Archivi categoria: Blog

Safe Riders Blog

Tutti gli articoli pubblicati dallo staff di Safe Riders e dai nostri amici e collaboratori,  escluse le prove su strada. Guida sicura ma anche pista, sport, tecnica, approfondimenti e svago. Buona lettura!

Elenco degli articoli

Il pilota automatico

Di Emiliano Luchetti

Frizione, prima, un po’ di gas, lascia la frizione, troppo vel…, bum, spenta. “Non ce la farò mai” lo avrò detto così tante volte in quei due o tre giorni da non farci più caso quando lo dicevo, era diventato un mantra ipnotizzante che da un lato mi incollava alla sella della vespa, dall’altro aveva reso repellente alla mia mente ogni immagine di me mentre guidavo. Non ricordo quando e come si ruppe questo  loop e forse nemmeno allora mi resi conto di come avvenne, ma ad un certo punto andava, la vespa si muoveva, urlava quando acceleravo e tardavo a cambiare, strattonava se lasciavo velocemente la frizione, grattava tra una marcia e l’altra, faceva un sacco di versi che non capivo che volessero dire e spesso stanca di me si ingolfava. In qualche maniera però stavo domando il mio primo cavallo, o meglio, un vecchio pony acciaccato, ma comunque la mia prima cavalcatura.

Passato un po’ di tempo, riuscivo mentre guidavo a pensare ad altro che non fosse concentrarsi sulla guida, potevo guardarmi intorno, far finta di essere disinvolto in sella quando passavo davanti al bar, vedere la reazione della gente quando sbagliavo marcia, insomma,  come dicevano i miei amici dell’epoca, mi ero “abituato”.  Avevo superato tutte le prove, potevo guidare senza pensarci. Negli anni, frequentando per lo più persone con la mia stessa esperienza motociclistica, è diventato sempre più raro osservare chi si cimentasse nel  guidare e dovesse superare tutte le fatiche di Ercole per “abituarsi”. Con i compagni di sgommate quindi  dimenticammo presto quel periodo, come se una volta vaccinati potessimo andare in giro per il mondo senza chiederci che fosse successo nei giorni di apprendistato.

Vorrei aprire questo argomento perché  nel tempo, bazzicando comunità di motociclisti, sia per strada che sui forum, ho notato che molti di noi credono che i giorni delle bestemmie tra una partenza a singhiozzo e una grattata di marcia, siano stati il vaccino che dura tutta la vita e che “l’esperienza” quella vera si faccia nel macinare  chilometri negli anni. Credo sia importante quindi provare ad illuminare quello che sta dentro la nostra black box per prendere confidenza con il funzionamento di alcuni meccanismi per poi riflettere sulle esperienze che possono fare la differenza.

Quando si apprende un comportamento complesso ripetuto, come guidare una moto o un’auto, camminare e correre, o svolgere mansioni strutturate come in alcuni lavori, inizialmente viene eseguito utilizzando una buona parte della neocorteccia nella quale sono sviluppati la maggior parte dei processi cognitivi come attenzione, linguaggio, memoria, pensiero e  percezione. encefalo  I processi cognitivi sono attività mentali prevalentemente consce, ovvero siamo consapevoli che sono attivi nella nostra mente e vengono utilizzati a fondo quando dobbiamo apprendere qualcosa di complesso.  Quindi la nostra prima volta in sella è caratterizzata da una iper-concentrazione sul compito che non lascia spazio a nient’altro: esegui quello che ti viene detto, percepisci quello che accade, ricordi l’effetto del tuo comportamento, apprendi qual è l’effetto che devi ricercare, controlli con continui feedback ogni azione eseguita. In quel momento non sapresti ripetere il tuo numero di telefono in quanto i tuoi neuroni sono già saturi di “lavoro”. Questa è da considerare come una prima fase di un processo di apprendimento che necessariamente deve evolvere in una fase di interiorizzazione delle procedure che cerchiamo di assimilare, altrimenti avremmo bisogno di 7 cervelli, o meglio di sette neocortecce per poter gestire il nostro vivere. Infatti il nostro sistema nervoso oltre ad aver sviluppato funzioni complesse e consce come i processi cognitivi, è strutturato per gestire tutta una serie di funzioