, il cui profilo anteriore tagliato a fetta di salame verso il basso ricorda un po’ alla lontana lo shark-nose delle Road Glide.
A mio avviso, nera rende meglio, mentre la versione arancione e bianca è meno efficace. Comunque, va vista dal vivo per essere giudicata, le foto non rendono bene l’equilibrio generale del design e la qualità della costruzione, piuttosto elevata.
La moto è offerta in due versioni, base e Special. Quest’ultima è riconoscibile per il grande logo a cavallo di serbatoio e carenatura anteriore al posto delle lettere HD sul serbatoio e perché è dotata dei seguenti accessori di serie, volti ad aumentarne la versatilità nei viaggi e nell’uso in fuoristrada:
sospensioni anteriori e posteriori semi-attive con regolazione automatica del precarico
sistema di monitoraggio della pressione degli pneumatici (TPMS)
cavalletto centrale
pedale del freno posteriore multi-posizione
paramotore tubolare
piastra paramotore in alluminio
faro anteriore adattativo
paramani
manopole riscaldate
ammortizzatore di sterzo
A richiesta solo per la Special sono disponibili anche i seguenti accessori:
sistema automatico di abbassamento dell’altezza (ARH Adaptive Ride Height)
ruote a raggi tubeless
pneumatici tassellati
Motore
Il nuovo motore Revolution Max merita largamente il suo appellativo, perché è completamente diverso da qualsiasi altro motore H-D, incluso il Revolution delle V-Rod, che pure era decisamente più moderno dei tradizionali aste e bilancieri della Casa.
Si tratta di un modernissimo bicilindrico a V raffreddato a liquido con pistoni in alluminio forgiato, distribuzione bialbero a 4 valvole per cilindro, di cui quelle di scarico al sodio per un miglior raffreddamento del motore, e fasatura variabile in aspirazione e scarico controllata elettronicamente.
La V presenta un non comune angolo di 60° – diverso dai 45° dei V-Twin, ma già visto in Harley con la V-Rod – ma l’albero motore presenta due gomiti distanziati di 30°, in modo tale che i pistoni abbiano una fasatura uguale a quella che si avrebbe su un 2V a 90°. Lo smorzamento delle vibrazioni è affidato a due contralberi di equilibratura, di cui uno nel basamento e l’altro nella testata anteriore.
La potenza massima di 152 CV a 8.750 giri e la coppia massima di 128 Nm a 6.750 giri lasciano presagire un carattere decisamente diverso da quello dei soliti motori di Milwaukee. Tanto per fare un confronto, il motore CVO con i suoi strabordanti 1.923 cc, definito sul sito web della Casa come “Il motore V-Twin più potente che H-D abbia mai offerto di serie”, eroga 105 CV a 5.450 giri, con una coppia di 169 Nm a 3500 giri.
Trasmissione
La prima cosa da dire sulla trasmissione è che la Pan America ha abbandonato la tradizionale cinghia che equipaggia da tempo tutte le moto di Milwaukee a favore di una tradizionale catena. La scelta ha ovviamente senso, perché la cinghia non regge l’uso in fuoristrada, dove sporco, sassi e urti ne accorciano drasticamente la vita utile.
Il cambio della Pan America è un moderno sei marce sempre in presa manovrato da una leva di tipo normale, cioè azionabile senza sollevare il piede dalla pedana.
I rapporti sono relativamente corti, spaziati uniformemente e relativamente poco ravvicinati – la prima è pari a circa il 34% della 6a. Di seguito le velocità raggiungibili ai regimi più significativi.
Rapporto
Velocità a 1.000 giri/min
Velocita a 6.750 giri/min (coppia massima)
Velocità a 8.750 giri/min (potenza massima)
1
9,1 km/h
61,7 km/h
80,0 km/h
2
12,4 km/h
83,5 km/h
108,3 km/h
3
16,0 km/h
107,7 km/h
139,7 km/h
4
19,8 km/h
133,6 km/h
173,1 km/h
5
23,6 km/h
159,2 km/h
206,4 km/h
6
27,0 km/h
182,4 km/h
236,4 km/h (teorica)
La velocità massima raggiungibile in 6a è solo teorica non perché la potenza del motore non la consenta (tutt’altro!), ma perché è elettronicamente limitata a 220 km/h (circa 225 km/h indicati), cui corrispondono circa 8.100 giri.
La frizione, azionata a cavo, è antisaltellamento, mentre il quick-shifter non è disponibile neanche a richiesta, nemmeno sulla versione Special. Per me è una mancanza trascurabile, visto che non lo amo particolarmente, ma per alcuni potrebbe essere un difetto importante.
Ciclistica
La ciclistica è costruita intorno al nuovo motore, che funge da elemento stressato e sul quale sono montati tre telaietti in alluminio a sostenere l’avantreno, il serbatoio – pure in alluminio, molto ben fatto – e la sella con i bagagli.
Le principali quote ciclistiche per sono le seguenti:
escursione anteriore 190 mm
escursione posteriore 190 mm
interasse 1.580 mm
avancorsa 108 mm
angolo di inclinazione dello sterzo 25°
Colpisce l’angolo della forcella, piuttosto sportiveggiante e decisamente atipico per una Harley – la V-Rod lo aveva di 34° (con gli steli della forcella a 38°, che Dio li perdoni…) e perfino la sportiveggiante XR1200X si fermava a 29,3°.
L’interasse lungo ha ovviamente suscitato il solito coro di preoccupazioni stile “Mioddìo! Non fa le curve!”. Faccio sommessamente notare che esso supera di un misero 8,3 per mille quello della Ducati Multistrada V4 (1.580 contro 1.567 mm), moto che notoriamente non fa le curve… Il giorno che la gente valuterà i mezzi per come si comportano anziché per le fesserie sentite al bar, quello sarà un bel giorno per il motociclismo e per il mondo in genere.
Le ruote sono in lega a 5 raggi doppi con pneumatici tubeless, nelle misure 120/70 R 19 all’anteriore e 170/60 R 17 al posteriore, su cui sono montati pneumatici Michelin Scorcher Adventure, una gomma prevalentemente stradale espressamente sviluppata per questo modello.
A richiesta sono disponibili cerchi in acciaio a raggi tangenziali con pneumatici tubeless, su cui in alternativa possono essere forniti pneumatici tassellati Michelin Anakee Wild.
All’anteriore è presente una forcella rovesciata Showa con steli da 47 mm completamente regolabile, mentre dietro abbiamo un forcellone bibraccio in alluminio con leveraggio progressivo e monoammortizzatore pure Showa completamente regolabile.
La Special è equipaggiata di serie con un ammortizzatore di sterzo, in bella vista subito sotto il manubrio e non regolabile, e con sospensioni semiattive con cinque diverse regolazioni preimpostate:
Comfort
Balanced
Sport
Off-Road Soft
Off- Road Firm
Ogni regolazione è abbinata a una delle cinque modalità di guida preimpostate e ciascuna di esse può essere adottata nelle modalità personalizzabili.
Le sospensioni semiattive comprendono anche la regolazione automatica del precarico: più peso c’è a bordo, più le sospensioni si comprimono per il peso stesso, più il sistema aumenta il precarico delle molle, in modo da ottenere sempre lo stesso assetto ideale previsto dai progettisti. Il sistema aggiunge precarico in modo tale che la sella si alzi, rispetto alla posizione zero, da un minimo di 1 pollice (2,5 cm) con il solo pilota a un massimo di 2 pollici (5,1 cm) quando con passeggero e bagagli viene raggiunto il peso massimo ammesso.
A richiesta la Special può essere inoltre dotata dell’esclusivo e interessantissimo sistema ARH (Adaptive Ride Height), che riduce automaticamente al minimo il precarico di entrambe le sospensioni quando la moto si ferma. Da quanto detto sopra consegue che esso abbassa l’altezza della sella da un minimo di 2,5 cm (con solo pilota) a un massimo di 5,1 cm (a pieno carico).
Freni
I freni, marchiati Brembo, sono costituiti da due dischi anteriori da 320 mm con pinze radiali monoblocco a 4 pistoncini azionate da una pompa radiale (su una Harley!) pure Brembo, e da un disco posteriore da 280 mm con pinza flottante a un pistoncino.
Il pedale è di tipo moderno, cioè azionabile senza sollevare il piede dalla pedalina. Sulla Special la sua altezza può essere adattata per la guida in fuori strada senza bisogno di attrezzi, semplicemente sbloccando e ruotando di 180 gradi il pedale, che è eccentrico.
Aiuti elettronici alla guida
La Pan America è equipaggiata di serie su entrambe le versioni con un pacchetto di aiuti elettronici a livello della migliore concorrenza, basato su una piattaforma inerziale a sei assi. Di serie sono presenti:
freni antibloccaggio C-ABS con funzione cornering
sistema C-ELB (Cornering Enhanced Electronically Linked Braking), che in caso di frenate brusche in curva con il solo freno anteriore attiva elettricamente anche il freno posteriore nella misura necessaria a massimizzare la precisione della traiettoria
sistema di controllo della trazione C-TCS con funzione cornering, cioè che tiene conto dell’inclinazione della moto, per un intervento più preciso in tutte le condizioni
sistema di controllo del freno motore C-DSCS (Cornering Enhanced Drag-Torque Slip Control System) per evitare lo slittamento della ruota motrice in scalata
sistema anti-arretramento in salita HHC (Hill Hold Control), che con una pressione della leva al manubrio a moto ferma mantiene il freno attivato fino alla partenza
sistema di rilevamento della pressione degli pneumatici TPMS (Tire Pressure Monitoring System)
cinque modalità di guida preimpostate, cui sono abbinate le diverse regolazioni delle sospensioni viste sopra e che influiscono su erogazione della potenza, freno motore, C-ABS e C-TCS:
Sport
Road
Rain
Off Road
Off Road Plus
sulla sola versione Special, tremodalità di guida personalizzabili, di cui due stradali e una dedicata all’off
sulla sola versione base, una modalità di guida stradale personalizzabile.
Il controllo della trazione può essere disinserito, mentre l’ABS è sempre presente, ma prevede una modalità in cui è attivo solo sulla ruota anteriore, per la guida in fuoristrada.
Comandi
Come già detto sopra, i pedali sono di tipo moderno, mentre le leve sono regolabili.
I comandi sono ben fatti e sostanzialmente aderenti allo standard universalmente riconosciuto, quindi diversi da quelli tipici di Milwaukee. In particolare, le frecce sono azionate da un pulsante di tipo tradizionale – un po’ piccolo per i miei gusti – e si spengono da sole, mentre il lampeggio e la commutazione anabbaglianti/abbaglianti avvengono mediante la comoda levetta azionata dall’indice.
I tasti sono abbastanza numerosi su entrambi i blocchetti, ma sono raggruppati con una logica chiara e quindi richiedono poco apprendistato. Lodevole il fatto che tutto ciò che serve veramente durante la guida sia raggiungibile al volo, senza dover entrare in menu e sottomenu come avviene su moto di altre case. Manca comunque la retroilluminazione, del resto assente su buona parte della concorrenza, BMW GS compresa.
A sinistra sono presenti, oltre ai comandi classici per frecce e luci, i comandi per il cruise control, il tasto per le manopole riscaldate, un tasto per commutare tra i contachilometri totale e due parziali, la classica tastiera circolare per la navigazione nei vari menu, affiancata da due tasti per selezionare le diverse schermate e la schermata home.
A destra sono presenti, oltre al kill switch e al tasto di accensione, il tasto per selezionare le diverse la modalità di guida preimpostate, la pulsantiera per la selezione e il controllo dei brani musicali, il tasto per il lampeggio di emergenza e un tasto a bilanciere che serve da un lato a disattivare il controllo di trazione e dall’altro a impartire comandi allo smartphone mediante il riconoscimento vocale, ovviamente attraverso il sistema vivavoce installato nel casco.
Di serie su entrambe le versioni sono presenti l’utilissimo cruise control e il sistema keyless. Questo però non agisce sul bloccasterzo, che deve essere inserito manualmente con una chiave normale mediante un blocchetto dal sapore un po’ antiquato, montato sulla piastra di sterzo in prossimità dello stelo destro. È evidente che gli americani tendono a lasciare la moto aperta.
La sola versione Special è equipaggiata con manopole riscaldabili.
Strumentazione e infotainment
Le Pan America sono dotate di un avanzato schermo TFT da 6,8”, che a moto ferma è attivo in funzione touch e può essere azionato anche con i guanti. Particolare molto interessante, lo schermo può essere inclinato verticalmente.
Attraverso un tasto sul blocchetto sinistro si scorre tra le varie “pagine”, cioè le diverse schermate: impostazioni generali, home, navigazione, musica, stato della moto.
Quando si effettuano scelte e regolazioni durante la navigazione nelle varie schermate, un pittogramma raffigurante la tastiera circolare mostra i tasti che devono essere premuti per ottenere i vari risultati, rendendo molto facile e intuitiva la navigazione.
La schermata impostazioni generali consente di regolare i parametri principali del sistema (tra cui la lingua), di personalizzare le modalità di guida selezionando separatamente ogni singolo parametro (risposta del gas, settaggio delle sospensioni, comportamento dell’ABS ecc.), di modificare l’aspetto della schermata home e di impostare le funzionalità bluetooth.
La visualizzazione home è quella per la guida. Prevede due diverse modalità, semplice e widget, selezionabili nelle impostazioni generali. La vista semplice è molto chiara ed elegante, direi molto Volvo nella sua essenzialità, e comprende un grande contagiri analogico circolare centrale – con linea rossa a 9.000 giri, sconvolgente rispetto ai tradizionali V-Twin, anche se si era già vista sulla V-Rod – che racchiude la velocità in cifre belle grandi, la modalità di guida selezionata, la marcia inserita, il livello della benzina, l’orologio e le spie.
La vista widget mantiene il layout generale, ma aggiungendo intorno al contagiri tutta una serie di altre informazioni, quali il brano musicale in esecuzione, la temperatura liquido di raffreddamento, la temperatura ambiente, il voltaggio dell’impianto elettrico, due contachilometri parziali e l’autonomia residua, il tutto con possibilità di personalizzazione. I widget però sono mostrati con caratteri un po’ troppo piccoli e quindi difficili da leggere se uno non ha la vista perfetta. Inoltre, tra loro non ho trovato alcun indicatore del consumo istantaneo o medio, di solito disponibile sui modelli delle altre case.
La schermata navigazione richiede come di consueto il collegamento a uno smartphone, su cui deve essere installata la app dedicata, disponibile senza costi. La cosa notevole è che in questo caso sul cruscotto è visualizzata direttamente la mappa cartografica, e questo è il motivo per cui non è previsto alcun navigatore GPS tra gli optional.
Nel caso che sia impostata una rotta, questa è comunque mostrata anche nella schermata home, sia semplice che widget, mediante indicazioni grafiche della svolta successiva e orario stimato di arrivo.
La schermata musica consente di accedere a qualsiasi app di gestione dei brani musicali dello smartphone mediante la tastiera posta sul blocchetto destro.
La schermata di stato della moto mostra la pressione delle gomme, la temperatura del motore e il voltaggio dell’impianto elettrico, e consente l’accesso ad una funzione di diagnostica a uso delle officine.
Illuminazione
Entrambi i modelli dispongono di serie di un impianto d’illuminazione full led. Originale il gruppo ottico anteriore, composto da una barra rettangolare che incorpora la luce di posizione che fa da cornice superiore e laterale e i due proiettori principali, e ben fatto quello posteriore.
La versione Special offre di serie anche il sistema di illuminazione adattiva Daymaker Signature, dove l’illuminazione laterale in curva è ottenuta, sia con l’abbagliante che con l’anabbagliante, mediante tre faretti aggiuntivi per lato, inseriti in un secondo gruppo ottico rettangolare più piccolo ubicato al centro della carenatura sotto al parabrezza, che non si accendono e spengono semplicemente, come avviene su altre moto, ma variano di continuo la luminosità, cosa che dovrebbe rendere più progressivo l’ampliamento del fascio luminoso.
La mia prova si è svolta di giorno, quindi non posso testimoniare direttamente della reale efficacia del sistema. Qui però trovate un video che ne mostra il funzionamento. Premesso che questo tipo di sistema non potrà mai generare un fascio luminoso uniforme in curva – perché, a moto inclinata, il faro principale fisso crea una fascia diagonale fortemente illuminata sul lato interno della curva – il sistema Harley sembra in effetti fornire un certo ampliamento del campo visivo.
Posizione di guida
La Pan America ha una posizione di guida un po’ più sportiva che sulla BMW GS e forse anche rispetto alla Ducati Multistrada V4, con sella piuttosto alta, manubrio relativamente basso e avanzato – ma avvicinabile ruotandolo sui supporti – e pedane leggermente arretrate. Immagino che shock debba essere per chi scende – anzi, sale – da una Road King…
La sella standard è ampia, ben imbottita e davvero confortevole ed è regolabile su due posizioni. Come optional sono disponibili una sella alta e una bassa. Inoltre, sulla Special è disponibile il già citato sistema ARH, che abbassa l’altezza da un minimo di 2,5 cm (solo pilota) a un massimo di 5,1 cm (a pieno carico).
I dati di altezza dichiarati presentano varie incoerenze in base alle diverse fonti, perché a volte sono a moto scarica, altre con il pilota a bordo. Inoltre, non è comunicato chiaramente qual è il reale vantaggio del sistema ARH. Combinando correttamente tutti i diversi fattori, risultano le seguenti altezze a moto scarica:
Sella
Altezza standard con sella in posizione alta – bassa
Altezza minima con sella in posizione bassa e sospensione ARH abbassata
sella bassa (optional)
84,3 – 81,8 cm
79,2 cm
sella standard
86,9 – 84,3 cm
81,8 cm
sella alta (optional)
89,4 – 86,9 cm
84,3 cm
Come si vede, la moto di base è un po’ alta, ma il sistema ARH disponibile sulla Special consente un’altezza minima paragonabile a quella possibile sulla BMW R1250GS dotata del kit di sospensioni ribassate, ma mantenendo il baricentro alto e la notevole luce a terra delle sospensioni standard, un plus decisamente interessante. Ciò nonostante, si tratta pur sempre di una maxienduro e come tutte le moto del genere richiede una certa perizia se si è principianti o particolarmente corti di gamba.
Gli specchi hanno un aspetto un po’ troppo semplice, ma sono ben distanziati e consentono una visuale chiara.
Passeggero
Il passeggero siede più in alto del pilota, su una sella separata ampia, ben imbottita e con pedane ben distanziate, e ha a disposizione due grandi e comode maniglie.
Capacità di carico
La Pan America può essere equipaggiata dalla Casa con valigie di plastica, con i classici bauli di alluminio e con borse morbide, per soddisfare qualsiasi tipo di clientela.
Le valigie di plastica hanno un disegno pulito e originale e sono denominate Sport. Le loro serrature sono collegate al sistema keyless. Le laterali si montano agli attacchi previsti di serie, mentre per il topcase è necessario un supporto specifico. Hanno una capacità complessiva di 101 l, di cui 36 nel topcase, 35 nella valigia sinistra e 30 in quella destra.
I bauli di alluminio sono realizzati da SW-Motech. Disponibili sia in colore naturale che neri, richiedono l’installazione di telaietti specifici e si agganciano a questo e si chiudono con una chiave unica dedicata. La loro capacità complessiva è pari a 120 litri, di cui 38 nel topcase, 45 nella valigia sinistra e 37 nella destra.
Le borse morbide, denominate “Adventure”, richiedono per l’installazione gli stessi telaietti previsti per le valigie di alluminio. La loro capacità complessiva è pari a 90 litri, di cui 40 nella borsa posteriore e 25 in ciascuna borsa laterale.
Come va
Motore
L’avviamento è privo di esitazioni e il motore gira subito perfettamente regolare e con una bella silenziosità meccanica. Lo scarico ha una voce piuttosto educata, come di solito accade sulle Harley prima che l’inciviltà di parecchi dei loro proprietari abbia il sopravvento. Il nuovo sound è piacevole, ma poco personale e potrà deludere gli harleysti DOC, perché il particolare imbiellaggio lo rende analogo a quello di una KTM o di una Ducati V2 e ben diverso dal tradizionale “potato-potato” Harley. Le vibrazioni ci sono, ma i due contralberi le mantengono piuttosto contenute anche ai regimi più elevati.
Spalancando il gas sorprende il tiro, forte fin dai bassi regimi e che continua imperterrito fino al limitatore, posto a ben 9500 giri, senza che si avverta alcuna variazione evidente della spinta. Miracoli della fasatura variabile. Nella guida il gas elettronico è fluido, perfetto e non mostra alcun evidente on-off.
Sto ancora digerendo la sorpresa di trovarmi davanti a un motore così piacevole, quando mi ricordo che sono ancora in modalità Road. Passo quindi alla Sport mediante la semplice pressione di un tasto e… apriti cielo! Il gas diventa reattivo come su una sportiva, le accelerazioni sono istantanee e notevoli e disinserendo il controllo di trazione – anche questo premendo solo un tasto – la moto impenna facilmente di gas in seconda e con un po’ di aiuto anche in terza, fatto notevole con un interasse del genere. Il controllo di trazione peraltro funziona benissimo, in modo progressivo e impercettibile, cosa tutt’altro che scontata su un bicilindrico.
La mappa Rain è decisamente più tranquilla ed è adatta anche sull’asciutto per il neofita.
Il test si è svolto solo su strada, quindi non ho avuto modo di provare le due mappature dedicate all’off.
Il V-twin Revolution gira molto bene anche in basso. Regolarissimo, consente di spalancare il gas in 6° a partire da 2500 giri – equivalenti a circa 65 km/h – al di sotto dei quali sbatacchia un po’, ma francamente non si può chiedere di più a un bicilindrico, siamo a livello dei migliori, boxer incluso.
Parlando di calore, la prova è stata eseguita con temperature sopra i 30 gradi indossando scarpe da moto urbane e pantaloni di cotone; ciò nonostante, il calore percepito sulle gambe è risultato assai scarso su strada extraurbana, anche a passeggio. Ho provato la moto solo brevemente nel traffico cittadino, dove mi dicono che alla lunga il collettore di scarico scalda molto la zona del piede destro.
Trasmissione
Il cambio è abbastanza morbido – rispetto alle altre Harley è un burro, ma si difende benone anche dalla concorrenza moderna – la corsa della leva è breve, la prima entra silenziosamente, mentre la frizione a cavo è sufficientemente morbida e assai ben modulabile in partenza.
Come già detto sopra, il quickshifter è assente. Sembra assurdo rilevare una simile mancanza su una Harley, ma le notevolissime prestazioni di cui questa moto è capace aprono scenari impensabili fino a ieri. Comunque, la piacevolezza del cambio e la notevolissima elasticità del motore rendono questa mancanza decisamente accettabile. Inoltre, la leva è priva di qualsiasi sensazione di gommosità, come invece avviene sempre in presenza di questo accessorio.
Assetto
La guida della Pan American è forse ancora più sorprendente del motore, già rivoluzionario di suo.
La ciclistica sana, la posizione di guida relativamente sportiveggiante e il pacchetto di aiuti elettronici determinano un equilibrio generale davvero notevole, che si traduce in una guida facile e molto efficace in tutte le situazioni.
Le sospensioni, tutt’altro che molli già con la mappatura Road, in Sport diventano decisamente adatte alla guida veloce, allorché assicurano un eccellente controllo delle masse sospese, che non viene meno neanche se si adotta una guida molto sportiva. Ho cercato di mettere in crisi l’assetto in tutti i modi possibili, ma la moto è rimasta imperturbabile in modo davvero impressionante, coniugando facilità di guida e prestazioni ad alto livello.
Lo sterzo è abbastanza leggero, ma tutt’altro che labile – un po’ di carico sui polsi c’è – e la maneggevolezza è adeguata. Da un mezzo del genere nessuno si aspetta il comportamento di una Duke, ma la moto si destreggia piuttosto bene anche nel misto stretto, grazie anche alla precisione ed efficacia dei comandi e alla totale mancanza di inerzie garantita dal molleggio, specialmente in Sport.
Freni
La frenata è pronta, moltopotente, resistente e ben modulabile con entrambi i comandi, e la stabilità rimane eccelsa anche nelle frenate più decise, perfino in curva, grazie al comportamento impeccabile della granitica forcella, all’interasse notevole e al perfetto raccordo dei vari sistemi di assistenza elettronica alla guida. Tanto per fare un paragone con la concorrenza, come potenza siamo ai massimi livelli della categoria, mentre come stabilità la Pan America Special è almeno a livello della R1250GS e sicuramente superiore alla Multistrada V4S. L’ABS funziona benone e non disturba mai nemmeno nella guida sportiva.
Se tutto questo ancora non bastasse, aggiungiamo che i sistemi C-ABS (cornering) e C-ELB (frenata integrale controllata elettronicamente in curva) rendono irreprensibili anche le frenate più decise effettuate anche a moto molto inclinata.
Manovre da fermo e a bassa velocità
Il peso della Pan in ordine di marcia (245 kg la versione base, 258 kg la Special) è paragonabile a quello della BMW R1250GS (249 kg senza accessori), ma il baricentro senza dubbio più alto dovuto anche alla configurazione del motore la rendono un pelo più impacciata nelle manovre da fermo, qualora la moto non sia equipaggiata con il sistema automatico di abbassamento delle sospensioni ARH descritto più sopra. A tale proposito, una delle prime cose che ho fatto appena partito è stato fermarmi e vedere quanto ci mettevano le sospensioni ad abbassarsi. Ma, a parte la spia del sistema lampeggiante sul cruscotto, non succedeva un bel niente… Solo dopo un po’ ho scoperto che la moto inizia ad abbassarsi prima dell’arresto, in modo da essere già completamente giù nel momento in cui si ferma: pazzesco! L’azione avviene in modo intelligente, cioè se si frena bruscamente, la sospensione inizia ad abbassarsi a velocità più elevata (comunque mai oltre i 25 km/h), mentre se la decelerazione è blanda, la velocità alla quale il sistema si attiva è più bassa. Il video seguente mostra il sistema in funzione: https://youtu.be/oGxo5xTDOBQ
Il sistema permette inoltre di impostare due diversi ritardi, in cui l’abbassamento non inizia prima di 0,5 o 2 secondi dal momento dell’arresto, in modo da evitare continui su e giù negli stop-and-go rapidi, o di bloccare la moto in posizione alta, per chi è lungo di gamba o comunque vuole sempre la massima luce a terra – in fuoristrada può essere utile.
Nei trasferimenti extraurbani
L’eccellente stabilità garantita dalla ciclistica, la posizione di guida perfetta, la sella molto comoda, il molleggio impeccabile, la buona protezione aerodinamica e il regime consentito dalla rapportatura —a 130 km/h in 6° è pari a circa 4800 giri — consentono un eccellente confort nei trasferimenti extraurbani.
La tranquillità alla guida è ulteriormente aumentata dalla straordinaria ripresa disponibile senza cambiare marcia e dalla presenza Tempomat, che assicura la pace della mente nei tratti sottoposti al Tutor.
Il cupolino è regolabile facilmente anche durante la guida su quattro diverse posizioni e offre una buona protezione, a livello della migliore concorrenza, l’unico difetto è che nella posizione alta tende a oscillare un po’. Sono disponibili come accessori cupolini di diverse dimensioni, mentre la versione Special offre di serie i paramani, che aumentano ulteriormente la protettività.
Nel misto
L’eccellente equilibrio generale rende la Pan molto efficace e divertente anche nel misto. Concorrono a questo risultato il baricentro relativamente alto – non molti lo sanno, ma questa caratteristica rende la guida più divertente tra le curve – il motore, davvero straordinario, i freni potenti, la ciclistica a perfetta, a luce a terra adeguata e la prontezza dello sterzo. Inoltre, il comportamento rimane privo di sbavature anche alzando di molto il ritmo, cosa davvero sorprendente su una moto fatta a Milwaukee. Immagino che la collaborazione con Michelin e Showa debba essere stata molto profonda.
Consumi
Il consumo medio riscontrato su un percorso prevalentemente extraurbano e con andatura banditesca è di circa 16 km/l e non ho dubbi che nell’uso normale extraurbano si riesca a stare sui 20 km/l. Il serbatoio da 21 litri abbondanti consente percorrenze adeguate al tipo di moto.
Pagella
Pregi
Motore superbo
Frenata e assetto impeccabili in ogni situazione
Guida bella ed efficace anche ad andatura sportiva
Confort notevole
Qualità costruttiva generale
Eccellente rapporto qualità-accessori-prezzo
Sistema di infotainment molto ben fatto
Non ha niente a che vedere con le altre Harley
Difetti
Sistema keyless che non gestisce il bloccasterzo
Manca il quickshifter
Widget della strumentazione TFT con caratteri piccoli e poco leggibili
Questo articolo è il seguito della Parte 1 – Sterzata e spostamento laterale del corpo, dove sono descritti i modi per far curvare la moto. Qui invece vedremo che cosa succede alle traiettorie quando si accelera e si frena in curva.
Anche questa parte parte inizia con un capitolo in cui sono trattate le nozioni di dinamica della moto necessarie per comprendere i comportamenti descritti nel seguito.
Variazioni di velocità in curva
1 Dinamica
1.1 Trasferimenti di carico
1.1.1 In accelerazione
In accelerazione, la forza impressa contro l’asfalto dalla ruota posteriore e l’inerzia applicata sul baricentro determinano un trasferimento di carico dalla ruota anteriore a quella posteriore, reso evidente dal fatto che la moto cabra, cioè solleva la parte anteriore e abbassa quella posteriore.
Per chiarire meglio questo fatto, immaginate di appoggiare la moto su due bilance, una per ruota, e che a moto ferma entrambe le bilance segnino lo stesso peso. Se si potesse continuare a pesare la moto anche in accelerazione, accadrebbe che il peso, pur restando complessivamente uguale [1], si sposterebbe dalla ruota anteriore a quella posteriore all’aumentare dell’accelerazione.
In conseguenza di quanto detto sopra, visto che tra i fattori che influiscono sull’aderenza vi è anche il carico gravante sullo pneumatico, l’aderenza disponibile alla ruota posteriore aumenta notevolmente, mentre diminuisce quella all’anteriore. Ciò consente di scaricare a terra una grande coppia motrice e quindi di accelerare molto rapidamente prima che la ruota motrice slitti.
Tutto ciò però avviene solo a patto che l’accelerata sia progressiva. Infatti, il trasferimento di carico non avviene istantaneamente, ma il suo completamento richiede qualche frazione di secondo, perché la sospensione e lo pneumatico posteriori devono avere il tempo di comprimersi. Un’azione troppo brusca sull’acceleratore, in caso di scarsa aderenza o di coppia motrice molto elevata, porterebbe lo pneumatico posteriore a superare il limite di aderenza prima che il trasferimento di carico eserciti il suo effetto e quindi a slittare.
Il sistema dicontrollo della trazione evita lo slittamento in accelerazione. Quelli più semplici intervengono tagliando la potenza in caso di slittamento, mentre i più raffinati sono collegati a piattaforme inerziali – strumenti di controllo dei movimenti della moto nello spazio – e intervengono in modo più o meno incisivo in base all’inclinazione della moto e ad altri parametri.
Oltre a quanto detto sopra, in accelerazione:
lo sterzo si alleggerisce
l’angolo di sterzo e l’avancorsa aumentano, rendendo la moto meno maneggevole.
1.1.2 In frenata
In frenata la forza frenante impressa contro l’asfalto dalle due ruote determina un trasferimento di carico dalla ruota posteriore a quella anteriore, con la moto che picchia, cioè affonda la parte anteriore e solleva quella posteriore.
Di conseguenza, l’aderenza disponibile all’anteriore aumenta notevolmente e quella disponibile al posteriore diminuisce nella stessa misura, perciò è possibile frenare in modo molto più incisivo davanti che dietro. È per questo che i freni anteriori sono di solito molto più potenti di quelli posteriori.
Anche in questo caso è essenziale che l’azione sul freno anteriore sia progressiva, per consentire alla sospensione e allo pneumatico anteriori di comprimersi e realizzare compiutamente il trasferimento di carico. Se invece l’azione sul freno anteriore fosse brusca, il trasferimento di carico non avrebbe il tempo di esplicare i suoi effetti positivi sull’aderenza e quindi la ruota anteriore arriverebbe prematuramente al bloccaggio, con conseguente caduta, a meno di non rilasciare immediatamente il freno mantenendo lo sterzo rigorosamente in linea con la traiettoria.
L’ABS impedisce il bloccaggio delle ruote e quindi la conseguente sbandata. Nelle versioni dotate di funzione cornering esso agisce anche molto prima del bloccaggio al fine di rendere la frenata più progressiva e rendere più dolci le variazioni di assetto in curva.
Oltre a quanto detto sopra, in frenata:
la compressione della sospensione anteriore peggiora notevolmente l’assorbimento delle sconnessioni
l’angolo di sterzo e l’avancorsa diminuiscono, rendendo la moto più maneggevole e favorendo l’inserimento in curva.
1.2 Deriva
Quando si percorre una curva, il battistrada è deformato dalla forza centripeta generata dal contatto con l’asfalto, perciò la ruota percorre una traiettoria un po’ più larga rispetto a quella che dovrebbe essere se il battistrada fosse perfettamente rigido. Questo fenomeno si chiama deriva e l’angolo tra la traiettoria teorica – cioè la direzione del piano di mezzeria della ruota – e quella reale percorsa dalla ruota è detta angolo di deriva.
L’angolo di deriva di ciascuna ruota aumenta:
all’aumentare delle forze laterali
al diminuire del carico.
I grafici seguenti illustrano le relazioni fra forza laterale, carico e deriva con uno pneumatico standard, vale la pena di osservarli attentamente e di meditarci sopra.
Si noti che in curva anchele forze longitudinali influiscono sulla deriva delle ruote, in quanto comprendono una componente laterale dovuta alla traiettoria curva.
In pratica, la deriva in curva si comporta nei vari casi come segue:
maggiore è la velocità a parità di raggio della traiettoria, cioè maggiore è l’angolo di inclinazione del sistema moto + pilota, più la deriva aumenta (aumenta la forza laterale ma non il carico)
più il carico si trasferisce dinamicamente su una ruota, più la sua deriva diminuisce (aumenta il carico, ma non la forza laterale)
più si applica forza frenante o accelerante a una ruota, più la sua deriva aumenta (la forza è diretta longitudinalmente rispetto allo pneumatico, ma la sua componente trasversale dovuta alla traiettoria curva aumenta la forza laterale)
1.3 Momenti imbardanti dovuti alle variazioni di velocità
Come abbiamo visto nel paragrafo 1.5.2 della Parte 1 di questo articolo, durante la percorrenza della curva, le ruote percorrono una traiettoria più esterna rispetto a quella del baricentro. Per tale ragione, ogni variazione della velocità impressa alle ruote con il gas e i freni determina un momento imbardante che si somma o si sottrae a quello autoraddrizzante naturalmente presente in curva. In particolare:
una decelerazione aumenta il momento imbardante ad allargare, cioè spinge la moto ad andare ancora più dritta.
un’accelerazione aggiunge un momento imbardante a stringere, cioè riduce la tendenza della moto ad andare dritta e, se il baricentro è alto, può addirittura arrivare a spingerla a chiudere la curva.
Questa è la ragione per cui nelle gare si vedono moto che escono in impennata dalle curve senza partire per la tangente.
1.4 Effetti della diversa posizione del baricentro
La posizione del baricentro influenza profondamente il comportamento della moto.
1.4.1 Variazione della posizione longitudinale
Quando il baricentro si trova sulla verticale del centro dell’interasse, il carico statico (cioè il peso da fermo) della moto grava in misura uguale su entrambe le ruote. Via via che il baricentro viene spostato in avanti, aumenta il carico statico sulla ruota anteriore e diminuisce corrispondentemente quello sulla ruota posteriore, e viceversa.
A parità di altezza del baricentro, una moto con il baricentro avanzato:
ha più aderenza usando il freno anteriore, anche sui fondi scivolosi
impenna con maggior difficoltà
ha meno trazione in accelerazione
si ribalta in avanti più facilmente.
Una moto con il baricentro arretrato invece:
ha più trazione in accelerazione, anche sui fondi scivolosi
si ribalta in avanti con maggior difficoltà
ha meno aderenza usando il freno anteriore
impenna più facilmente.
Il pilota può modificare entro certi limiti a proprio vantaggio la posizione longitudinale del baricentro del sistema, per esempio spostandosi in avanti nelle forti accelerazioni e indietro nelle frenate decise, in modo da allontanare il limite di ribaltamento, oppure spostandosi indietro nelle forti accelerazioni, se è un amante delle impennate.
1.4.2 Variazione dell’altezza
In generale, una moto con il baricentro alto è più reattiva e maneggevole di una col baricentro basso, in quanto:
ha più trazione in accelerazione, perché il trasferimento di peso sulla ruota posteriore avviene più rapidamente
ha più aderenza usando il freno anteriore, perché il trasferimento di peso sulla ruota anteriore avviene più rapidamente
è soggetta a una minor forza centrifuga a parità di velocità di percorrenza (cioè di velocità angolare) e raggio della traiettoria seguita dalle ruote, perché il baricentro percorre una traiettoria più vicina al centro geometrico della curva.
Tutte i vantaggi descritti sopra rendono la moto con il baricentro alto particolarmente efficace nel misto stretto e negli slalom, perché:
la moto deve rollare per un angolo minore per passare da curva a controcurva
il baricentro segue una traiettoria più interna, con minor forza centrifuga da vincere
la moto chiude meglio la curva in accelerazione, grazie al maggior momento imbardante dovuto all’aumentata distanza tra la traiettoria della ruota posteriore e il baricentro.
Per contro, la stessa moto:
è limitata nell’accelerazione massima dal fatto che impenna più facilmente
è limitata nella frenata al limite dal fatto che si ribalta in avanti più facilmente
tende ad allargare di più la traiettoria in frenata, a causa del maggior momento imbardante dovuto all’aumentata distanza tra le traiettorie delle ruote e il baricentro.
Ho evitato finora di parlare della velocità di rollio, perché gli effetti della variazione di altezza del baricentro sono complessi. È vero che il baricentro alto aumenta l’inerzia e quindi riduce la velocità di rollio, ma è altrettanto vero che, a causa dello spessore degli pneumatici, una moto con il baricentro alto:
si deve inclinare di meno in curva a causa della larghezza degli pneumatici e questo riduce il tempo necessario per rollare da curva a controcurva. Il fenomeno è illustrato nella figura che segue:
è facilitata nell’inserimento in curva dal fatto che il baricentro si sposta di lato più rapidamente all’inclinarsi della moto e perciò vince più facilmente la resistenza creata dallo spostamento verso l’interno del punto di contatto dello pneumatico a terra dovuto alla larghezza di questo – se il baricentro è molto basso e la ruota posteriore è molto larga e piatta, può addirittura diventare difficile o impossibile inclinare la moto [2], come nell’esempio a destra della figura che segue:
1.4.3 Variazione della posizione laterale
Il baricentro della moto si trova di solito nel piano di mezzeria della stessa [3]. Il pilota invece può spostarsi lateralmente e quindi modificare la posizione del baricentro del sistema moto + pilota per variare l’inclinazione e modificare la traiettoria, come abbiamo visto nella Parte 1 di questo articolo.
1.5 Sospensioni
Le sospensioni sono studiate con cura in sede di progetto per assicurare il miglior compromesso tra tenuta di strada e confort in rapporto all’uso per il quale la moto è destinata.
Sull’argomento si potrebbero scrivere libri, qui di seguito ci limiteremo a vedere le nozioni più importanti ai fini del controllo della moto in curva.
I parametri importanti delle sospensioni sono:
l’escursione – o corsa – cioè la distanza che le ruote percorrono tra la massima compressione e la massima estensione
la rigidità, cioè la forza con cui resistono alla compressione.
Sospensioni morbide e a corsa lunga:
favoriscono l’assorbimento delle sconnessioni
evitano le perdite di aderenza delle ruote sullo sconnesso
Sospensioni rigide e a corsa corta:
riducono le oscillazioni e quindi l’inerzia delle masse sospese – cioè di tutto quello che sta sopra alle molle delle sospensioni: telaio, motore, persone, bagagli ecc.
diminuiscono la compressione delle sospensioni in piega dovuta alla forza centrifuga, massimizzando l’angolo di inclinazione possibile.
1.5.1 Escursione
L’escursione delle sospensioni è decisa dal progettista e non può essere modificata dal pilota. In linea di massima, a moto ferma e pilota di peso standard a bordo, le sospensioni risultano compresse per circa un terzo della loro escursione, in modo da potersi comprimere per altri due terzi o estendersi per un terzo in base ai trasferimenti di carico e alle sconnessioni della strada. Piloti più leggeri o pesanti della media richiedono la regolazione delprecarico delle molle (e in casi estremi la loro sostituzione con altre più adatte) per compensare la variazione di peso e mantenere l’assetto conforme al progetto, e un adattamento ancora maggiore è richiesto quando si trasportano passeggero e bagagli. Perciò è indispensabile regolare almeno la sospensione posteriore – quella che sopporta la maggior parte del carico aggiuntivo – ogni volta che si cambia configurazione.
Mantenere un precarico insufficientepeggiora notevolmente il comportamento della moto sotto vari i punti di vista:
peggiora nettamente l’assorbimento delle sconnessioni
lo sterzo diventa:
meno preciso
meno rapido
più pesante
diminuisce la luce a terra in curva.
Ciò vale anche per i corti di gamba che riduconoil precarico della sospensione posteriore per abbassare l’altezza della sella: è un errore da evitare. Se non toccate terra sulla moto dei vostri sogni:
adottate una sella più bassa
se ciò non basta, acquistate la versione ribassata del modello, se disponibile
se tale versione non è disponibile, cambiate i vostri sogni.
1.5.2 Rigidità
La rigidità della sospensione dipende dalla molla, che può essere più o meno rigida, e dall’ammortizzatore, che può essere più o meno frenato. Contrariamente a quanto molti credono, la regolazione del precarico non ha alcuna influenza sulla rigidità della sospensione, anche se essa può influenzare in peggio la capacità di assorbire le sconnessioni, se il precarico è eccessivo o troppo basso, perché la sospensione raggiunge più facilmente il fondo corsa in estensione o in compressione.
Sulle sospensioni più economiche, la rigidità non è regolabile e molla ed ammortizzatore sono scelti in base all’uso per cui la moto è progettata. Salendo di livello diventano disponibili regolazioni della frenatura idraulica dell’ammortizzatore più o meno sofisticate e ampie, in modo da cucirsi addosso l’assetto su misura o, più di frequente, combinare disastri dovuti all’incompetenza.
Le moto più sofisticate offrono sospensioni a controllo elettronico che adattano il proprio comportamento alle condizioni del fondo stradale e in base alle scelte effettuate dal pilota durante la guida.
1.5.3 Sospensioni pro-dive e anti-dive
La forcella tradizionale è inclinata in modo tale che quando essa si comprime, l’asse della ruota arretra; per tale ragione, l’uso del freno anteriore la fa comprimere più di quanto sia necessario a causa del trasferimento di carico. In altre parole, la forcellaha un comportamento pro-dive, tanto maggiore, quanto maggiore è il suo angolo rispetto alla verticale.
Le sospensioni anti-dive evitano questo effetto grazie alla propria geometria, che rende pressoché verticale il movimento del perno ruota durante la compressione. In questo modo la forza frenante applicata alla ruota non influisce sull’affondamento, che è dovuto soltanto al trasferimento di carico.
I vantaggi di questo tipo di sospensione sono:
una maggior capacità di assorbimento delle sconnessioni dovuta all’adozione di molle e ammortizzatori più morbidi rispetto a quelli necessari con le forcelle tradizionali
un aumento del comfort dovuto all’assetto piatto in frenata
una maggior stabilità in frenata, dovuta al mancato accorciamento dell’interasse
una ridotta tendenza a bloccare la ruota anteriore in frenata, grazie al minor tempo necessario per ottenere il trasferimento di carico sull’anteriore.
Per contro, una sospensione anti-dive mantiene il baricentro della moto più alto in frenata rispetto a una tradizionale, ma il conseguente maggior rischio di ribaltamento è mitigato dal fatto che l’interasse non si accorcia.
Sospensioni di questo genere sono piuttosto rare ed equipaggiano soltanto alcuni modelli di gamma alta della BMW e la versione più recente della Honda Gold Wing.
1.6 Momento sterzante dovuto alla frenata anteriore
A moto inclinata, il punto di contatto di una ruota a terra si sposta verso l’interno della curva, mentre l’asse di sterzo giace sempre nel piano di simmetria della moto. Per tale ragione, una frenata anteriore genera un momento che tende a chiudere lo sterzo e quindi a sbilanciare la moto verso l’esterno, allargando la traiettoria.
Questo effetto può variare molto, da quasi nullo a decisamente evidente, ed aumenta se la ruota anteriore è larga, se il battistrada ha un profilo turistico (non a V) o se esso è spiattellato (usurato al centro) dall’uso in autostrada, perché in tali casi aumenta lo spostamento del punto di contatto a moto inclinata e quindi il braccio di leva tra questo e l’asse di sterzo.
2 Gestire la traiettoria con la variazione della velocità
Abbiamo visto nella Parte I di questo articolo che lo sterzo e lo spostamento del corpo del pilota consentono di inclinare e quindi far deviare la moto in qualsiasi situazione della guida, sia in rettilineo che a curva già impostata.
Freni e gas non consentono di impostare una curva, in quanto a sterzo e moto dritti ogni loro effetto si esplica nel piano verticale di simmetria della moto [4], però a moto inclinata hanno effetti sulla sua traiettoria e quindi possono essere usati a tale scopo.
Le variazioni di velocità in curva influiscono sull’inerzia della moto, sui carichi gravanti sulle ruote, sulle derive degli pneumatici e sulla direzione dello sterzo, perciò l’analisi dei loro effetti sul comportamento della moto deve tenere conto contemporaneamente di tutti questi aspetti.
Inoltre, gli effetti prodotti variazioni nella direzione degli pneumatici sulla traiettoria della moto in curva sono più complessi da analizzare che sulle auto, in quanto bisogna tenere presente che:
ogni variazione nella direzione delle ruote non genera solo una variazione della traiettoria, ma anche una variazione dell’inclinazione e questo, come abbiamo visto nel paragrafo 1.4 della Parte I, influenza a sua volta la traiettoria
ciascuna manovra produce effetti contrastanti fra loro, perciò il risultato complessivo può andare in una direzione o in quella opposta, secondo quali effetti prevalgono
finché non si raggiunge il limite di aderenza, la traiettoria della moto è determinata dalle sue variazioni di inclinazione conseguenti alle variazioni nella direzione delle ruote, mentre all’approssimarsi del limite di aderenza, gli pneumatici non riescono più a stringere la traiettoria, che quindi in questi casiè decisa dalle derive e dalla forza centrifuga.
Facciamo l’esempio di un aumento della deriva della ruota anteriore, che quindi punterà più verso l’esterno della curva:
finché c’è aderenza, ciò sbilancerà la moto verso l’interno e quindi essa stringerà la traiettoria
una volta raggiunto il limite, la moto non riuscirà a stringere la traiettoria, anzi, la allargherà, perché l’avantreno scivolerà verso l’esterno, e insistendo, perderà l’aderenza e la moto finirà in una caduta low-side (cioè con il pilota sul lato interno della curva).
Nei prossimi paragrafi vedremo che cosa accade nei diversi casi, tenendo sempre presente che quando una moto curva, essa è sempre soggetta agli effetti autoraddrizzanti descritti nel paragrafo 1.5. della Parte 1.
2.1 Accelerazione
L’accelerazione della ruota posteriore causa i seguenti effetti sull’assetto della moto:
sottrae aderenza disponibile alla ruota posteriore
induce un momento imbardante che tende a far stringere la traiettoria
aumenta la forza centrifuga, con tendenza ad allargare la traiettoria
induce un trasferimento di carico dalla ruota anteriore a quella posteriore, che determina:
l’estensione della forcella, con conseguente riduzione della maneggevolezza
l’aumento della deriva della ruota anteriore
la diminuzione della deriva della ruota posteriore
la componente laterale della forza accelerante impressa alla ruota posteriore ne aumenta la deriva, in contrasto con quanto visto al punto precedente, tanto più, quanto maggiore è l’accelerazione.
L’effetto complessivo risultante sulla traiettoria dipende:
dalla forza dell’accelerazione
dalla posizione del baricentro
dall’avvicinamento al limite di aderenza.
se l’accelerazione è lieve, lo sbilanciamento verso l’interno dovuto al gioco delle derive compensa il momento raddrizzante dovuto all’inerzia e la moto tende a mantenere la traiettoria impostata
all’aumentare dell’accelerazione, l’effetto complessivo dipende dalla posizione del baricentro della moto:
con un baricentro alto, prevale l’effetto imbardante a stringere e la moto continua a mantenere la traiettoria impostata senza alcuna difficoltà
con un baricentro basso, l’effetto imbardante a stringere non prevale e la moto tende ad andare dritta
se l’accelerazione è eccessiva, la ruota posteriore supera il proprio limite di aderenzae derapa verso l’esterno e:
se il pilota riesce a controsterzare e a modulare l’accelerazione, controlla la sbandata
se il pilota non riesce, la moto cade in low-side avvitandosi verso l’interno
se il pilota chiude il gas, la ruota posteriore riacquista bruscamente aderenza a moto sbandata, sbilanciandola con violenza verso l’esterno (high-side).
2.2 Frenata anteriore
2.2.1 Effetti sull’assetto
La frenata della ruota anteriore causa i seguenti effetti sull’assetto della moto:
sottrae aderenza disponibile alla ruota anteriore
induce un momento imbardante che tende a far allargare la traiettoria
riduce notevolmente la forza centrifuga, con tendenza a stringere la traiettoria
induce un trasferimento di carico dalla ruota posteriore a quella anteriore, che determina:
la compressione della forcella, con conseguente aumento della maneggevolezza
la diminuzione della deriva della ruota anteriore
l’aumento della deriva della ruota posteriore
la componente trasversale della forza frenante dovuta alla traiettoria curva aumenta la deriva della ruota anteriore, in contrasto con quanto visto al punto precedente, tanto più, quanto più forte è la frenata
determina un ulteriore affondamento della sospensione anteriore, se questa è pro-dive (forcella normale)
induce un momento sterzante a chiudere che tende a raddrizzare la moto, allargando la traiettoria
L’effetto complessivo risultante sulla traiettoriadipende:
dalla forza della frenata
dalle caratteristiche dello pneumatico anteriore
dalla posizione del baricentro
dall’avvicinamento al limite di aderenza
In pratica, i casi possibili sono i seguenti:
se lo pneumatico anteriore è largo e/o il suo battistrada ha un profilo turistico e/o è spiattellato, il momento sterzante diventa particolarmente evidente e la moto tende ad allargare la traiettoria, tanto più quanto più forte è la frenata – si noti che questo effetto influisce solo sulla forza esercitata dal manubrio sulle mani e non anche sulla tenuta di strada, per cui basta contrastarlo per mantenere la traiettoria
all’aumentare della frenata, aumenta il momento imbardante ad allargare la traiettoria, tanto più, quanto più il baricentro è alto
se la frenata è eccessiva, la ruota anteriore supera il proprio limite di aderenza, lo sterzo si chiude e la moto cade in low-side.
Si noti che con il freno anteriore è impossibile causare una caduta high-side, cosa invece sempre possibile in caso di errore nell’uso del gas e del freno posteriore, ovviamente in assenza di aiuti elettronici.
2.2.2 Quando si usa
Se l’effetto di chiusura dello sterzo presente sulla moto è elevato, l’uso del freno anteriore da solo può diventare controproducente, perché la moto raddrizza la traiettoria in modo eccessivo.
Se invece tale effetto è ridotto, l’uso del freno anteriore consente decelerazioni notevoli in curva e quindi permette di stringere la traiettoria efficacemente, almeno finché non ci si avvicina al limite dell’aderenza, allorché gli effetti sottosterzanti prevalgono e la moto allarga con sempre maggior decisione la traiettoria.
2.3 Frenata posteriore
2.3.1 Effetti sull’assetto
La frenata della ruota posteriore è molto più blanda di quella anteriore e quindi influisce assai meno sull’assetto. Tenendo presente tale premessa, essa causa i seguenti effetti sull’assetto della moto:
sottrae aderenza disponibile alla ruota posteriore
riduce sensibilmente la forza centrifuga, aumentando la tendenza a stringere la traiettoria
induce un momento imbardante che tende a far allargare la traiettoria – più lieve di quello indotto dalla frenata anteriore, vista la traiettoria più stretta percorsa dalla ruota posteriore
induce un trasferimento di carico dalla ruota posteriore a quella anteriore – più lieve di quello indotto dalla frenata anteriore, vista la minor decelerazione possibile – che determina:
una compressione della forcella trascurabile, perché essa è tirata indietro dal freno posteriore anziché essere compressa dall’effetto pro-dive indotto dalla frenata anteriore
la diminuzione della deriva della ruota anteriore
l’aumento della deriva della ruota posteriore
la componente trasversale della forza frenante dovuta alla traiettoria curva – più lieve di quella generata dalla frenata anteriore, vista la minor decelerazione possibile – aumenta ulteriormente la deriva della ruota posteriore, tanto più, quanto più forte è la frenata.
L’effetto complessivo risultante sulla traiettoriaè che la moto:
tende in qualsiasi circostanza a mantenere la traiettoria impostata
se la frenata è eccessiva, la ruota posteriore supera il proprio limite di aderenza, derapa verso l’esterno e:
se il pilota è bravo a controsterzare e a modulare la frenata, controlla la sbandata
se il pilota tiene il freno premuto, la moto cade in low-side avvitandosi verso l’interno
se il pilota molla il freno posteriore di scatto, la ruota posteriore riacquista bruscamente aderenza a moto sbandata, sbilanciandola con violenza verso l’esterno (caduta high-side).
2.3.2 Quando si usa
Il freno posteriore consente decelerazioni più blande rispetto a quello anteriore, ma non genera effetti negativi sulla traiettoria – almeno finché non si supera il limite di aderenza – né sullo sterzo né sulla compressione della forcella. Quindi esso è un ottimo strumento per correzioni di entità limitata, come:
stringere la traiettoria in caso di curva presa un po’ troppo velocemente
adattare la traiettoria nelle curve a stringere
non allargare la traiettoria nelle curve in discesa.
2.3.3 Freno posteriore o chiusura del gas?
Gli effetti dinamici prodotti dai due comandi sono gli stessi, ma il freno è più semplice e preciso da usare rispetto alla chiusura del gas, perché:
ha un comportamento costante e prevedibile, mentre l’effetto di una chiusura del gas varia moltissimo in base al rapporto inserito, al regime e al tipo di motore
consente di rallentare senza chiudere il gas, evitando ogni effetto on-off.
2.4 Frenata integrale
2.4.1 Effetti sull’assetto
La frenata integrale causa i seguenti effetti sull’assetto della moto:
sottrae aderenza disponibile ad entrambe le ruote, ma in misura minore su ciascuna di esse a parità di decelerazione rispetto alla frenata su una sola ruota
riduce notevolmente la forza centrifuga, aumentando la tendenza a stringere la traiettoria
induce un momento imbardante che tende a far allargare la traiettoria, ma in misura minore rispetto alla sola frenata anteriore a parità di decelerazione, perché la ruota posteriore percorre una traiettoria più stretta rispetto a quella anteriore
rispetto alla frenata anteriore determina un momento sterzante nettamente ridotto, perché a parità di decelerazione la frenata anteriore ha un effetto minore sulla sterzata, mentre la frenata posteriore fa decelerare anche l’asse di sterzo, riducendo l’effetto
induce un trasferimento di carico dalla ruota posteriore a quella anteriore, che determina:
la compressione della forcella minore che nel caso della sola frenata anteriore
la diminuzione della deriva della ruota anteriore
l’aumento della deriva della ruota posteriore
la componente trasversale della forza frenante dovuta alla traiettoria curva aumenta la deriva di entrambe le ruote e in particolare di quella anteriore
nel complesso, gli effetti sulle derive non influiscono sensibilmente sulla traiettoria.
L’effetto complessivo risultante sulla traiettoriaè che la moto:
tende in qualsiasi circostanza a mantenere la traiettoria impostata
se la frenata è eccessiva – cosa piuttosto difficile, visto che la decelerazione ottenibile prima di superare il limite di aderenza è piuttosto elevata – tende a partire per la tangente sulle due ruote e quindi consente il recupero semplicemente riducendo la frenata.
2.4.2 Quando si usa
L’uso combinato dei due freni in curva è sempre possibile ed è nel complesso assai più efficace rispetto agli altri modi di frenare, perché:
presenta in misura assai minore l’effetto negativo sulla sterzata possibile con sola la frenata anteriore
consente decelerazioni assai maggiori senza mettere in crisi l’aderenza rispetto alla sola frenata posteriore
riduce l’affondamento della sospensione anteriore, migliorando la frenata sullo sconnesso e rendendo la guida più comoda, specialmente per il passeggero.
Ecco perché alcune moto sono equipaggiate con sistemi di frenata integrale.
l’unico caso in cui può convenire usare il solo freno anteriore è l’ingresso in curva nella guida sportiva, perché la maggior compressione della forcella aumenta la rapidità di ingresso in curva, a patto che la moto non soffra di un eccessivo momento raddrizzante dello sterzo.
[1] Se la strada è pianeggiante. Sui dossi il peso totale diminuirebbe e sulle cunette aumenterebbe. ⇑[2] Questo fatto si verifica normalmente sui dragster, che hanno baricentro bassissimo e gomma posteriore molto larga e squadrata. ⇑[3] Una eccezione famosa è costituita dalle Vespa con cambio meccanico, sempre sbilanciate a sinistra per compensare il peso del motore posto a destra della ruota posteriore. ⇑[4] Fanno eccezione alcune moto con albero motore longitudinale, come le vecchie BMW con motore boxer e le Moto Guzzi, dove le variazioni di regime del motore influiscono sensibilmente sull’inclinazione della moto. ⇑
La parte I di quest’articolo, pubblicata originariamente il 17 luglio 2021, è stata modificata il 10 luglio 2022 e nuovamente rielaborata tra il 17 e il 19 luglio dello stesso anno. Tra queste date ho acquisito maggior consapevolezza di alcuni aspetti della dinamica della moto, che mi hanno permesso di rendere più chiara, semplice e precisa sua la descrizione e di eliminare alcuni errori che avevo commesso nell’interpretare certi fenomeni.
Ringrazio Federico Canegiallo (https://www.giornalemotori.com/) per tutte le spiegazioni che ha avuto la pazienza di darmi e spero che questo mio scritto sia ora inattaccabile ai suoi occhi. 🙂
Premessa
Questo articolo ha lo scopo di descrivere il comportamento della moto in curva su strada e i modi che abbiamo per modificarlo. È più approfondito del solito e quindi è molto lungo. Per renderlo più digeribile, l’ho diviso in due parti:
Parte 1 – Sterzata e spostamento laterale del corpo
Ogni parte inizia con un capitolo in cui sono trattate le nozioni di dinamica della moto necessarie per comprendere i comportamenti descritti nel seguito. L’argomento non è trattato da un punto di vista matematico, ma solo qualitativo, perciò è comprensibile da chiunque, purché abbia tempo e voglia di leggere e capire.
Ho deciso di descrivere come si fanno le curve in moto, perché il web è pieno di articoli e di video su questo argomento, ma che in gran parte contengono errori. I peggiori poi sono vere e proprie schifezze, in cui si raccontano frescacce del tutto prive di senso, magari da gente che non sa assolutamente niente di dinamica della moto e lo ammette anche pubblicamente, con frasi tipo “io non ho la più pallida idea del perché avvenga questo, ma è così, prendetelo come un dogma”.
Leggendo i commenti a tali video, si trovano persone che li criticano, ma anche tante altre che ringraziano l’autore per avergli chiarito i loro dubbi… Questi motociclisti meritano di più, sono appassionati in cerca di risposte alle proprie domande e portarli fuori strada con spiegazioni senza senso è il peggior servizio che si possa rendere alla loro passione e alla loro sicurezza. Quest’articolo è anche per loro, o almeno per quelli tra loro che vorranno leggerlo e capirlo fino in fondo.
Sterzata e spostamento laterale del corpo
1 Equilibrio dei veicoli a due ruote
1.1 I primi tentativi
Per quasi tutta la sua lunghissima storia, l’umanità non ha mai neanche immaginato la possibilità di muoversi su veicoli a due ruote. Quest’idea cominciò a formarsi solo a cavallo tra il XVIII e il XIX secolo, in piena Rivoluzione industriale, quando le invenzioni in tutti i campi cominciarono a susseguirsi a ritmo sempre più vertiginoso.
Durante i primi tentativi ci si accorse subito che questi mezzi non erano intrinsecamente stabili e richiedevano doti non comuni alla guida, perciò fu subito chiaro che, se si voleva favorirne la diffusione, era necessario fare in modo che potessero rimanere in equilibrio il più possibile automaticamente, cioè senza intervento del pilota. Non a caso la prima bicicletta prodotta su larga scala, la “Rover” del 1885, aveva questa caratteristica – e tante altre – ripresa in tutte le biciclette successive e poi in tutte le moto fino ai nostri giorni.
Nei prossimi paragrafi vedremo come fanno i veicoli a due ruote allineate a stare in equilibrio automaticamente, cioè a essere autostabili.
1.2 Bilanciamento tra forza peso e forza centrifuga
Per mantenersi in equilibrio, un veicolo a due ruote deve sterzare nella direzione verso cui eventualmente è inclinato, in modo che la forza centrifuga [1] risultante lo spinga verso l’esterno della curva e compensi così la sua forza peso, che invece lo fa cadere verso l’interno. Se queste due forze sono in equilibrio, il veicolo mantiene costante il proprio assetto, altrimenti esso varia la propria inclinazione. In particolare:
se la sterzata è eccessiva, il veicolo tenderà a raddrizzarsi, per poi inclinarsi dalla parte opposta
se la sterzata è insufficiente, il veicolo tenderà a inclinarsi sempre di più.
Se si ragiona un pò su quanto detto sopra, appare chiaro che, per rendere autostabile un veicolo del genere, sono necessarie due cose:
quando il veicolo si inclina da un lato, la ruota anteriore deve sterzare automaticamente e progressivamente dalla parte dell’inclinazione, maun po’ troppo, in modo da generare un po’ di più della forza centrifuga strettamente necessaria per bilanciare la forza peso e così riportare automaticamente il veicolo in posizione verticale
man mano che il veicolo ritorna in posizione verticale, la ruota anteriore deve ritornare automaticamente e progressivamente nella posizione centrale, per evitare che il veicolo si inclini nella direzione opposta.
Il comportamento dello sterzo è dunque la chiave di tutto; se si riesce a farlo funzionare in questo modo, è fatta.
1.3 Fenomeni giroscopici
Le ruote della moto sono giroscopi, in quanto ruotano intorno a un asse di rotazione – il mozzo – sono simmetriche rispetto ad esso e hanno un’elevata inerzia, dovuta al loro diametro e al fatto che buona parte della propria massa è concentrata lungo la circonferenza – il cerchione e lo pneumatico. Come tali, esse sono soggette a fenomeni giroscopici di vario tipo, che hanno un ruolo fondamentale nella dinamica dei veicoli a due ruote. Nel seguito sono descritti i due fenomeni che ci interessano maggiormente.
a. Effetto giroscopico in fase di inclinazione del veicolo
Quando un veicolo a due ruote allineate si inclina, la sua ruota anteriore sterza automaticamente dalla parte dell’inclinazione[2].
Per esempio, durante un’inclinazione a sinistra, la massa del punto più alto della ruota – che è quello che durante l’inclinazione si muove più velocemente – sarà spinta verso sinistra dall’inclinazione crescente, perciò acquisirà una traiettoria diagonale diretta verso sinistra (frecce rosse) e tenderà a proseguire per inerzia lungo tale traiettoria. Essa però sarà costretta a seguire la circonferenza e quindi a rientrare verso destra, perciò tirerà la ruota a sterzare verso sinistra.
Questo fenomeno può essere simulato facilmente con una ruota di bicicletta tenuta in rotazione fra le mani.
b. Effetto giroscopico durante una curva a inclinazione costante
Durante la percorrenza della curva, quando il veicolo a due ruote ha raggiunto e mantiene un angolo di inclinazione costante, il fenomeno giroscopico descritto al precedente punto a, proprio di una ruota che si sta inclinando, cessa di manifestarsi. In assenza di altri effetti, la ruota a questo punto dovrebbe smettere di sterzare e quindi, per inerzia giroscopica, dovrebbe mantenere costante la direzione del proprio asse e proseguire dritta. Dato che, invece, continua a curvare, c’è qualcos’altro che ne determina il comportamento. La ragione di ciò sta nel fatto che, una volta che la moto sta curvando con un’inclinazione costante, la ruota anteriore non assume una traiettoria rettilinea uniforme, ma è inclinata e contemporaneamente sta traslando lateralmente per seguire la traiettoria curva. Per tale ragione si verifica quanto segue.
La massa del punto superiore della ruota – quello più interno alla curva – durante il movimento roto-traslatorio della ruota stessa è costretto a seguire la circonferenza verso l’esterno e quindi a subire una forza centrifuga minore rispetto a quella della moto, ma per inerzia vorrebbe muoversi insieme a questa e quindi tira la parte anteriore della ruota verso l’interno della curva.
Simmetricamente, La massa del punto inferiore della ruota – quello più esterno alla curva – durante il movimento roto-traslatorio della ruota stessa è costretto a seguire la circonferenza verso l’interno e quindi a subire una forza centrifuga maggiore rispetto a quella della moto, ma per inerzia vorrebbe muoversi insieme a questa e quindi tira la parte posteriore della ruota verso l’esterno della curva.
Il risultato di questo fenomeno è che la ruota anteriore di un veicolo a due ruote continua a sterzare verso la curva anche quando l’inclinazione dello stesso rimane costante.
SI noti che, a differenza del precedente, questo fenomeno non può essere simulato in modo efficace tenendo in mano una ruota di bicicletta mentre si sta in piedi, perche in questo modo viene sostanzialmente a mancare la traslazione della ruota verso l’interno della curva.
c. Effetto complessivo dei due fenomeni giroscopici
Nel complesso, i due fenomeni giroscopici a. e b. descritti sopra consentono alla moto di curvare quando si inclina, di mantenere sterzata la ruota anteriore durante la curva e di riportare lo sterzo verso il centro quando la moto si raddrizza. Ma allora, visto che la ruota anteriore si comporta proprio come dovrebbe, perché i primi bicicli avevano problemi di equilibrio? Perché tali effetti si manifestano in modo eccessivamente brusco, se lo sterzo non è dotato di un’adeguata avancorsa.
1.4 Avancorsa
L’avancorsa è la distanza tra il punto in cui l’asse di rotazione dello sterzo interseca il piano su cui poggia la moto e il centro dell’impronta a terra dello pneumatico anteriore. Si dice:
avancorsapositiva quando l’asse di sterzo cade davanti al punto di appoggio della ruota anteriore
avancorsa negativa quando cade dietro di esso
avancorsa nulla quando i due punti coincidono.
Tutti i veicoli a due ruote moderni sono caratterizzati da un’avancorsa positiva. Infatti, essa offre due vantaggi fondamentali, senza i quali nessun veicolo a due ruote allineate potrebbe essere autostabile.
Un’avancorsa positiva rende lo sterzo più pesante da azionare, specialmente al crescere della velocità, e quindi impedisce al pilota di agire troppo bruscamente su di esso e mettere in grave rischio la stabilità. Ciò avviene, perché azionando lo sterzo, l’avantreno della moto trasla lateralmente in direzione della sterzata (si veda la successiva figura 5), opponendosi a questa con la propria inerzia. In tal modo, l’avancorsa:
in rettilineo, contribuisce a mantenere la ruota anteriore allineata al centro
all’inclinarsi della moto, limita la sterzata automatica della ruota indotta dagli effetti giroscopici descritti sopra.
Quando un veicolo si inclina e la sua ruota anteriore sterza nella direzione della curva, per una semplice ragione geometrica il punto di contatto di tale ruota con il suolo si sposta in avanti. In assenza di un’adeguata avancorsa, al crescere dell’angolo di inclinazione si viene a creare un’avancorsa negativa e ciò determina l’immediata sterzata a battuta della ruota verso l’interno. Per farsi un’idea del fenomeno, basti dire che ciò è quanto avviene sui veicoli a due ruote moderni quando si tenta di salire obliquamente su un gradino.
Sulle moto moderne l’avancorsa si aggira di solito intorno ai 100 mm e varia in base alle caratteristiche di ciascun modello e all’uso a cui è destinato. Come si può vedere dalla figura 3 sopra, essa dipende:
dall’offset, che è la distanza tra l’asse di sterzo e il piano ad esso parallelo e passante per l’asse della ruota anteriore
dall’angolo di inclinazione dell’asse di sterzo.
Combinando opportunamente questi parametri, è possibile ottenere l’avancorsa desiderata con una grande varietà di angoli di inclinazione dell’asse di sterzo, dalla BMW R75/5 di Tony Foale con sterzo verticale ai chopper con sterzo quasi orizzontale.
I primi bicicli stavano in equilibrio precario, appunto perché avevano sterzo quasi verticale e privo di offset e quindi avevano avancorsa prossima allo zero.
Il comportamento autosterzante della moto è influenzato da parecchie caratteristiche, tra cui le seguenti:
avancorsa (aumentandola, diminuisce la tendenza della ruota a sterzare)
peso della ruota anteriore, dischi inclusi (aumentandolo, aumenta la tendenza della ruota a sterzare)
diametro della ruota anteriore (idem)
inclinazione dell’asse di sterzo rispetto alla verticale, a parità di avancorsa (aumentandola, diminuisce la tendenza della ruota a sterzare)
peso gravante sulla ruota anteriore (aumentandolo, diminuisce la tendenza della ruota a sterzare)
peso delle masse poste alle estremità del manubrio (idem).
È chiaro che qualsiasi modifica apportata a questi elementi senza cognizione di causa può variare notevolmente il comportamento della moto e in casi estremi può persino renderla incontrollabile.
È infine importante notare che il comportamento autosterzante di un veicolo a due ruote si basa sul fatto che le ruote abbiano sufficiente aderenza per non derapare. Una sbandata della moto dovuta a perdita di aderenza comporta la rottura dell’equilibrio automatico, può richiedere correzioni attive da parte del pilota e può portare anche alla caduta della moto.
2 Gestire la traiettoria con lo sterzo
2.1 Come funziona
Quando siete al volante di un’auto e sterzate da una parte, gli pneumatici generano a livello dell’asfalto una forza centripeta, che tende cioè a spostarli lateralmente nella direzione della sterzata, mentre il baricentro dell’auto, che è situato più in alto, tende ad andare dritto per inerzia. La combinazione di queste due forze genera un momento che fa inclinare l’auto in direzione opposta rispetto alla sterzata.
Questo effetto si verifica su qualsiasi veicolo che poggia su ruote e quindi anche sulle moto: se si sterza da una parte, la moto si inclina dall’altra. Una volta che la moto si inclina dalla parte “sbagliata”, per le ragioni viste nel paragrafo 1, la ruota anteriore sterza nella stessa direzione e la moto inizia a percorrere la curva.
Si noti che queste fasi si susseguono automaticamente con grande rapidità e, a parte l’impulso iniziale 1, senza alcun intervento del pilota. Non è affatto vero che per inserirsi in curva si debba sterzare prima da una parte e poi dall’altra: bisogna continure a premere sempre nella stessa direzione, poi la precessione giroscopica e l’avancorsa fanno tutto il resto [4].
Ora, se per curvare dovessimo pensare di dover sterzare al contrario, diventeremmo pazzi. Perciò conviene vedere la cosa in modo più intuitivo: per inclinare la moto in una direzione, basta premere in avanti la manopola da quel lato, e più forte sarà la pressione, più la moto si inclinerà e più curverà stretta. Ecco perché questa tecnica è chiamata in inglese push-steering, che vuol dire appunto “sterzata mediante spinta”[3].
Da quanto detto nel paragrafo 1, ricordiamo che un’avancorsa ben dimensionata fa sì che la precessione giroscopica faccia sterzare la ruota nella direzione dell’inclinazione di quel tanto che basta, da rendere la forza centrifuga lievemente eccedente rispetto alla forza peso, in modo da autostabilizzare la moto. Per tale ragione, se si vuole continuare a curvare, occorre continuare a premere sulla manopola interna, altrimenti la moto ritorna in posizione verticale e riprende la marcia rettilinea.
Il push-steering funziona sia a moto dritta che a moto inclinata, quindi esso consente sia di iniziare una curva, sia di variare l’inclinazione e quindi la traiettoria della moto durante una curva. In ogni caso, basta semplicemente:
premere su una manopola, per iniziare a curvare nella direzionedove si preme
premere maggiormente sulla manopola interna, per stringere la traiettoria
smettere di premere sulla manopola interna, per allargare la traiettoria.
Il video seguente illustra il funzionamento su strada di questa tecnica. Per chiarezza, le mani sono tenute aperte, senza impugnare le manopole, in modo da rendere visivamente chiaro che esse spingono.
Sperimentare l’efficacia del push-steering alla guida è piuttosto semplice. Lungo un rettilineo, piazzatevi a una velocità media – 60-70 km/h va benissimo – togliete la mano sinistra dal manubrio e con la destra spingete la manopola in avanti – cioè sterzate verso sinistra; vi accorgerete che la moto curverà subito verso destra.
Il push-steering non funziona alle bassissime velocità, allorché lo sterzo va azionato dalla parte giusta. Perché? Come abbiamo visto sopra, la sospensione anteriore delle moto è caratterizzata dalla presenza dell’avancorsa, a causa della quale la ruota poggia a terra più indietro rispetto all’asse dello sterzo. Per questa ragione, se si sterza a moto ferma o quasi, l’asse dello sterzo si sposta dalla parte della sterzata e con esso tutta la parte anteriore della moto. In questo modo la moto si sbilancia leggermente dalla parte della sterzata e quindi tende a cadere nella direzione della curva, di quel tanto che basta a vincere la ridottissima forza centrifuga.
Quando invece la velocità supera una certa soglia limite – intorno ai 15-20 km/h, dipende principalmente dalla misura dell’avancorsa – la forza centrifuga prevale su questo effetto e il push-steering inizia a funzionare.
2.2 Pregi
Il push-steering:
funziona sia a moto dritta che a moto inclinata
è molto preciso
consente di impostare qualsiasi traiettoria
è efficace con qualsiasi tipo di moto, anche quelle più pesanti
è rapido, anche se non istantaneo, per via della sterzata iniziale in senso contrario necessaria alle velocità normali, specialmente in sella a una moto pesante, perché la durata e l’ampiezza della fase iniziale negativa aumentano con l’aumentare della massa.
2.3 Difetti
Di suo, il push-steering non ha difetti. Esso però ha dei limiti nella guida veloce, che vengono superati combinando questa tecnica con lo spostamento del baricentro del pilota, come spiegato più avanti.
2.4 Quando si usa
Grazie a tali caratteristiche, la tecnica del push-steering è efficace per:
impostare e percorrere qualsiasi traiettoria con grande precisione
variare anche notevolmente una traiettoria a curva già impostata
schivare un ostacolo improvviso, anche di grandi dimensioni.
Insomma, è una tecnica buona per tutti gli usi. Non a caso è usata da tutti i motociclisti, anche quelli – la maggioranza – che non ne sono consapevoli. Alcuni di questi sono addirittura convinti di azionare lo sterzo dalla parte della curva, il che è semplicemente impossibile.
Ma anche se tutti usano il push-steering, esserne coscienti comporta due grandi vantaggi:
consente di manovrare più efficacemente qualsiasi moto e in particolare quelle più pesanti
consente di schivare molto più efficacemente gli ostacoli.
Chi invece non ne è cosciente, faticherà di più a controllare la moto e, soprattutto, reagirà al pericolo in modo meno efficace o addirittura controproducente. Ho visto con i miei occhi – e in un caso ero passeggero – motociclisti che, per evitare un ostacolo, gli finivano addosso nel tentativo di sterzare dalla parte opposta.
Ecco perché è fondamentale che tutti i motociclisti prendano coscienza del push-steering e imparino a sfruttarne le potenzialità.
3 Gestire la traiettoria con lo spostamento laterale del corpo del pilota
3.1 Come funziona
Se il pilota sposta il proprio baricentro lateralmente rispetto alla moto, contrariamente a quanto molti credono (me per primo, per lungo tempo), la moto non si inclina dalla parte verso cui il pilota si sporge, bensì nella direzione opposta. Ciò avviene per il principio di conservazione della quantità di moto, per il quale, in assenza di forze esterne al sistema moto + pilota, il baricentro del sistema stesso continua a muoversi per inerzia nella stessa direzione. Il pilota fa parte del sistema, per cui quando egli sposta il proprio baricentro da un lato, necessariamente il baricentro della moto si sposta dall’altro. Naturalmente, il tutto è influenzato dal rapporto tra il peso della moto e quello del pilota: più la moto è pesante rispetto al pilota, meno essa si inclinerà allo spostarsi di questo.
Come sappiamo, la precessione giroscopica, tenuta a bada dall’avancorsa, fa sterzare la ruota nella direzione dell’inclinazione della moto. Anche in questo caso, quindi, esattamente come nel caso del push-steering, la ruota sterza in direzione contraria a quella verso cui si vuole andare e perciò si realizza la stessa sequenza:
la moto viene inclinata dalla parte sbagliata
la ruota anteriore sterza dalla parte sbagliata
la moto si sbilancia nella direzione giusta, cioè quella del busto
la ruota anteriore per precessione giroscopica sterza nella stessa direzione
la moto curva nella direzione voluta.
Da quanto detto nel paragrafo 1, ricordiamo che un’avancorsa ben dimensionata fa sì che la precessione giroscopica faccia sterzare la ruota nella direzione dell’inclinazione abbastanza, da rendere la forza centrifuga lievemente eccedente rispetto alla forza peso, in modo da autostabilizzare la moto. Per continuare a curvare, occorre quindi continuare a sporgersi verso l’interno per mantenere la moto più sollevata e quindi diminuire leggermente la sterzata della ruota anteriore.
Alcuni definiscono questa tecnica “premere sulle pedane”, ma è una denominazione impropria, perché se si fa solo questo, senza spostare il busto, non succede assolutamente nulla. Spostando il busto e scaricando il peso sulla pedana si ottiene un maggior spostamento del pilota, un maggior spostamento in senso opposto del baricentro della moto e quindi una maggior efficacia della manovra.
Molti motociclisti affermano di curvare in questo modo, ma in realtà non spostano il corpo in maniera significativa e curvano con il push-steering. Ma anche quelli che effettivamente spostano il corpo, senza volerlo applicano quasi sempre anche forze longitudinali sulle manopole e quindi combinano lo spostamento del proprio baricentro con il push-steering. L’unico modo per curvare con questa tecnica “in purezza” consiste nel metterla in pratica senza le mani sul manubrio. Se ci provate – lungo un tratto senza traffico in discesa o inserendo il cruise control – scoprirete quanto effettivamente la vostra traiettoria nella guida di tutti i giorni è dovuta al modo in cui spostate il vostro baricentro e quanto invece alla vostra azione sullo sterzo. Se pensavate che tutto il merito andasse al vostro tuffarvi con il corpo nelle curve, rimarrete profondamente delusi.
Il video che segue illustra il funzionamento di questa tecnica, senza mani, per verificarne la reale efficacia.
3.3.2 Pregi
Questa tecnica, nell’ipotesi che sia usata da sola, cioè senza combinarla col push-steering:
funziona sia a moto dritta che a moto inclinata
consente ampi cambiamenti di direzione
funziona anche senza mani.
3.3.3 Difetti
Questa tecnica:
è più lenta e meno precisa del push-steering, specialmente nella guida veloce e nelle curve strette
è assai meno efficace sulle moto pesanti, dove il peso del pilota perde importanza rispetto al peso totale.
3.3.4 Quando si usa
Al di fuori del caso della guida senza mani, lo spostamento del peso è in realtà sempre abbinato all’uso dello sterzo e il bello è che lo migliora in qualsiasi circostanza, perché:
aiuta a mantenere l’equilibrio nelle manovre a bassissima velocità
rende più rapida la sterzata, specialmente su moto dallo sterzo pesante, perché
minimizza il rischio di grattare qualche cosa a terra nella guida veloce, perché consente una minor inclinazione della moto a parità di velocità e di raggio della traiettoria
dona piacevolezza alla guida, in quanto il pilota percepisce che la moto mantiene la traiettoria curva senza dover agire sullo sterzo.
Insomma, l’accoppiata push-steering + spostamento del peso è vantaggiosa in tutte le circostanze della guida e specialmente nella guida veloce.
[2] L’effetto si manifesta anche sulla ruota posteriore, che però non ha la libertà di sterzare e scarica tale tendenza sul forcellone. ⇑
[3] Per definire il push-steering si usa spesso il termine “controsterzo”, che in realtà è la manovra con cui si recupera una sbandata del retrotreno con una sterzata in senso contrario rispetto alla curva. Nel nostro caso non c’è alcuna sbandata da recuperare, per cui il termine è improprio. ⇑
[4] Qui cade in errore perfino l’Ing. Vittore Cossalter, secondo il quale il pilota prima sterza in senso contrario e poi, una volta che la moto si inclina dalla parte giusta, gira lentamente lo sterzo nella direzione della curva (Motorcycle Dynamics edizione italiana, seconda edizione 2014, par. 8.5 e 8.6 pag. 301 e 303). ⇑
Mettiamoci nei panni di un motociclista incallito (tipo me), che sia anche appassionato delle BMW (come me), che apprezzi quando possibile la velocità (come me) che viaggi spesso con il passeggero (come me), non ami particolarmente le GS, la S1000XR e in generale tutte le crossover (come me) e che voglia acquistare una grossa tourer da viaggio potente, comoda, con carenatura integrale e un bel tris di grandi valigie.
Assumendo che il nostro motociclista non abbia problemi di budget (non come me), egli ha oggi ben tre possibilità, la R1250RT, la K1600GT e la K1600GTL, moto che hanno molti punti in comune, tra cui il confort superlativo e la grande capacità di carico, ma anche alcune differenze sostanziali e connaturate all’architettura dei loro motori. Il boxer a fasatura variabile della R1250RT ha molti pregi, ma vibra sempre e comunque e certamente più di qualsiasi concorrente. Le K1600 all’opposto non vibrano praticamente mai grazie al loro magnifico 6 cilindri dalla coppia superlativa e dall’allungo esaltante, ma pesano , anche se la GTL è notevolmente avvantaggiata nella manovrabilità dalla sella nettamente più bassa, al prezzo però di un angolo di inclinazione massima limitato dalle pedane ribassate.
Insomma, o ci si beccano le vibrazioni della RT, che per alcuni (come me) sono inaccettabili su una moto del genere, o si è costretti a girare con un pachiderma che mette a dura prova le capacità del conducente nelle manovre da fermo e a bassissima velocità – la K1600GT – oppure si sceglie un pachiderma ben gestibile – la GTL – ma rinunciando a qualsiasi velleità di guida sportiva in curva.
Fra le tre, sinceramente non saprei davvero quale scegliere, ognuna ha difetti che ai miei occhi sono importanti.
Se però si allarga il campo anche all’usato, il nostro motociclista potrebbe prendere in considerazione la K1300GT, una moto che è stata dismessa nel 2010 con l’arrivo della K1600GT, ma che ha ancora parecchie frecce al suo arco e, soprattutto, col suo notevolissimo 4 cilindri costituisce un’eccellente via di mezzo tra il boxer e il 6 cilindri.
È ovvio che se il nostro desidera fare bella figura al Vinnico Wine Bar (ogni riferimento è puramente casuale) e ritiene indispensabile avere un cruscotto TFT e tutto l’infotainment e l’assistenza elettronica di una moto attuale, non prenderà mai in considerazione un fossile del genere, ma se se ne frega (come me), la faccenda si fa interessante.
Andiamo allora a confrontare queste quattro moto, tenendo conto di tutti gli aspetti che contano nell’uso.
Manovre da fermo
La RT è la più leggera (si fa per dire) del gruppo con i suoi 279 kg, seguita a breve distanta dalla K1300GT a 288 kg. Quest’ultima ha la sella sensibilmente più alta, ma anche più stretta, tanto che l’arco del cavallo – la distanza tra un tallone e l’altro misurata con un nastro flessibile passante sopra alla sella – è più corto che sulla bicilindrica.
Le 6 cilindri sono aiutate molto dalla presenza della retromarcia, ma sono anche nettamente più pesanti – 334 kg senza topcase. Ciò rende piuttosto delicata la manovrabilità sulla GT, mentre la GTL ha la sella nettamente più in basso delle altre e questo la rende decisamente più gestibile.
Vivibilità a bordo
Tutti e quattro i modelli offrono spazio in abbondanza, ma sono diversi quanto a postura. La K1300GT è relativamente sportiva, con pedane relativamente alte e arretrate e manubrio un po’ più avanzato e basso delle altre e regolabile attraverso un non bello, ma pratico sistema. Via via più turistiche, quindi con pedane più basse e avanzate e manubri più alti e arretrati, sono nell’ordine la K1600GT, la R1250RT e la K1600GTL.
Anche la capacità di carico offerta dalle tre grandi valigie – il topcase è di serie solo sulla GTL – buona in assoluto, ma non paragonabile a quella offerta dalle maxienduro con il tris di portattrezzi di alluminio, è praticamente la stessa per tutti i modelli, come pure la praticità di utilizzo.
Dal punto di vista degli accessori, la versione 2021 della RT è imbattibile, perché offre un sistema di sospensioni D-ESA particolarmente avanzato, comprende la regolazione automatica del precarico in funzione del peso imbarcato – una chicca assente perfino sulle K1600 – l’enorme strumentazione TFT collegabile allo smartphone – il quale dispone a richiesta anche di un vano stagno con ricarica a induzione – il cruise control adattivo, che varia automaticamente la velocità in funzione della velocità del veicolo che precede, e – finalmente, gli RT-isti lo attendevano da anni – un tecnologicissimo gruppo ottico anteriore, che è orientabile come quello delle 6 cilindri in modo da compensare l’inclinazione della moto e seguire lqualsiasi traiettoria curva, ma lo migliora ulteriormente in funzionalità e potenza.
Seguono le K1600, che tra l’altro sono le uniche ad offrire la retromarcia elettrica (quasi indispensabile su moto così pesanti).
Più distanziata la K1300GT, che è l’unica a non offrire le mappature motore e la radio e ad essere dotata di ESA e sistemi di controllo elettronici meno recenti, ma comunque efficaci. Resta comunque una moto ben accessoriata anche rispetto agli standard attuali: sospensioni regolabili, cruise control e faro allo xeno fanno ancora la loro porca figura.
Prestazioni velocistiche
La K1300GT e le K1600 offrono la stessa potenza, 160 CV. Le sei cilindri dispongono di una coppia nettamente maggiore, però la 1300 è decisamente più leggera, ha una sezione frontale inferiore e ha rapporti molto più corti – basti pensare che a 130 km/h in 6a il suo motore frulla a circa 4900 giri, contro i 3800 delle 6 cilindri. Il risultato è che la K1300GT risulta almeno altrettanto scattante e veloce della K1600GT, ma ha una ripresa in 6a marcia ancora migliore.
La K1600 GTL ha prestazioni analoghe a quelle della sorella GT, ma velocità autolimitata elettronicamente a 220 km/h; una scelta saggia, vista la postura decisamente più rilassata e il topcase più arretrato.
La R1250RT con i suoi onorevolissimi 136 CV risulta un po’ più distanziata in accelerazione massima e in velocità, ma la poderosa coppia del boxer a fasatura variabile, superiore a quella già eccellente del 4 cilindri, unita a una rapportatura piuttosto corta per una bicilindrica – 4470 giri a 130 km/h in 6a – rendono questa moto imbattibile in ripresa, cioè nella capacità di accelerare senza scalare marcia.
Un’indicazione interessante delle caratteristiche di ripresa è data dalla coppia massima disponibile su ciascun modello alla ruota in 6a marcia a 130 km/h – cioè dalla quantità di spinta di cui si dispone effettivamente a quella velocità spalancando il gas – e dal rapporto tra questa coppia e il peso di ciascuna moto, cui è strettamente correlata l’accelerazione effettiva risultante. I dati indicati nella tabella seguente confermano l’efficacia della R1250RT e la relativa, sorprendente minor ripresa delle 6 cilindri.
R1250RT
K1300GT
K1600GT
K1600GTL
Coppia massima disponibile alla ruota in 6° a 130 km/h in Nm
530,73
526,40
508,67
508,67
Coppia massima disponibile alla ruota in 6° a 130 km/h per kg di peso in Nm
1,90
1,83
1,52
1,45
Discorso opposto vale per la capacità del motore di riprendere dai bassissimi regimi, dove il sei cilindri è imbattibile, potendo riprendere a gas spalancato praticamente dal minimo senza fare una piega, il quattro cilindri se la cava ancora piuttosto bene, potendo ripartire benone da 1500 giri, mentre il boxer è ottimo per essere un bicilindrico, ma più di tanto non può fare; farlo scendere sotto i 2500-3000 giri in 6a è davvero una cattiveria, che viene punita con vibrazioni che scuotono tutta la moto.
Dinamica
L’RT e la K 1600GT sono moto stabili, decisamente maneggevoli nonostante la mole, ben frenate e in grado di piegare forte in curva.
La K1300GT è un po’ meno maneggevole, ma grazie alle pedane più alte è capace di inclinazioni ancora maggiori.
Discorso a parte va fatto per la K1600GTL, dove a una sella molto bassa corrispondono pedane altrettanto basse, che limitano l’angolo di inclinazione a soli 37° circa, un buon valore per una grande moto da crociera – è paragonabile a quello offerto dalla Honda Gold Wing – ma che la taglia inesorabilmente fuori dal novero delle sport-tourer.
Confort
Tutti e quattro i modelli sono ovviamente comodissimi e adatti ai lunghi viaggi, ma ciascuno con le proprie peculiarità.
Dal punto di vista del molleggio, sono tutte moto molto valide, anche se non raggiungono l’eccellenza delle maxi enduro con sospensioni a corsa lunga. Le due GT offrono un molleggio un po’ più fermo e sportivo, mentre la GTL e la RT dispongono di sospensioni più soffici, anche se mai tali da mettere in crisi l’assetto.
L’RT eccelle per protezione aerodinamica, ineguagliata perfino dalla K1600GTL, il cui parabrezza è sì molto protettivo, ma ostacola più o meno sempre la vista, almeno se si è alti fino a 180 cm. Meno protettive la K1300GT, che lascia sostanzialmente scoperte mani e braccia e non arriva mai ad evitare del tutto il flusso d’aria sul casco, e la K1600GT, che può azzerare l’aria sul casco, ma crenado problemi di visuale. Molto interessanti le alette laterali presenti sulle K1600, che consentono di aumentare il flusso di aria sul corpo del pilota nella stagione estiva.
Quanto a vibrazioni, il boxer della R1250RT ne fornisce un bel po’ a qualsiasi regime, più che in qualsiasi altra tourer anche della concorrenza. Da questo punto di vista le K1600 sono ovviamente ottime, anche se non raggiungono la vellutata eccellenza propria della Honda Gold Wing. Molto buono il comportamento della K1300GT, che vibra poco e solo a certi regimi.
Per quanto riguarda infine la rumorosità, a partire dal 2010 BMW ha abbracciato una filosofia che premia la sboronaggine e ha dotato tutte le sue moto di scarichi decisamente più rumorosi che in passato. Ecco perché da questo punto di vista la K1300GT batte nettamente tutte le altre – almeno dal punto di vista di un non-sborone – garantendo una marcia di crociera decisamente silenziosa, tanto che a partire dai 120 km/h il rumore del motore non è avvertibile neanche chinandosi in avanti per azzerare il fruscio del vento. Ben più rumorose le K1600, che però almeno possono vantare il nobile sound del 6 cilindri, e ancora peggio fa la RT, la cui rumorosità di scarico è resa ancora più evidente dalla quiete aerodinamica quasi assoluta offerta dalla sua carenatura.
Consumi
La palma di moto più risparmiosa va alla RT, che dispone anche dell’autonomia maggiore, grazie ai 25 litri di capienza del suo serbatoio. Leggermente più indietro da entrambi i punti di vista la K1300GT, che comunque consuma decisamente poco per le prestazioni che offre e nonostante i rapporti piuttosto corti. Mediamente un po’ più assetate, ma comunque non molto in assoluto viste le caratteristiche, le K1600, che sono seppur di poco ultime anche per autonomia nonostante i 26,5 litri del loro capiente serbatoio.
Considerazioni finali
La R1250RT è una moto dalle grandi qualità, che ottiene in questa comparativa il piazzamento più alto. In pratica, i sui unici veri difetti sono la rumorosità dello scarico e le vibrazioni. Se viaggiare su una comodissima e velocissima tagliaerba non rappresenta per voi un problema, sceglietela tranquillamente e sarete motociclisti felici.
La K1300GT offre un’alternativa eccellente e più raffinata alla RT e non a caso si piazza nella nostra classifica immediatamente a ridosso di quella. Meno efficace sotto alcuni aspetti, ma decisamente migliore sotto altri, è una moto assai equilibrata e priva di difetti e la sua anzianità non ha minimamente appannato le sue eccellenti caratteristiche.
La K1600GTL è un oggetto fuori dal coro in questa comparativa, perché la posizione di guida da custom e il limitato angolo di inclinazione massima la pongono in un altro universo, quello delle luxury tourer non sportive. Vista in quest’ottica ha decisamente senso, e nonostante l’anzianità di progetto – le K1600 sono sostanzialmente immutate da dieci anni – costituisce tuttora una vincente alternativa alla sua unica vera concorrente, la Gold Wing. Non a caso, nell’ultima versione Honda è dovuta correre ai ripari, riducendo il peso del suo mastodonte a un valore comparabile con la tedesca e perfino adottando la sua stessa particolarissima sospensione anteriore.
La K1600GT si piazza ultima, seppur di pochissimo, tra le moto del nostro test, perché è sostanzialmente equivalente a una K1300GT sotto quasi ogni aspetto, ma è molto più pesante nelle manovre da fermo, ha meno ripresa e consuma un po’ di più. Certo, il suono e la levigatezza del 6 cilindri sono magnifici, ma ha senso fare un passo indietro sotto punti di vista anche importanti, pur di averli? BMW ha sicuramente avuto le sue ragioni per sostituire la K1300GT con la K1600GT – semplificazione della gamma, appeal del 6 cilindri in linea, che è anche ben noto sulle sue auto, miglior ammortamento dei costi di sviluppo del nuovo motore – ma gli amanti delle tourer hanno perso una moto magnifica.
Negli ultimi vent’anni anni ho guidato tutte le BMW della serie R uscite sul mercato. Com’è noto, si tratta dei modelli dotati del motore boxer a due cilindri contrapposti, vero e proprio marchio di fabbrica della casa tedesca, prodotto nelle sue sempre più evolute varianti ininterrottamente dal 1923 a oggi. Sono tutte moto eccellenti, e nonostante abbiano molte caratteristiche in comune, sono piuttosto diverse tra loro per estetica, destinazione d’uso, peso e prestazioni.
Le mie preferite sono le R (“Roadster”, “scoperta”) e RS (“Reise-Sport”, “sportiva da viaggio”), le più sportiveggianti della famiglia, scattanti e piuttosto maneggevoli, ma adatte anche al turismo, grazie al buon confort e alle valigie ben integrate.
Ottime sono anche le GS standard e Adventure (“Gelände-Strasse”, “entro-fuoristrada”), polivalenti, comodissime e dotate di valigie enormi, ma anche efficacissime nel misto.
E poi c’è l’RT.
A livello estetico, l’RT è tondeggiante come una matrona, più di qualsiasi altra moto carenata, e ti protegge ai fianchi con cilindri, retrovisori e borse, tutti che sfiorano il metro di larghezza.
La mia prima BMW fu proprio un’RT, per la precisione una R1150 RT, comprata nuova nel 2001. Si chiamava “Ursula”, nome azzeccatissimo, scelto dalla mia ex moglie in quanto “giunonica e teutonica”.
RT sta per “Reise-Tourer”, “turistica da viaggio”, qualora non si capisse qual è lo scopo di questa moto. L’acronimo nacque alla fine degli anni ’70 con la R100RT, ma per quanto mi riguarda, la prima vera RT è stata la R1100RT del 1996, gigantesca e dotata di motore a quattro valvole, sospensioni Telelever all’avantreno e Paralever al retrotreno, carenatura totale e specchietti che fungono da paramani, una di quelle cose che affascinano gli ingegneri tedeschi, sempre attratti dalle idee platoniche, che però poi soffrono l’impatto con la realtà – in ogni serie RT gli specchi riflettono per buona parte le nocche del pilota.
Tutte queste caratteristiche sono rimaste in ciascuna delle serie successive: 1150, 1200 raffreddato ad aria nelle sue varianti monoalbero e bialbero, 1200 raffreddato ad acqua, fino all’attuale 1250. Un’evoluzione di una coerenza ammirevole, in cui ogni modello migliora il precedente sotto tutti gli aspetti senza mai tradire la filosofia del progetto. Per questo mi riferisco all’RT come se fosse un’unica moto evolutasi nel tempo.
Le sue sontuose grazie ti avvolgono in una bolla di aria pressoché ferma anche alle velocità più elevate, a patto di trovare la giusta posizione del suo grande parabrezza, regolabile elettricamente e millimetricamente con un pulsantino a portata di pollice. Pochi centimetri più in basso e l’aria ti arriva in faccia come su una volgare nuda, pochi più in alto e la turbolenza ti spinge il busto in avanti e prende a schiaffi il passeggero.
Viste le premesse estetiche, non stupisce che l’RT sia comoda, anzi comodissima nei lunghi viaggi, anche perché oltre alla maxicarena è dotata di selle ampie e soffici, di accessori sempre più numerosi che coccolano pilota e passeggero fino all’inverosimile – radio, manopole e selle riscaldabili separatamente per pilota e passeggero, cambiata elettroassistita, da quest’anno anche il cruise control attivo dotato di radar – e di sospensioni morbide e sempre più perfezionate, che con il tempo sono diventate regolabili elettricamente e infine semiadattive, raggiungendo un livello di perfezione pressoché assoluta.
E tutto questo si sposa con capacità dinamiche di tutto rispetto. Sì, perché con l’RT, in qualsiasi sua incarnazione, si può correre come sui binari in autostrada, svicolare sorprendentemente in città e nel misto stretto, piegare alla grande grazie a una luce a terra da sportiva di razza, frenare in un amen anche scendendo da un passo alpino e fare sorpassi mozzafiato grazie a motori sempre ricchi di coppia, che con gli anni si sono evoluti dai 90 CV e 95 Nm della 1100 ai 136 CV e ben 143 Nm della 1250, un valore degno di un rimorchiatore, battuto solo da mostri come BMW K1600, Honda Goldwing, Triumph Rocket 3 e Suzuki Hayabusa.
Insomma, la moto stradale totale? Sì, lo è davvero, fa molto bene praticamente tutto.
Però io non la sopporto. Non a caso, dopo due anni e mezzo e 60.000 km, sono passato alla prima di una lunga serie di K a quattro cilindri – sette in tutto, tra “sogliole” e “frontemarcia”.
La ragione per cui non la sopporto è banale, ma decisiva: perché vibra.
Sperando che fosse una questione risolvibile con il progresso tecnologico, ogni volta che usciva una nuova versione, correvo a provarla con entusiasmo, ogni volta ne apprezzavo l’estetica, gli accessori e la magnifica costruzione, e ogni volta invariabilmente il mio entusiasmo si trasformava in disappunto per l’unico, vero, grandissimo difetto che questa moto ha ai miei occhi: vibra.
Intendiamoci: il Boxer è un gran motore, che nelle sue più recenti versioni è diventato una bestia dalla coppia possente e dalla potenza più che adeguata. Ma per quanto migliorato, rimane comunque un bicilindrico e come tale vibra; non come una volta, certo, ma vibra sempre e comunque. All’avviamento scuote tutta la moto, al minimo fa oscillare il parabrezza, in movimento è comunque sempre presente su manopole e pedane e, se si spalanca il gas sotto i 3000-3500 giri, il tiro è possente e regolare, ma la moto è interamente scossa da un tremito brutale, che offusca completamente la vista dagli specchietti. E questo vale per tutte le serie. La 1100 era un dramma, con le sue sole 5 marce in autostrada sembrava un martello pneumatico. Poi è arrivata la sesta e si sono aggiunti contralberi di equilibratura sempre migliori, ma è anche aumentata la cilindrata e la sostanza non è cambiata.
Come se non bastasse, il Boxer ha anche un suono poco sexy, e hanno voglia a cercare di renderlo più sportiveggiante con scarichi Akrapoviç sempre più aperti e particolarmente fastidiosi su questa moto, visto che l’abolizione pressoché totale dei fruscii aerodinamici dovuta alla super carenatura mette in particolare evidenza la rumorosità meccanica. Ammettiamolo: se passa una Ducati o una Guzzi, tutti quelli che hanno un minimo di sangue motociclistico nelle vene si voltano affascinati, ma se passa una BMW col boxer, gli unici che girano la testa sono i BMWisti e gli aspiranti tali.
La cosa più bizzarra di questa faccenda è che trovo perfettamente accettabile il Boxer sulle GS e anche sulle stradali R e RS, è solo sulla RT che proprio non lo sopporto. Ogni volta mi sento come se mi accomodassi in una Serie 5: coccolato da un interno sontuoso e raffinato, chiudo lo sportello e mi trovo d’incanto in una bolla di silenzio ovattato profumata di cuoio, accendo il quadro, la strumentazione elegantissima prende vita, il climatizzatore si avvia silenzioso e discreto, aziono il pulsante di avviamento e… tutto si mette a vibrare, e la magia sparisce di colpo.
Ecco, non sopporto l’RT, perché con tutta la sua opulenza e raffinatezza, i suoi gadget di sapore automobilistico e la sua accoglienza regale, mi aspetto istintivamente che all’avviamento prenda vita un motore levigato, fluido, sexy, e non una versione gigante del motore della Due Cavalli, potente, sì, ma insopportabilmente ruspante rispetto alla classe della moto.
Ho lavorato per venti anni su questa cosa, cercando di convincermi che sbaglio. La mia parte razionale sa che è una gran moto, ma il mio istinto si sente preso per il culo e me la fa odiare.
Non dico che la vorrei con il sei cilindri; per quello c’è già la magnifica K1600, che però comporta almeno mezzo quintale in più da brandeggiare in mezzo al traffico. Ma l’RT meriterebbe alla grande un quattro cilindri, come tutte le sue concorrenti.
In un certo senso, il caso della RT somiglia a quello della KTM 690. Il suo motore monocilindrico, cavallo di battaglia della Casa, aveva raggiunto negli anni un livello sideralmente superiore a quello di qualsiasi concorrente, andava fortissimo e vibrava pochissimo per essere un mono. Ma sempre un mono rimaneva, e per quanto lo si potesse perfezionare, andava meno e vibrava più di qualsiasi suo concorrente bicilindrico.
La casa di Mattighoffen alla fine ha capito e ha sviluppato il bicilindrico delle 790 e 890, creando due moto straordinarie e praticamente imbattibili nella categoria.
Pensate che cosa potrebbe essere una RT con motore a quattro cilindri boxer. BMW, che cosa aspetti?
Le BMW F900R e F900XR sono basate sulla stessa piattaforma della
F850GS (trovate la nostra prova qui) ed espandono
la nuova gamma media della Casa bavarese con una versione naked — la R — che
prende il posto della F800R, e una crossover — la XR — che occupa uno spazio
del tutto nuovo nella gamma BMW, proponendosi come versione “piccola” della
S1000XR.
Pur condividendo larga parte della meccanica e l’estetica della parte posteriore, le due moto si rivolgono a una clientela completamente diversa, e il prezzo delle due versioni a parità di accessori, 8.950,00 Euro per la F900R e 11.350.00 per la XR, sta lì a sottolinearlo. Nel seguito torneremo sull’argomento.
Come sono
Aspetto
La F900XR ha un design strettamente imparentato con quello della S1000XR, con cui condivide l’andamento generale della carenatura e in genere di tutta la parte anteriore. Distribuzione dei volumi e design generali sono simili, ma la 900 ha un serbatoio più snello e coda più corta, da cui il caratteristico fanalino posteriore montato su una struttura particolarmente allungata. Particolarmente bello il doppio gruppo ottico anteriore con le luci diurne che ne marcano il profilo inferiore. Il cupolino è disponibile in due versioni, normale e Sport quest’ultima di serie se si acquista la XR rossa. In entrambi i casi esso è regolabile manualmente in due posizioni tramite una pratica leva.
La F900R invece, pur ricordando per alcuni versi la R1250R, specie
all’anteriore, ha una maggior personalità. Non ha niente a che vedere con la vecchia
F800R, rispetto alla quale è assai più attraente e aggressiva, con il suo
design affilato e i volumi spostati verso l’anteriore, che sembrano voler
simboleggiare le sue peculiari caratteristiche di guida, che vedremo nel
seguito.
Su entrambe le moto spicca, rispetto alla F850GS, il fatto
che le pedane del passeggero sono montate su piastre color alluminio che
sostengono anche le pedane del pilota e sono fissate al motore, anziché su telaietti
imbullonati al telaietto reggisella. La nuova soluzione mette in risalto
l’ammortizzatore posteriore e lascia visivamente più libera la ruota.
Ciclistica
A differenza che nelle F800, dove i modelli GS e R erano
equipaggiati con telai diversi, sulle F900 il telaio si basa sulla stessa monoscocca
in acciaio della F850GS, che usa il motore come elemento strutturale. Ad essa però
è imbullonato un telaietto reggisella modificato, sempre in acciaio, che
riflette la minor lunghezza della parte posteriore.
Lo schema delle sospensioni ricalca quindi quello della
F850GS, con le differenze dovute alla diversa destinazione d’uso.
La forcella, non regolabile, è a steli rovesciati da 43 mm
con ammortizzatore di sterzo, mentre al retrotreno abbiamo un forcellone in
alluminio a doppio braccio, con ammortizzatore a smorzamento lineare ancorato
senza leveraggi e regolabile manualmente nel precarico e nel freno idraulico in
estensione.
Le principali quote ciclistiche per i due modelli sono le
seguenti.
F900R:
escursione anteriore 135 mm (+ 10 mm rispetto
alla F800R)
escursione posteriore 142 mm (+ 17 mm)
interasse 1.518 mm (- 8 mm)
avancorsa 114,3 mm (+14,3)
angolo di inclinazione dello sterzo 24,95° (-1,05°,
vedi testo)
F900XR:
escursione anteriore 170 mm
escursione posteriore 172 mm
interasse 1.521 mm
avancorsa 105,2 mm
angolo di inclinazione dello sterzo 24,95° (vedi
testo)
A parte l’ovvia maggior corsa delle sospensioni sulla XR, da
questi dati spicca la maggior avancorsa sulla F900R (soprattutto rispetto alla
vecchia F800R), una caratteristica che, come vedremo in seguito, si riflette in
modo evidente sulla guida.
BMW dichiara per entrambi i modelli un angolo di
inclinazione dello sterzo pari a 29,5°. Come ho dimostrato in un mio altro articolo,
si tratta certamente di un errore; l’angolo reale è di circa 24,95°, ben più
sportivo e corrispondente alle caratteristiche di guida delle due moto.
Le ruote sono in lega a 10 raggi con pneumatici tubeless, nelle
canoniche misure 120/70 ZR 17 su cerchio da 3,5 x 17” all’anteriore e 180/55 ZR
17 su cerchio da 5 x 17” al posteriore.
Motore
Il motore è uguale su entrambi i modelli, deriva da quello
della F850GS e ovviamente è anch’esso progettato da BMW, prodotto dalla cinese
Loncin e controllato con attenzione in fase di produzione dalla Casa tedesca.
Si tratta sempre di un bicilindrico in linea bialbero a
quattro valvole per cilindro montato trasversalmente, con albero motore a due
gomiti distanziati di 90° e fasi distanziate di 270° tra i due cilindri, cosa
che conferisce al motore la tipica sonorità di un 2 cilindri a V a 90° (per
maggiori dettagli sull’argomento, vedere la nostra prova della BMW F850GS).
La distribuzione è sempre a quattro valvole radiali per
cilindro, azionate indirettamente da due alberi a camme in testa mediante
l’interposizione di piccoli bilancieri, secondo uno schema diffuso sugli ultimi
modelli della Casa bavarese, mentre lo smorzamento delle vibrazioni è affidato
a due contralberi di equilibratura, posti davanti e dietro all’albero motore e
leggermente più in basso e azionati da ingranaggi.
Da notare anche la presenza di un decompressore su ogni
cilindro, che si apre automaticamente un po’ sotto i 1000 giri al minuto. Esso
riduce lo sforzo necessario per far ruotare il motore spento e quindi consente
un avviamento particolarmente pronto a parità di motorino d’avviamento.
Rispetto a quello della F850GS, il motore delle F900 ha
subito una rivisitazione in chiave sportiva. La cilindrata è stata portata da
853 a 895 cc, aumentando l’alesaggio da 84 a 86 mm e lasciando invariata la
corsa a 77 mm, i pistoni ora sono forgiati e quindi più leggeri, per consentire
regimi maggiori, e il rapporto di compressione è passato da 12,7 a 13,1:1.
Ne risultano i seguenti dati:
potenza massima 105 CV a 8500 giri (+10 CV a +
250 giri rispetto alla F850GS)
coppia massima 92 Nm a 6500 giri (+ 250 giri
rispetto alla F850GS)
La coppia massima, apparentemente uguale a quella della F850GS, in realtà lo è solo nel valore di picco, perché la sua curva risulta nettamente più favorevole in tutto l’arco di utilizzo, con un valore superiore a 90 Nm sempre disponibile tra 4500 e 8300 giri.
La differenza con i dati della vecchia F800R è ancora più
evidente.
Entrambi i modelli sono disponibili in una versione da 48 CV
per la guida con la patente A2. In questa versione è possibile successivamente portare
la potenza massima a 95 CV, che è quella massima che la legge consente per
trarre i modelli depotenziati.
Trasmissione
Il cambio delle F900 è esattamente identico a quello della F850GS, compresi i rapporti della trasmissione primaria e secondaria. Però lo pneumatico posteriore 180/55 ZR 17 delle F900 ha un diametro leggermente inferiore rispetto al 150/70 R 17 della F850GS, perciò in pratica i rapporti risultano leggermente accorciati.
La frizione, azionata via cavo, è antisaltellamento.
A richiesta è disponibile l’Assistente cambio Pro, cioè il quickshifter
di BMW, funzionante anche in scalata.
Freni
Le F900 sono equipaggiate con freni dall’aspetto più aggressivo
di quelli della F850GS. I due dischi anteriori passano da 305 a 320 mm e al
posto delle pinze flottanti ci sono due Brembo radiali a quattro pistoncini,
mentre resta invariato il disco posteriore da 265 mm con pinza flottante a un
pistoncino.
Tutti i freni sono azionati da pompe tradizionali attraverso
tubi in treccia metallica.
L’impianto ABS di serie è di tipo tradizionale a due canali
separati, cioè senza frenata integrale.
Elettronica di controllo
Di serie entrambe le F900 sono equipaggiate con:
ABS
ASC (Automatic Stability Control,
cioè il controllo automatico della trazione)
modalità di guida Rain e Road, che
influiscono sulla risposta al comando del gas e sulla regolazione di ASC e ABS.
A richiesta è disponibile una miriade di altri
sistemi, analoghi a quelli disponibili nelle serie “grandi” R, S e K e
decisamente più avanzati di quelli offerti in genere dalla concorrenza del
segmento.
D-ESA (Dynamic Electronic Suspension Adjustment)
Per quanto riguarda le sospensioni, è disponibile il D-ESA,
che agisce solo sulla sospensione posteriore, ma è comunque assai migliore
del rudimentale ESA disponibile sulla vecchia serie F800.
La sospensione è semi-attiva, ovvero lo smorzamento
idraulico è adattato continuamente e istantaneamente in base alle sconnessioni
del fondo stradale. Ferma restando questa caratteristica, in qualsiasi momento
è possibile scegliere tra due regolazioni di base: Road, adatta a tutte
le occasioni, e Dynamic, più rigida e sportiva.
Inoltre, il D-ESA consente di regolare elettricamente a moto
ferma il precarico della molla posteriore in funzione del carico, con le
classiche regolazioni per solo pilota, con bagagli e con
passeggero ed eventuali bagagli.
Riding Modes Pro
L’opzione Riding Modes Pro aggiunge alle modalità di
guida Rain e Road le più sportive Dynamic e Dynamic Pro e offre
una serie di aiuti elettronici avanzati, resi possibili dalla presenza di una
piattaforma inerziale che controlla millimetricamente il movimento della moto
in tutte le direzioni. Al riguardo, questa volta in BMW hanno voluto esagerare
e hanno inserito nel pacchetto un sacco di cose, di cui alcune sono una novità.
Vediamole in dettaglio.
DTC (Dynamic Traction Control)
Si tratta di un sistema di
antipattinamento che, a differenza dell’ASC, tiene conto dell’angolo di
inclinazione della moto ed è disinseribile.
ABS Pro
È una funzione aggiuntiva
dell’ABS, che limita la potenza frenante nella fase iniziale quando la moto è
inclinata e serve a limitare al massimo gli effetti di un azionamento troppo
brusco del freno anteriore in curva.
DBC (Dynamic Brake Control)
Questa funzione è utile in
particolare nel caso di motociclisti alle primissime armi. Essa rileva se il
gas è erroneamente aperto nelle frenate di emergenza e lo azzera, migliorando
in tal caso la stabilità della moto e gli spazi di frenata.
MSR (controllo del freno motore)
Si tratta di un sistema che
regola il freno motore attraverso l’acceleratore, diminuendolo (cioè dando gas)
in caso di brusche scalate in modo da evitare qualunque pattinamento del
retrotreno.
Questo acronimo costituisce una
curiosa anomalia nel mare delle sigle usate da BMW, perché a differenza di
tutti gli altri è in tedesco (“Motor Schleppmoment Regelung”, che letteralmente
vuol dire “regolazione del momento di trascinamento del motore”).
Purtroppo, esso non funziona con
le altre lingue. Non a caso, nella cartella stampa in inglese rilasciata al
lancio delle F900 (chi è curioso può scaricarla qui),
esso viene descritto come “engine drag torque control”.
In realtà, nel mondo degli aiuti
elettronici esiste un altro acronimo che nasce in tedesco: ABS, che sta per
“Anti-Blockierung System”. Ma in questo caso è stato possibile riciclare
l’acronimo anche in inglese, usando l’impervia traduzione “Anti-lock Braking
System”.
Quando la moto è equipaggiata con D-ESA e Riding Modes
Pro, la scelta della modalità di guida influisce su tutti gli altri parametri
come segue.
Rain
Risposta al gas estremamente progressiva, dolcissima
alle basse aperture e via via più pronta ruotando la manopola.
DTC regolato per guida sul bagnato.
ABS regolato per fondi a media e bassa aderenza.
Funzione ABS Pro attiva.
Sistemi anti impennata e anti-stoppie regolati
al massimo.
MSR regolato al massimo, per evitare ogni
derapata causata dal freno motore.
D-ESA in Road o Dynamic in base alla scelta del
pilota.
Road
Risposta al gas progressiva, dolce alle basse
aperture e via via più pronta ruotando la manopola.
DTC regolato per guida sull’asciutto.
ABS regolato per fondi a media e bassa aderenza.
Funzione ABS Pro attiva.
Sistemi anti impennata e anti-stoppie regolati
al massimo.
MSR regolato al massimo, per evitare ogni
derapata causata dal freno motore.
D-ESA in Road o Dynamic in base alla scelta del
pilota.
Dynamic
Risposta al gas diretta.
DTC regolato per guida dinamica.
ABS regolato per guida su superfici a media e
alta aderenza.
Funzione ABS Pro disponibile solo su superfici a
media aderenza e disattivata per quelle ad alta aderenza, per consentire la
massima prontezza dei freni.
Sistemi anti impennata e anti-stoppie che
consentono brevi impennate e stoppie.
MSR ridotto, per consentire un certo slittamento
in scalata.
D-ESA per default in Dynamic.
La modalità Dynamic Pro viene attivata solo dopo il
tagliando di fine rodaggio dei 1000 km, mediante l’inserimento di un connettore
posto sotto la sella. La presenza del connettore è segnalata nel display TFT dal
simbolo di una spina elettrica.
Questa modalità consente un buon adattamento alle
esigenze del singolo pilota sportivo, grazie alla possibilità di scegliere
singolarmente tra:
tre diverse mappature del gas;
tre diverse regolazioni del sistema DTC;
tre diverse regolazioni dell’ABS.
In ogni caso, essa prevede sempre:
funzione ABS Pro disattivata, per consentire la
massima prontezza dei freni;
sistemi anti impennata e anti-stoppie
disinseriti.
In presenza dell’opzione Riding
Modes Pro è inoltre possibile preimpostare fino a un massimo di quattro
modalità di guida personalizzate, in ciascuna delle quali possono essere
configurati individualmente tutti i diversi parametri, pescandoli a piacere
dall’insieme delle modalità di guida descritte sopra.
L’intero pacchetto non raggiunge
i livelli di personalizzazione possibili su una Ducati o su una Aprilia, però offre
tutto quello che può servire anche al motociclista più smaliziato, e ha dalla
sua la grande semplicità nella scelta dei vari settaggi.
Comandi
I comandi sono quelli classici delle BMW attuali,
esteticamente gradevoli e caratterizzati dalla presenza di numerosi tasti per
azionare tutti i servizi disponibili di serie o a richiesta. Sono davvero
tanti, specialmente sul lato sinistro, tanto da far sentire di notte la
mancanza di una retroilluminazione.
Le frecce si azionano con il comando standard e
dispongono dello spegnimento automatico. La loro logica è molto sofisticata,
e sembra quasi che la Casa bavarese abbia ascoltato le critiche che avevamo
formulato in occasione della prova della F850GS. La novità è che ora il comando
si comporta diversamente se lo si aziona brevemente o se si prolunga la
pressione.
Con un tocco veloce, le frecce si spengono:
sotto i 30 km/h, dopo 50 metri
tra i 30 e i 100 km/h, dopo un tratto di strada
che varia in funzione della velocità e dell’accelerazione
sopra i 100 km/h, dopo 5 lampeggi
Con un tocco prolungato, le frecce si spengono sempre dopo un tratto di strada che varia in funzione della velocità. Da qualche prova fatta, emerge che a 130 km/h i lampeggi sono 14, mentre riducendo la velocità aumentano.
Questa logica è molto funzionale e risolve un antico problema di questo sistema, cioè la necessità di ripetere l’azionamento quando si vuole segnalare l’uscita da un tratto autostradale.
Il lampeggio dell’abbagliante è ottenuto premendo con
l’indice una levetta posta sopra al blocchetto sinistro, mentre il devioluci è
attivato tirando verso l’esterno la stessa leva.
Il clacson — sempre indegno di una moto seria, non smetterò
mai di dirlo — è azionato dal consueto pulsante sotto al comando delle frecce –
l’eventuale presenza della ghiera del Multi-controller non ne ostacola più di
tanto il raggiungimento – mentre l’hazard è azionabile con un pulsante dedicato
posto sopra al blocchetto sinistro.
Sempre nel blocchetto di sinistra sono presenti il tasto del
sistema opzionale D-ESA descritto più sopra e i comandi del pratico cruise
control BMW, pure in opzione. Come di consueto, esso viene azionato da una
levetta dotata di una protezione scorrevole che funge da interruttore per lo
spegnimento. Una volta spostata la protezione verso destra, premendo la levetta
in avanti si imposta la velocità corrente, che viene mantenuta finché non si
frena o si tira la frizione o si cambia (se la moto è dotata di quickshifter) o
si forza la chiusura del gas. Se a regolazione attiva si preme la levetta in
avanti o all’indietro, la moto accelera o decelera progressivamente finché non
si rilascia il comando, mentre se la regolazione è stata disattivata, tirando
la levetta all’indietro si richiama l’ultima velocità memorizzata.
Sul blocchetto di destra sono presenti invece il tasto per
il riscaldamento delle manopole con tre opzioni – riscaldamento rapido e due
livelli di intensità – quello per i mode di marcia, descritti più sopra, e il consueto
tasto a bilanciere per l’avviamento del motore e lo spegnimento di emergenza.
A richiesta è disponibile il sistema Intelligent
Emergency Call, per ottenere soccorso in situazioni di emergenza. In tal caso
è presente un grosso pulsante rosso vicino al blocchetto destro — protetto da
un coperchio di sicurezza sollevabile facilmente e identificabile dalla scritta
SOS — per evitare chiamate accidentali.
Il sistema utilizza la SIM dello smartphone e quindi funziona
a condizione che esso sia collegato alla strumentazione. In tal caso, alla pressione
del tasto, oppure automaticamente qualora i sistemi rilevino un incidente, il
sistema chiama il BMW Call Center, che si rivolge al pilota nella sua lingua,
attraverso un altoparlante e un microfono installati sulla moto — così non è necessario
dover ripescare lo smartphone — e attiva la catena dei soccorsi in base alle
necessità.
A richiesta è disponibile anche il sistema Keyless Ride.
La chiave rimane in tasca, mentre l’avviamento e il bloccasterzo sono governati
da un bel tasto presente al posto del blocchetto di avviamento. Premendo il
tasto brevemente si accende il quadro, ripremendolo brevemente si spegne,
mentre tenendolo premuto per un paio di secondi inserisce o disinserisce il
bloccasterzo. Il sistema agisce anche sul tappo del serbatoio, che può essere
aperto solo entro un paio di minuti dallo spegnimento del quadro, per la
disperazione di parecchi utenti che non avevano letto il manuale d’uso.
Tra i vari sistemi del genere che ho provato, questo è senza
dubbio il più pratico, ma personalmente continuo a preferire il sistema con la
chiave tradizionale, perché non trovo faticoso doverla inserire in una serratura
e perché essa mi consente di sbloccare il bloccasterzo e accendere il quadro in
una frazione di secondo, senza dover attendere i due secondi del keyless.
Strumentazione
Le F900 sono dotate di serie della strumentazione
TFT a colori con display da 6,5” tipica dell’attuale produzione BMW,
azionabile per mezzo del Multicontroller — la pratica ghiera posta all’interno
della manopola sinistra — e del tasto “Menu” posto sul blocchetto sinistro. Si
tratta di una dotazione di particolare pregio in questa classe, dove di solito
i display sono nettamente più piccoli e meno raffinati.
La strumentazione prevede diverse visualizzazioni di cui
alcune dedicate alla guida e altre alle informazioni accessorie.
Le informazioni di base — velocità, marcia inserita, ora
e temperatura ambiente, eventuale attivazione della commutazione automatica
dell’illuminazione diurna — sono presenti con qualsiasi visualizzazione mentre
le altre appaiono solo in alcune modalità oppure sono alternative tra loro.
La visualizzazionePure Ride è quella standard, semplice ma di un certo effetto, che oltre alle informazioni di base mostra una grande e scenica barra del contagiri e uno solo dei dati presenti nelle schermate Il mio veicolo o Computer di bordo (per esempio, livello carburante, chilometraggio parziale ecc.).
La visualizzazione Il mio veicolo mostra
chilometraggio totale, temperatura del liquido di raffreddamento, pressione
delle gomme (se presente l’RDC, il sistema optional di controllo
della pressione degli pneumatici), tensione della rete di bordo, autonomia
e indicatore delle scadenze dei tagliandi di manutenzione.
La visualizzazioneComputer di bordo mostra velocità
media, consumo medio, tempo totale di viaggio, tempo totale di sosta,
chilometraggio parziale e totale, data di ultimo reset.
La visualizzazioneComputer di bordo di viaggio
è uguale alla precedente, consente di rilevare i dati su un tratto differente e
si resetta da sola dopo sei ore di sosta o al cambiamento della data.
In abbinamento all’opzioneRiding Modes Pro è
disponibile su entrambi i modelli anche un’interessante visualizzazioneSport, caratterizzata da un bel contagiri analogico semicircolare posto
al centro dello schermo e da alcuni gustosi indicatori:
riduzione dei giri motore indotta dall’intervento
del DTC, istantanea e massima, in %
inclinazione istantanea e massima per i due
lati, in gradi
decelerazione istantanea e massima, in m/s2
Solo sulla F900Rl’opzioneRiding Modes Proprevede anche la visualizzazioneSport 2,
che esteticamente è uguale alla 1, ma è pensata per l’uso in pista e quindi mostra
i seguenti indicatori:
riduzione dei giri indotta dal DTC istantanea e massima, in %
tempo sul giro attuale
tempo sul giro migliore — può essere scelto quello odierno o il migliore di sempre
distacco dell’ultimo giro concluso o di quello attuale rispetto al giro migliore scelto
I tempi sul giro vengono marcati mediante la levetta del
devioluci.
Di serie è possibile abbinare via bluetooth la
strumentazione allo smartphone e all’interfono del casco, di qualsiasi
marca. In tal modo è possibile accedere a diverse funzionalità: telefonate e
rubrica, ascolto della musica — con un motore di ricerca
particolarmente ben fatto — e navigazione GPS, tutte governabili
direttamente tramite il Multicontroller e il tasto Menu. Inoltre, in tal modo è
possibile avere in qualsiasi schermata la visualizzazione del limite di
velocità corrente, ricavato dalle mappe GPS.
La navigazione GPS avviene, oltre che via audio, attraverso
le indicazioni di guida fornite dal navigatore dello smartphone (per
esempio Waze o Google Maps); non c’è la mappa, ma tutte le altre indicazioni
sì: distanza all’arrivo e ora prevista, distanza fino alla prossima svolta,
nome della strada attuale, nome della strada da prendere alla prossima svolta,
pittogrammi che descrivono gli incroci e le rotatorie del percorso e limite di
velocità lungo il tratto percorso. Il sistema è molto chiaro nel
funzionamento e non fa rimpiangere più di tanto il navigatore dedicato.
A richiesta è comunque possibile avere la predisposizione
per il navigatore BMW,che consiste in una staffa di fissaggio posta
sul manubrio, dotata di un sistema di chiusura con la chiave della moto il cui
azionamento è però abbastanza macchinoso. Il navigatore è anch’esso azionabile
tramite il Multicontroller e si interfaccia con la strumentazione, della quale
può mostrare alcune informazioni e alla quale cede l’ora esatta.
la predisposizione dovrebbe funzionare (uso il condizionale,
perché non l’ho testata personalmente) anche per il Navigator V e per gli equivalenti
modelli della Garmin, ma in tale ultimo caso l’integrazione tra apparecchio e
veicolo è meno perfetta e vengono a mancare alcune funzioni utili.
Illuminazione
Entrambi i modelli dispongono di serie di un impianto
d’illuminazione full led e a richiesta dell’Adaptive Cornering
Light, un sistema di luci adattive che si attiva con l’inclinazione della
moto e consente una più profonda illuminazione della traiettoria in curva.
Il gruppo ottico anteriore della F900R è singolo, di forma vagamente trapezoidale e ispirato a quello della R1250R, ed è diviso in tre parti, dall’alto in basso anabbagliante, luce di posizione/diurna e abbagliante, fiancheggiato dalle luci adattive in curva. Se è presente il sistema adattivo in curva, la R stilizzata al centro del gruppo ottico è retroilluminata, con un certo effetto scenico.
Come sulla maggior parte delle naked, neanche sulla F900R è previsto un sistema comodo di regolazione in altezza del faro in funzione del carico, ma è necessario allentare le viti di fissaggio. È vero che con il passeggero il precarico andrebbe sempre regolato e questo renderebbe inutile regolare il faro, ma è facile prevedere che le moto senza ESA con il passeggero abbaglieranno sempre gli altri utenti della strada, e con un faro led la cosa non è piacevole.
Il gruppo ottico della F900XR invece è doppio, come sulla S1000XR. I fari, perfettamente simmetrici, sono bordati inferiormente dalla luce di posizione/diurna e contengono al loro interno i proiettori, dall’interno all’esterno abbagliante, anabbagliante e luci adattive in curva. La regolazione in altezza avviene attraverso due rotelline (una per ogni faro) azionabili senza attrezzi, ma non è disponibile la pratica levetta per la commutazione rapida in due posizioni standard, che è presente su altri modelli della Casa e consente di non toccare la regolazione base.
Attraverso il menu Impostazioni della strumentazione è possibile impostare per default l’anabbagliante sempre acceso o la luce diurna a commutazione automatica, e si può sempre scegliere manualmente tra le due modalità attraverso un pulsante posto sul blocchetto sinistro.
Potenza, ampiezza e omogeneità sono ottime già sulla
F900R e migliorano ulteriormente sulla XR.
Però l’illuminazione adattiva non è poi così efficace,
perché all’esterno del fascio di luce del faro vero e proprio essa illumina solo
abbastanza fiocamente la traiettoria lungo la curva, offrendo quindi un vantaggio
tutto sommato marginale.
A onor del vero non ho mai provato sistemi analoghi su altre
moto. Forse il mio giudizio è così severo, perché l’unico paragone che posso
fare, quello con il magnifico faro adattivo delle K1600 (vedi la nostra prova delle BMW K1600),
è francamente impietoso. Ma parliamo di un sistema eccezionale su una moto di
ben altro livello.
Posizione di guida
I due modelli differiscono notevolmente da questo punto di
vista, perché cambiano il manubrio e la disposizione delle pedane.
In entrambi i casi la sella, in un pezzo unico per pilota e passeggero, consente sufficiente spazio, è piuttosto rigida e relativamente stretta, ma è anche ben sagomata. Il confort risultante è solo discreto, ma il tutto è molto adatto alla guida sportiva. È comunque disponibile una sella comfort.
Non è prevista alcuna regolazione in altezza, ma su entrambi
i modelli sono disponibili selle per qualsiasi statura e un assetto delle
sospensioni ribassato di 20 mm.
Tutte le altezze possibili con le diverse opzioni sono le
seguenti.
F900R
sella bassa con assetto ribassato 770 mm
sella bassa 790 mm
sella standard 815 mm
sella alta 835 mm
sella comfort 840 mm
sella extra alta 865 mm
F900XR
sella bassa con assetto ribassato 775 mm
sella bassa 795 mm
sella standard 825 mm
sella alta 840 mm
sella comfort 845 mm
sella extra alta 870 mm
Si noti che su entrambi i modelli è possibile ordinare dalla fabbrica soltanto la sella standard, quella bassa e quella extra alta. Tutte le altre sono disponibili solo a pagamento in aftermarket.
È interessante notare che la differenza nell’altezza delle selle sui due modelli, da 5 o 10 mm, è notevolmente inferiore alla differenza nella corsa delle sospensioni, che è pari a 35 mm davanti e a 30 mm dietro. La Casa spiega nella cartella stampa che tale risultato è ottenuto mediante una diversa imbottitura della sella, una diversa elasticità delle molle e un maggior sag negativo delle sospensioni — che è la corsa in estensione disponibile a partire dalla posizione di riposo con il pilota a bordo.
Per quanto riguarda la sella, non mi è parso di notare differenze significative di forma o imbottitura. Il molleggio è invece sensibilmente più morbido sulla XR e questo porta evidentemente a un maggior affondamento delle sospensioni una volta in sella, con un corrispondente aumento del sag negativo.
Sulla F900XR la posizione di guida è abbastanza turistica, ma comunque un po’ più sportiva di quella della F850GS. Il manubrio, un po’ più avanzato, impone una posizione con il busto leggermente in avanti, mentre le pedane sono un po’ più alte e arretrate e consentono una posizione comoda delle gambe e tutto sommato valida anche nella guida un po’ sportiveggiante.
Tutt’altra situazione si ha sulla F900R, dove il
manubrio è assai più avanzato e basso e le pedane sono nettamente più spostate
in alto e indietro. Non siamo ai livelli di una S1000RR, ma ne risulta comunque
una posizione piuttosto sportiva, e molto adatta a una guida d’attacco,
con una bella quota di peso sull’avantreno.
Solo per la F900R è disponibile aftermarket un manubrio più
alto e arretrato, adatto a chi vuole una postura più rilassata o è
particolarmente piccolo di statura.
Gli specchi, sono un po’ piccoli, ma ben distanziati, si
trovano ad altezza tale da non interferire con quelli delle auto, non vibrano e
consentono una visuale che potrebbe essere più ampia.
Passeggero
Su entrambi i modelli il passeggero siede leggermente più in alto del pilota, su una porzione di sella non ampia e abbastanza rigida, con pedane sufficientemente distanti, e ha a disposizione due comode maniglie. Ne risulta una postura abbastanza comoda, ma la durezza della sella limita le capacità turistiche. Chi vuole viaggiare, farebbe bene ad acquistare la sella confort aftermarket.
Capacità di carico
Entrambi i modelli possono essere equipaggiati, oltre che
con le classiche borse morbide da serbatoio e non, con un portapacchi,
su cui può essere montato un topcase, e con specifici attacchi per valigie
laterali.
La F900XR può essere equipaggiata con il topcase da 30 l,
già disponibile sui modelli S1000RR, R1250R e R1250RS, e con valigie rigide in
tinta da 32 l a sinistra e 31 l a destra analoghe a quelle degli altri modelli,
ma non compatibili con esse, per una capacità complessiva di 93 litri, sufficienti
per una coppia che non alloggia al Danieli. In alternativa alle valigie sono
disponibili due inedite valigette semirigide da 20 l ciascuna.
La F900R in teoria offrirebbe le stesse possibilità di carico, ma BMW impedisce la possibilità di montare le valigie rigide mediante l’uso di un telaietto di supporto apparentemente uguale, ma dotato di un dentino malefico che sulla XR non c’è.
Si potrebbe pensare che BMW voglia evitare un peggioramento delle qualità dinamiche della F900R più leggera e meno protettiva della XR.
Comunque, ho indagato a fondo la questione, e secondo me, è possibile aggirare il divieto, semplicemente installando sulla F900R il telaietto della F900XR, oppure segando il dentino.
Come va la F900XR
Motore
L’avviamento è molto pronto, grazie alla presenza dei
decompressori, e il nuovo sound continua a piacermi. Il comando del gas
elettronico è perfetto e praticamente privo di on-off.
Il calore percepito sulle gambe è praticamente nullo anche
in città, almeno nella mezza stagione.
Il nuovo motore imprime accelerazioni interessanti. Non stiamo parlando di una moto strappabraccia, ovvio, ma la spinta è gustosa e ce n’è più che abbastanza per divertirsi su strada senza alcun complesso d’inferiorità nei confronti di moto anche più potenti. La coppia, non eccezionale ai bassissimi regimi, diventa notevole già a partire dai 4500 giri, rimane praticamente costante fino quasi agli 8500 della potenza massima e rende comunque sfruttabile il tiro fino al limitatore situato intorno ai 9250 giri.
Il particolare imbiellaggio rende il motore meno propenso a
girare ai bassissimi regimi rispetto a un boxer o al Rotax che equipaggia le F800.
È sempre possibile viaggiare in 6a a 2000 giri a un filo di gas, ma se si apre
con un po’ di decisione, il motore scalcia un po’, pur senza eccessi, e smette
di farlo solo passati i 3000 giri. Oltre tale regime le vibrazioni sono
senz’altro molto ridotte e rimangono più che accettabili (e assai minori che
sulle F800) fino alla linea rossa e oltre.
È bene chiarire che, pur essendo il motore senz’altro
brioso, a parità di rapporto inserito l’accelerazione è inferiore a quella
disponibile su una R1250R o su una S1000XR. Su quelle si può mantenere la 6a praticamente
in ogni circostanza e avere comunque una guida briosa, mentre qui la 6° va
benone per andature fluide, ma tranquille — anche perché con tale rapporto il
motore entra in coppia a quasi 120 km/h.
Se però si vuole guidare sportivamente, è sufficiente
scegliere la marcia giusta — una 3a o una 4a permettono comunque velocità di
tutto rispetto, rispettivamente 145 e 178 km/h al limitatore — per avere una
bella accelerazione, e la coppia praticamente costante dai 4500 giri in su
consente di dimenticarsi l’uso del cambio.
Per fornire qualche riferimento utile, di seguito sono
elencate le velocità raggiungibili sulle F900R e XR in ciascun rapporto ad alcuni
regimi significativi: a 1.000 giri, all’entrata in coppia, alla potenza massima
e al limitatore.
Rapporto
Velocità a 1.000 giri/min
Velocita a 4.500 giri/min
Velocità a 8.500 giri/min (potenza massima)
Velocità a 9.250 giri/min (limitatore)
1a
8,9 km/h
40,0 km/h
75,6 km/h
82,3 km/h
2a
12,2 km/h
54,9 km/h
103,6 km/h
112,8 km/h
3a
15,8 km/h
70,9 km/h
133,9 km/h
145,7 km/h
4a
19,3 km/h
86,7 km/h
163,8 km/h
178,2 km/h
5a
22,9 km/h
102,8 km/h
194,2 km/h
211,4 km/h
6a
26 km/h
117,2 km/h
221,3 km/h
240,8 km/h (teorica)
In tutti e quattro i riding mode — anche in Rain —
aprendo tutto il gas si hanno a disposizione la massima coppia e la massima potenza,
quindi non c’è alcuna limitazione per le mappature più conservative. Quello che
cambia, radicalmente, è la coppia erogata dal motore in rapporto all’angolo di
rotazione della manopola del gas.
In Dynamic Pro la coppia è immediatamente disponibile
appena si sfiora il gas e in Dynamic è il comportamento è quasi uguale —
la differenza tra le due modalità sta più che altro nella reattività e nella
possibilità di personalizzazione dei sistemi di sicurezza. In Road invece
la coppia erogata è assai più dolce ai piccoli angoli e diventa progressivamente
più corposa man mano che si dà gas, e in Rain questa progressività è ancora
più esasperata.
Da questa logica deriva un effetto bizzarro. Se ci si trova
a metà gas in Dynamic, apertura cui corrisponde già una bella coppia, ruotando
la manopola al massimo si ha un aumento prevedibile e proporzionalmente non
esaltante dell’accelerazione. Se invece si parte da metà gas in Rain, dove
la coppia è assai fiacca, spalancando la manopola si ottiene una coppia
proporzionalmente assai superiore — cioè quella massima del motore, la stessa
ottenibile in Dynamic — e questo assicura paradossalmente un “effetto wow!” in Rain
e in Road, che è del tutto assente nelle mappature più sportive.
Il sistema DTC (Dynamic Traction Control), sempre disinseribile
durante la guida tramite il tasto a bilanciere che controlla anche il D-ESA, è
preciso nell’intervento e poco invasivo, soprattutto in Dynamic, e non è
nemmeno troppo brusco, cosa non scontata su un bicilindrico. Interessante e
istruttiva la possibilità, nella schermata Sport disponibile con l’opzione
Riding Modes Pro, di verificare la percentuale della potenza tolta dal sistema
in caso di superamento del limite di aderenza in accelerazione. Va da sé che se
si disinserisce il DTC, il valore è sempre pari a zero, e che i tagli della
potenza più elevati tendono ad avvenire in modalità Rain.
Trasmissione
Il cambio di serie è piacevole, relativamente morbido,
molto preciso e dalla corsa corta, mentre la frizione è morbidissima e
discretamente modulabile.
In presenza del quickshifter la leva diventa più
contrastata e gommosa, con un certo peggioramento del feeling. Il sistema funziona
molto bene nella guida sportiva ad alto regime, dove consente cambiate molto
rapide sia a salire che a scendere — dove dà anche il colpetto di gas — e se la
cava egregiamente anche ai medi con il gas aperto solo parzialmente, ma nelle
altre circostanze le cambiate comportano scossoni evidenti. Se lo scopo è godere
dell’effetto esilarante delle cambiate sparate in serie nelle forti
accelerazioni, questo è un accessorio interessante, ma non è molto adatto ai
pigri e a chi non sa usare il cambio manuale, per i quali sono comunque sempre
disponibili gli scooter e i modelli a doppia frizione di Honda.
Freni
La frenata è pronta, potente, resistente e ben
modulabile con entrambi i comandi, e la stabilità rimane elevata anche
nelle frenate più forti.
La strumentazione mi ha restituito una decelerazione massima
su asfalto asciutto di 9 m/s2, pari a circa 0,92 g, valore che non
cambia con le diverse mappature, ma ovviamente diminuisce parecchio sul bagnato
e anche sullo sconnesso.
L’ABS funziona piuttosto bene e risulta assai meno
invasivo rispetto a quello delle F800, dove si attivava spesso, causando un
effetto moto-che-scappa-avanti molto evidente. Al riguardo, continuo a credere che
in caso di intervento antibloccaggio sulla ruota anteriore, i sistemi più
moderni in generale accentuino la frenata sulla ruota posteriore.
La funzione Pro dell’ABS, attiva a moto inclinata in
tutte le mappature, esclusa la Dynamic Pro, limita al massimo gli scompensi
nell’assetto quando si frena in curva. Questa volta ho vinto la mia istintiva
ritrosia a effettuare pinzate brusche in curva e ho finalmente capito bene come
funziona.
Nel caso che si azioni il freno anteriore in curva con un
minimo di decisione, l’ABS interviene con largo anticipo rispetto all’effettiva
perdita di aderenza, limitando drasticamente la potenza frenante anteriore nei
primissimi istanti, per poi rendere via via possibile una decelerazione sempre
maggiore. In questo modo l’inizio della frenata in curva è reso sempre molto
progressivo, come se si tirasse la leva lentamente anziché di scatto, e
questo evita il brusco cambiamento d’assetto tipico di una pinzata maldestra in
curva, a tutto vantaggio della stabilità. In questo modo però gli spazi di
frenata in curva si allungano sensibilmente, e questo spiega perché questa
funzione è limitata in Dynamic alle sole superfici a medio-bassa aderenza ed è del
tutto inibita in Dynamic Pro.
Sterzo e assetto
Lo sterzo della F900XR è quello che ci si aspetta su una crossover
BMW dal piglio sportiveggiante: piuttosto leggero, ma preciso e pronto, e consente
una guida efficace e poco impegnativa in ogni circostanza.
Le due F900XR che ho provato erano entrambe equipaggiate con
D-ESA, che, come abbiamo visto sopra, agisce solo sulla sospensione posteriore.
La forcella a steli rovesciati non è regolabile, ma è comunque
ben sostenuta e molto scorrevole e non è mai a disagio con qualsiasi
settaggio delle sospensioni.
In Road il comportamento della moto è a mio avviso perfetto in ogni circostanza, anche nella guida molto veloce. Su liscio la taratura è piuttosto sportiva e le oscillazioni risultano praticamente azzerate, mentre sullo sconnesso è chiaramente avvertibile, e quasi sorprendente, il migliore assorbimento garantito dall’adattamento automatico attuato dal sistema.
In Dynamic il tutto è virato verso una maggior sportività,
ma in tal modo il comportamento diviene a mio avviso troppo secco sulle
asperità, senza evidenti vantaggi in termini di controllo delle masse
sospese nella guida veloce.
In città
Con 219 kg col pieno, la F900XR non è un peso piuma, ma l’altezza
non eccessiva, il motore pastoso ai bassi, la dolcezza dei comandi e lo sterzo leggero
e perfettamente prevedibile rendono la guida in città una questione piacevole, resa
ancora migliore dall’assenza di calore emanato dal motore.
Nei trasferimenti extraurbani
L’ottima stabilità garantita dalla ciclistica, la posizione di guida perfetta, il regime di tutto riposo consentito dalla rapportatura —in sesta a 130 km/h il motore frulla a 5000 giri, come su moto di cilindrata superiore — e l’assenza di vibrazioni fastidiose consentono un buon confort nei trasferimenti extraurbani.
La tranquillità alla guida è ulteriormente aumentata dalla buona ripresa disponibile anche in 6a — a 130 km/h è già praticamente disponibile la coppia massima — e dalla presenza del cruise control, che assicura la pace della mente nei tratti sottoposti al Tutor.
Un neo è la sella di serie, un po’ troppo rigida, chi viaggia molto tenderà a preferire la sella confort, un po’ più alta di quella standard.
Un discorso a parte merita la protezione aerodinamica in autostrada. Con il mio metro e 78, a 130 km/h indicati il cupolino standard invia l’aria all’altezza della fronte nella posizione alta e del mento in quella bassa, assicurando una discreta protezione dalle intemperie e dalla pressione del vento.
Però in entrambi i casi il flusso d’aria che arriva al casco è molto disturbato e questo produce parecchio rumore e una lieve vibrazione della testa, che alla lunga è sgradevole. Naturalmente, statura e casco — nel mio caso uno Shark Evoline S3 — possono modificare anche parecchio gli effetti dell’aerodinamica, ma nella mia esperienza preferisco paradossalmente il cupolino Sport, perché è vero che protegge meno, ma rende la guida più comoda e silenziosa, almeno fino a 160 km/h.
Nel misto
La F900XR è una moto facile e divertente nel misto, anche in
quello più stretto. Concorrono a questo risultato il motore brioso, i freni
potenti, la ciclistica a punto (soprattutto in Road) la notevole luce a terra e
la prontezza dello sterzo, e il tutto non delude neanche alzando parecchio il ritmo.
Rispetto alle serie R e K qui manca una sospensione antidive
e ovviamente ci sono maggiori trasferimenti di carico nell’apri/chiudi, ma il
molleggio sportiveggiante li rende comunque ben controllabili, nonostante la
corsa relativamente lunga delle sospensioni.
Consumi
Il motore 900 consuma di più rispetto all’850.
Se si guida tranquilli si superano tranquillamente i 20 km/h in media, ma ad alta velocità e se ci si fa prendere la mano sul misto — cosa facilissima, viste le caratteristiche di guida — le cose possono peggiorare parecchio.
La media della nostra prova, condotta con il solito piglio battagliero, è stata di 17,2 km/l
Il serbatoio da 15,5 litri della F900XR assicura comunque percorrenze accettabili, tra i 250 e i 300 km.
Come va la F900R
Motore
Per il motore valgono in teoria le stesse considerazioni già
fatte per la F900XR, l’unica vera differenza è il minor peso, cui corrispondono
accelerazioni marginalmente migliori — BMW dichiara 0,1 s in meno nello scatto
da 0 a 100 km/h.
Alla guida però il feeling restituito dalla F900R è talmente diverso, che viene da pensare che essa sia rapportata più corta rispetto alla F900XR. Eppure, come abbiamo visto sopra, la trasmissione è identica sui due modelli. Nel dubbio ho controllato i regimi sul contagiri e in effetti sono esattamente gli stessi a pari velocità e marcia.
Cambio
Per il cambio valgono le stesse considerazioni fatte per la
F900XR.
Freni
Anche i freni si comportano come sulla F900XR, ma qui il baricentro è leggermente più basso e la forcella ha una corsa minore e quindi affonda meno, con un avvertibile vantaggio nella prontezza in frenata. Per contro, la minor corsa negativa della sospensione posteriore rispetto alla XR determina qualche lieve serpeggiamento nelle frenate più estreme.
Sterzo e assetto
Pur essendo uguali sotto quasi tutti i punti di vista, F900XR
e F900R differiscono enormemente nella guida, e passare dalla prima alla
seconda è un vero e proprio shock. La differenza è dovuta, più che alla
minor corsa delle sospensioni sulla R, all’avancorsa nettamente maggiore e alla
diversa posizione di guida, ed è stupefacente come pochi dettagli possano fare
tutta questa differenza.
Abituati alla facilità di guida delle moto attuali, sulla F900Ril comportamento alle bassissime velocità è quasi sconcertante, a causa dello sterzo nettamente più contrastato e della tendenza della moto a cadere maggiormente verso l’interno della curva, ma appena la velocità aumenta, emerge unosterzo davvero molto preciso e piantato a terra, del tutto anomalo non solo su una BMW, ma anche su qualsiasi concorrente attuale.
A differenza della F900XR, che è facile e immediata in ogni
circostanza e curva quasi con il pensiero, la F900R domanda a gran voce una
guida attiva e impegnata, in cui si sposta il baricentro e si spinge sulle
pedane, e se è guidata in questo modo, regala soddisfazioni davvero
inaspettate su una moto di questa categoria e non solo.
In città
La F900R è più leggera della XR e ferma la bilancia a 211 kg ma il suo comportamento nel traffico è reso un po’ meno gradevole dallo sterzo più pesante e del comportamento meno immediato dell’avantreno alle bassissime velocità.
Nei trasferimenti extraurbani
Fermo restando quanto detto per la F900XR circa i rapporti e
l’assetto, qui cambia ovviamente parecchio la protezione contro il vento.
Le F900R che abbiamo provato erano entrambe equipaggiate con il minuscolo cupolino Pure, che non fa miracoli, ma comunque toglie un po’ di spinta sul torace e consente una guida rilassata fino a circa 130 km/h.
A richiesta è disponibile un parabrezza alto (relativamente, è pur sempre adatto a una naked sportiva) che non ho potuto provare, ma che a occhio e croce dovrebbe alleggerire di parecchio la pressione del vento senza comunque arrivare a inviare flussi d’aria contro il casco.
Nel misto
Alle ottime caratteristiche della F900XR si somma lo straordinario comportamento dell’avantreno e una generale maggior reattività nel comportamento. Tutto l’insieme rende la guida F900R nel misto una delle cose più divertenti che mi siano capitate ultimamente. La serie F si rivolge a tutti i motociclisti e la presenza delle versioni depotenziate A2 sta lì a dimostrarlo, ma in mani esperte questa R è parecchi gradi sopra a tutte le altre F quanto a piacere di guida.
Chiudendo per un attimo gli occhi, tra postura sportiva, vento in faccia, avantreno granitico e sound da 2V, ho pensato che non era possibile che stessi guidando una BMW, pareva piuttosto di stare su una Monster, ma con l’avantreno di una Kawasaki. Bello!
Non è un caso che sulla cartella stampa BMW, la F900R sia sempre definita Dynamic Roadster. La F900XR se lo sogna, un appellativo del genere.
Consumi
Ferme restando le considerazioni fatte per la F900XR, lo striminzito serbatoio da soli 13 litri installato sulla F900R limita l’autonomia pratica a 200, massimo 250 km.
Non capisco se questa scelta, tecnicamente del tutto immotivata, è dovuta a puro sadismo o a desiderio di spostare la clientela turistica verso la F900XR — e questo spiegherebbe anche il dentino malefico del telaietto portavaligie.
Conoscendo i tedeschi, non mi stupirebbe scoprire che la ridotta capacità è dovuta esclusivamente alla necessità di mantenere il peso entro specifiche di progetto particolarmente restrittive.
Value for money
A mio parere, la F900R offre un rapporto tra dotazione, prestazioni e prezzo imbattibile per la categoria. Ci sono altre moto che offrono feeling di guida eccellenti — scontato il paragone con la Triumph Street Triple 765 — ma la concorrenza non offre la stessa dotazione di serie della F900R, né la stessa sterminata gamma di accessori a richiesta, né consente il montaggio di valigie e topcase, se non le solite aftermarket dall’aspetto sempre un po’ posticcio. Senza contare che questo feeling non si trova da nessun’altra parte.
La stessa cosa non si può dire della F900XR, che a parità di dotazione, costa ben 2.400 Euro in più. È vero che si rivolge a una clientela diversa, tendenzialmente più matura, ma è altrettanto vero che essa non si piazza altrettanto bene nei confronti della migliore concorrenza. La nuova Yamaha Tracer 9, con un prezzo d’attacco leggermente inferiore, offre una dotazione paragonabile, ma con un eccellente tre cilindri da 119 CV.
Per quanto riguarda la scelta tra le due F900, il serbatoio di dimensioni umane e la maggior protezione aerodinamica sono le uniche ragioni per cui a mio avviso potrebbe valere la pena optare per la F900XR. Ma con questa differenza nel prezzo, scelgo volentieri i difetti della F900R, con il suo fantastico feeling di guida.
Pagella F900XR
Pregi
Moto bella e ben fatta
Posizione di guida rilassante
Motore potente, elastico e dotato di un bel sound
Freni potenti, ben modulabili e resistenti
Sospensioni con D-ESA di ottimo livello
Guida precisa e piacevole anche ad alta velocità
Dotazione di accessori ottima per la categoria
Difetti
Sella troppo rigida
Cupolino standard che crea turbolenze
Pagella F900R
Pregi
Moto bella e ben fatta
Motore potente, elastico e dotato di un bel sound
Avantreno molto comunicativo
Guida sportiva e coinvolgente
Sospensioni con D-ESA molto efficaci
Freni potenti, ben modulabili e resistenti
Dotazione di accessori eccellente per la categoria
Difetti
Serbatoio piccolo
Si ringrazia BMW Motorrad Roma per aver messo a
disposizione le moto della prova.
Nel provare le nuove BMW F900R e F900XR mi sono imbattuto in un fatto curioso nella relativa cartella stampa, riguardante la geometria della sospensione anteriore. Perché quindi non cogliere l’occasione per parlare un po’ di questo argomento?
Gli elementi fondamentali di tale geometria sono l’angolo di inclinazione dell’asse di sterzo rispetto alla verticale e l’avancorsa. Entrambi influiscono sostanzialmente sul comportamento della moto e non a caso sono presenti in tutte le schede tecniche dei modelli in commercio.
Ma che cosa sono esattamente, e che
effetto hanno sulla guida?
L’angolo di sterzo è l’angolo tra l’asse intorno a cui ruota lo sterzo e la verticale .
L’avancorsa invece è la distanza tra il punto in cui l’asse dello sterzo interseca il piano su cui poggia la moto e il centro dell’impronta a terra dello pneumatico anteriore (che, quando la moto poggia su un piano, coincide con la verticale sullo stesso piano del centro del mozzo della ruota anteriore).
La figura seguente dovrebbe chiarire
il tutto.
L’angolo di sterzo
determina principalmente la prontezza della sterzata, cioè la velocità
con cui la ruota sterza a parità di velocità di rotazione del manubrio: più l’angolo
è stretto, e quindi più lo sterzo è verticale, e più la ruota sterza
rapidamente.
L’avancorsa invece ha effetto
principalmente sulla durezza dello sterzo: più essa è lunga e più lo
sterzo oppone resistenza alla sterzata. A parità di altre condizioni, un’avancorsa
lunga determina quindi uno sterzo più pesante, ma un comportamento più stabile
della moto, mentre un’avancorsa corta aumenta la maneggevolezza a scapito della
stabilità.
L’angolo di sterzo è scelto dai
progettisti in funzione del carattere della moto e dalla velocità massima raggiungibile;
più il carattere è sportivo e più l’angolo di sterzo tende a essere chiuso.
L’avancorsa è scelta in base a una
logica un po’ diversa, perché di solito cresce con la velocità e diminuisce
quando si vuole dare maggior leggerezza allo sterzo.
Avancorsa e angolo di sterzo sono
correlati tra loro. Infatti, guardando la figura precedente, appare chiaro che
se aumentiamo l’angolo di sterzo, a parità di altre condizioni otteniamo un’avancorsa
più lunga. Ma in realtà essi possono essere variati a piacimento uno rispetto
all’altro.
Se ci fate caso, su nessuna moto
l’asse di sterzo si trova esattamente all’altezza degli steli della forcella;
esso è sempre un po’ arretrato rispetto ad essi e ciò appare evidente
osservando qualunque piastra di sterzo.
La misura di tale arretramento si
chiama offset, e come si può intuire osservando l’immagine seguente, più
esso aumenta, a parità di angolo di sterzo, e più l’avancorsa si accorcia.
Quindi, variando l’offset è
possibile variare a piacimento la relazione tra avancorsa e angolo di sterzo.
In questo modo è possibile, per esempio, ottenere un’avancorsa di dimensione
normale pur in presenza di un angolo di sterzo molto aperto e ciò rende
possibile costruire chopper tutto sommato guidabili (anche se con una prontezza
di sterzo ridicolmente bassa).
La tabella seguente offre spunti
interessanti al riguardo.
Modello
Angolo di sterzodalla verticale °
Avancorsa mm
BMW S1000RR
23,1
93,9
MV Agusta F3
24,0
99,0
Ducati Monster
24,0
93,0
Ducati
Panigale V4
24,5
100,0
Ducati Multistrada
V4
24,5
102,5
BMW R1250GS
Adventure
24,9
95,4
BMW S1000XR
25,5
116,0
Honda CB650F
25,5
101,0
BMW R1250GS
25,7
100,6
BMW F800R
26,0
100,0
Harley-Davidson
Ultra Limited
26,0
170,0
BMW F750GS
27,0
104,5
BMW F850GS
28,0
126,0
Honda GL
1800 Gold Wing
29,25
109,0
Harley-Davidson
Iron 883
30°
117,0
Si notino in particolare le quote
più sportive della BMW R1250GS Adventure rispetto alla versione Standard, che
servono a compensare il maggior peso sull’avantreno. Ecco perché chi guida un’Adventure
si stupisce per la sua maneggevolezza.
Torniamo ora alla cartella stampa delle BMW F900R e XR. Prima di andare a provare le moto, da buon secchione me la sono letta tutta, ma ho fatto un salto sulla sedia quando ho visto che l’angolo di sterzo su entrambi i modelli dovrebbe essere pari a 29,5° (la Casa bavarese curiosamente dichiara sempre l’angolo rispetto all’orizzontale, in questo caso 60,5°).
Dalla tabella precedente appare
evidente che si tratterebbe di una scelta davvero bizzarra, perché un angolo così
aperto è adatto a una cruiser, non certo a moto dalle velleità sportiveggianti
come queste.
Ho dato quindi un’occhiata alle
foto, e la cosa proprio non mi quadra: sulle F l’angolo di sterzo appare
piuttosto chiuso, assai più simile a quello di una supersport che a quello di
una cruiser.
Nella figura che segue ho sovrapposto
in trasparenza la F900R e la Harley-Davidson Iron 883 (angolo dichiarato 30,0°).
È un metodo un po’ pecoreccio, siamo
d’accordo, ma la differenza è evidente, parliamo di circa 5-6°, non certo degli
0,5° risultanti dai dati dichiarati.
Una differenza del genere, molto
pronunciata, si riflette anche nel comportamento alla guida: lo sterzo delle F900R
e XR è nettamente più pronto di quello della 883.
Fin qui le prove portate a
sostegno della mia affermazione — una fotografia e alcune sensazioni alla guida
— non sono proprio di livello scientifico, lo ammetto. Ma ho un’arma segreta
che mostra infallibilmente l’errore, e il bello è che me la fornisce la stessa
BMW.
Nella cartella stampa delle nuove
F900, è riportata un’interessante tabella dove sono messe a confronto le quote
dell’avantreno di F800R, F900R e F900XR.
Di solito, ogni costruttore dichiara l’angolo di inclinazione di sterzo (steering head angle, in questo caso misurato rispetto all’orizzontale) e l’avancorsa (castor o trail) di ogni modello, ma in questa tabella, In via del tutto eccezionale, è presente anche l’offset (fork offset).
Come ho detto sopra, l’offset è
il “trucco” che viene usato dai costruttori per armonizzare nel modo migliore angolo
di sterzo e avancorsa. Le due F900 hanno lo stesso angolo, ma la F900R ha un’avancorsa
sensibilmente superiore rispetto alla XR — cosa che peraltro risulta assai
evidente alla guida — e BMW con questa tabella vuole appunto chiarire che
questa differenza è stata ottenuta con un diverso offset.
Però, se io ho due di queste misure,
la terza è univocamente determinata, non si scappa — a meno che non si ricorra
a piastre di sterzo molto particolari, che consentono una diversa inclinazione
degli steli della forcella rispetto all’asse dello sterzo, cosa che si riscontra
solo su alcuni chopper estremi — e i dati forniti da BMW non tornano.
Facendo un po’ di calcoli — mi è toccato rispolverare un po’ di trigonometria, se avete voglia di fare altrettanto, potete dare un’occhiata qui — emerge che per abbinare l’avancorsa e l’offset dichiarati per entrambe le F900, occorrerebbe avere un angolo di sterzo di circa 24,95° (per la precisione 24,97° sulla R e 24,93° sulla XR), perfettamente coerente con i rilievi visivi e con le sensazioni alla guida di queste moto e vicino ai 26° della F800R.
Premessa importante: nell’articolo che segue parlo di
velocità nei tracciati misti. Prima di proseguire, è bene chiarire le cose che
seguono.
Non ci si ingarella mai. Piace a tutti misurare le proprie capacità, ma l’unico vero modo per farlo è in pista. Su strada è bene uscire con gente con la testa sulle spalle, dove ciascuno assume naturalmente la posizione che gli compete secondo le proprie capacità – i più veloci davanti – e tutti si godono una guida veloce e precisa senza sorpassi e senza mettersi nei guai in qualsiasi modo.
Non si deve mai superare la linea di mezzeria, neanche soltanto con la testa e la spalla interna: oltre a essere pericoloso, significa barare al gioco.
Agli incroci si rallenta sempre e comunque, anche se non c’è nessuno in vista.
Ogni volta che si arriva in un abitato, manetta chiusa e 50 km/h rigorosi, a meno che non sia previsto un limite diverso.
So bene che su strada non si devono assumere rischi inutili, ma so altrettanto bene che a noi motociclisti piace correre anche su strada, quindi tanto vale parlarne senza false ipocrisie e cercare di capire come farlo senza correre rischi.
Nel mio precedente articolo sulla relazione tra potenza e velocità (https://www.saferiders.it/potenza-e-velocita/) avevo scritto che è inutile comprare una moto da 200 CV per sverniciare gli amici sul misto, perché, almeno su tracciati fino a una certa velocità (diciamo 100 km/h) essa accelera – e frena – all’incirca come una 600 non spompata e quindi non offre grossi vantaggi velocistici rispetto a questa.
E allora, che cosa serve per andare forte tra le curve?
Di sicuro aiutano un po’ di cavalli, tanti più quanto
più il misto si fa largo. Un centinaio di cavalli vanno benone ovunque, mentre 50
possono essere troppo striminziti se il misto è appena più di una successione
continua di tornanti.
Di sicuro aiuta una moto leggera, non perché vada più veloce in curva di una pesante (in effetti non ci va, come avevo scritto in un altro articolo precedente:https://www.saferiders.it/e-piu-veloce-in-curva/), quanto per il fatto che essa è più leggera da manovrare nei cambi improvvisi di direzione tipici dei curva-controcurva.
Di sicuro aiutano anche sospensioni sportive ben regolate,
perché copiano meglio le asperità dell’asfalto, mantenendo costante l’assetto
della moto, specialmente a moto piegata, e minimizzano la compressione dovuta
alla forza centrifuga, migliorando la luce a terra nelle pieghe estreme.
Altrettanto di sicuro fanno comodo delle buone gomme sportive
omologate per l’uso stradale, che assicurano la massima aderenza e quindi
la possibilità di angoli di piega più elevati, e una elevata luce a terra, che
permetta alla moto di inclinarsi fin dove tali gomme consentono di arrivare.
Quindi, comprando una Triumph Street Triple RS o qualche altra cosa che le somiglia molto, si dovrebbe diventare imprendibili da chiunque sul misto, senza necessariamente dover spendere i 7000 Euro in più necessari per una Tuono V4.
Ma diciamola tutta: quando si è in sella a una moto con sufficiente cavalleria,la differenza vera tra un motociclista e l’altro, più che tutte le caratteristiche della moto messe insieme, la fa il manico: chi ha capito come si guida nel misto, arriva prima, a prescindere sostanzialmente da ciò che guida.
Che cosa bisogna saper fare per ottenere tale risultato?
Essenzialmente cinque cose:
accelerare forte;
frenare forte;
assumere la giusta postura;
tenere un’elevata velocità di percorrenza
in curva;
scegliere la traiettoria migliore.
1) Accelerare forte
Per essere sparati fuori dalle curve con la massima
accelerazione, bisogna fare quanto segue.
Scegliere il rapporto più adatto, cioè quello in cui all’uscita della curva il motore è al regime di coppia massima: in tal modo chi guida avrà a disposizione una spinta furiosa e tutto l’allungo necessario per percorrere il rettilineo fino alla curva successiva, a patto che questa non sia troppo lontana. Molta gente non lo fa, perché sente il motore che ulula agli alti regimi e ha paura di rompere qualcosa: tranquilli, fino alla linea rossa non si rompe niente, e oltre c’è il limitatore che impedisce ogni problema, vi rallenta e basta.
Aprire il gas progressivamente fin da dentro la curva man mano che si raddrizza la moto in uscita fino al tutto gas, parzializzando per evitare derapate o impennate eccessive.
2) Frenare forte
La frenata efficace include le seguenti azioni.
Staccare con progressione e decisione usando entrambi i freni – l’anteriore per ovvie ragioni di maggior potenza, il posteriore perché riduce leggermente gli spazi di frenata e stabilizza l’assetto – facendo attenzione a evitare l’insorgere di uno stoppie nel caso di assenza dell’ABS.
Iniziare a inclinare la moto con i freni ancora in mano, riducendo progressivamente la frenata fino ad annullarla quando si è parecchio inclinati;
Scalare le marce solo se serve, cioè solo se si è arrivati alla curva con un rapporto che non consente di ottenere la massima accelerazione in uscita, come spiegato sopra. Ciò è fondamentale: c’è gente che cambia marcia prima e dopo ogni singola curva perché gliel’ha detto suo cuggino che gira a Valle, senza che ce ne sia alcuna necessità. Invece, ogni cambiata è una perdita di tempo – non a caso gli scooter e le Honda con cambio automatico a doppia frizione accelerano magnificamente anche con pochi cavalli – e soprattutto è una cosa che impiega neuroni, distogliendoli da altri compiti e in particolare dall’attenzione alla traiettoria e alla postura.
A questo punto è bene fare una precisazione: accelerare e frenare forte fa andare effettivamente più veloci, ma solo a condizione che tali manovre non disturbino le fasi di inserimento, percorrenza e uscita dalla curva. È possibile che una staccata feroce spinga a ritardare l’ingresso in curva o a non avere tempo per assumere la postura migliore, oppure l’uso di un rapporto molto corto può rendere più difficile gestire il gas con finezza in piega. Per questa ragione, spesso chi guida in modo molto scorrevole, con accelerate, frenate e cambiate minime o nulle, ma elevata percorrenza in curva, ha la meglio su gente che si attacca al gas e a frena in continuazione, ma poi sbaglia le curve.
3) Assumere la giusta postura
Assumere la giusta postura significa quanto segue.
Spostare il baricentro indietro durante la
staccata, scorrendo indietro con il sedere quanto è possibile e distendendo
le braccia, per ridurre la tendenza della moto al ribaltamento e ottenere spazi
di frenata più brevi (vale anche con l’ABS).
Spostare il baricentro verso l’interno
durante la curva, inclinando in ordine la testa, il busto e se serve spostando
il sedere, che deve scivolare lateralmente sulla sella e basta, eventualmente
aprendo il ginocchio interno, e scaricando peso sulla pedana interna, per
inclinare il meno possibile la moto in curva, in modo da consentire una maggior
luce a terra della moto e una maggiore impronta a terra delle gomme. Questa
manovra deve precedere leggermente l’ingresso in curva, perché essa aiuta ad
inclinare della moto. Se poi si vuole spostare il sedere per poi mettere il
ginocchio in terra, conviene farlo durante la staccata prima dell’inserimento
in curva, in modo da non rovinare l’assetto durante lo stesso.
Spostare il baricentro in avanti in uscita di
curva, inclinando il busto verso il manubrio, per contrastare la tendenza
alla derapata e all’impennata
Anche in questo caso mio cuggino dice di fare un sacco di
cazzate, di cui le più diffuse sono le seguenti.
Spostare lateralmente il sedere tenendo la testa in asse con la moto: serve a ben poco, perché il baricentro non si muove quasi per niente e quindi non si ottiene maggior luce a terra in piega.
Spostare lateralmente il sedere in tre tempi – solleva sedere, sposta sedere, riabbassa sedere: fa perdere un sacco di tempo e sporca l’assetto, facendo più danni che altro: il peso del pilota deve scaricarsi completamente sulla pedana interna e, una volta in piega, sul ginocchio esterno agganciato al serbatoio, in questo modo il sedere sfiora appena la sella e scorre lateralmente senza problemi.
Spostare il busto verso l’esterno della curva in stile motard: non serve ad altro che a ridurre la luce a terra e l’aderenza, a causa della minor superficie di gomma a terra, riducendo la velocità di percorrenza in curva. Ma consente di chiudere le gomme anche se si è delle mezze schiappe come velocità, molto figo al bar, lo capisco… Questa manovra ha senso solo sullo sterrato, perché facilita l’appoggio del piede interno a terra e consente un miglior controllo della derapata, e ha senso solo su moto snelle e leggere, tipicamente appunto le motard e le motocross. Quelli che lo fanno col GS poi sono fantastici, perché in caso di scivolata rischiano lo spappolamento del ginocchio ad opera cilindrone sporgente.
4) Tenere un’elevata velocità di percorrenza in curva
È convinzione dura a morire tra i motociclisti da bar che nella guida veloce le curve vadano percorse praticamente tutte in accelerazione, perché ciò spingerebbe la ruota motrice contro l’asfalto, impedendole di derapare e consentendo velocità maggiori.
Che in accelerazione ci sia un trasferimento di carico verso la ruota posteriore è vero e che la cosa sia divertente da controllare è altrettanto vero, ma per fare questo occorre scaricare potenza a terra e ciò richiede aderenza disponibile. Se si sta già percorrendo una curva al limite dell’aderenza, la possibilità di richiederne altra per accelerare è pari a zero, e aprendo il gas si otterrebbe nient’altro che una caduta low-side oppure, con un buon controllo di trazione, il nulla più assoluto (frustrante, ma almeno non si cade). In altre parole, chi percorre le curve in accelerazione, lo può fare solo perché è entrato in curva non al limite e non sta sfruttando tutta l’aderenza disponibile. Se si vuole curvare veramente forte, bisogna arrivare veloci in ingresso curva, piegare (ragionevolmente vicini al)al limite, percorrere la fase in appoggio con un filo di gas e riaprire soltanto quando si inizia a raddrizzare la moto. Naturalmente, se si tratta di una curva a spigolo, tutto questo non si verifica, in quanto non c’è alcuna fase d’appoggio: si entra coi freni in mano e si riapre subito.
5) Scegliere la traiettoria migliore
Dando anche per scontato che un motociclista sappia fare bene tutte le cose elencate sopra, se poi non capisce un tubo di traiettorie e mette le ruote a casaccio sulla strada, perderà un sacco di metri e sarà sverniciato da gente che magari piega molto meno, ma lo fa seguendo linee più efficienti.
Se parliamo di andare veloci su strada, le traiettorie devono soddisfare due requisiti fondamentali:
devono evitare qualsiasi possibile contatto con veicoli provenienti in senso opposto;
devono far percorrere meno metri possibile alla massima velocità possibile.
1. Evitare qualsiasi possibile contatto con veicoli provenienti in senso opposto
Va subito precisato che su strada non si viaggia mai
nella corsia opposta, neanche se c’è tutta la visibilità del pianeta,
neanche se conoscete la strada alla perfezione, neanche se siete Marquez in
persona, e questo per diverse eccellenti ragioni:
intanto, perché è vietato, argomento che
per noi italiani sembra sempre irrilevante, finché non incontriamo una
pattuglia e allora frigniamo implorando pietà;
perché potrebbe comunque arrivare qualcuno
che non avete visto, per distrazione o perché si è immesso da una traversa
che non vedevate;
perché se vi abituate a tagliare le
traiettorie, la volta che non lo potete fare a causa dei veicoli che incrociano,
vi trovate a utilizzare riferimenti spaziali cui non siete abituati per
gestire una situazione che invece richiede la perfetta padronanza della moto, in
quanto potenzialmente molto pericolosa.
Sconfinare nel senso di marcia opposto non basta: nelle
strade strette occorre tenere rigorosamente la destra, a maggior ragione se si
va forte, perché molti veicoli che provengono in senso opposto sconfinano
allegramente nella nostra semicarreggiata, perché sono guidati da idioti (di
solito nostri connazionali, sempre assai peggiori alla guida di quanto credono
di essere) e/o perché sono grandi e proprio non entrano nella loro metà.
2. Percorrere meno metri possibile alla massima velocità possibile
Questo è un aspetto molto trascurato da molti motociclisti,
eppure è fondamentale.
Fermo restando che se la strada è stretta bisogna tenere rigorosamente la destra punto e basta, vediamo come ci si comporta quando la strada è abbastanza larga da non creare problemi di incrocio con gli altri veicoli.
Se la velocità scelta è tale da non costringere a
rallentare nelle curve, la traiettoria migliore è quella più corta possibile,
fermo restando il divieto di sconfinare nella semicarreggiata opposta anche
solo con la testa e la spalla interna. Per esempio, in una sequenza di curva a
sinistra, rettilineo e curva a destra, si percorre la prima curva vicino alla
mezzeria, poi nel rettilineo ci si sposta progressivamente verso destra e si
percorre la seconda curva vicino al margine.
Se invece la velocità è tale da imporre un rallentamento
in curva, bisogna ampliare il più possibile i raggi delle curve, in modo da
essere costretti a rallentare il meno possibile, fermo restando che la
traiettoria deve essere più pulita e raccordata possibile. In tal caso, nelle
sequenze di curva e controcurva, occorre stringere la traiettoria in uscita
nella prima curva per trovarsi più larghi nell’ingresso della seconda.
L’esempio riportato nella figura dovrebbe chiarire il concetto. Il senso di marcia è ovviamente verso l’alto e verso destra nella figura – mi pare superfluo precisarlo, visto che non viviamo in Gran Bretagna, ma già prevedo che qualcuno particolarmente sveglio farà la battuta sulla pericolosità delle traiettorie illustrate. In verde è illustrata la traiettoria più corta, in rosso quella più efficace al crescere della velocità. Si noti, lungo la linea rossa, che la traiettoria all’uscita della curva a destra è tenuta stretta allo scopo di facilitare l’ingresso nella successiva curva a sinistra.
Insomma, se il vostro obiettivo è primeggiare tra gli amici nel misto, invece di buttare soldi in cavallerie abnormi, imparate a guidare bene!😉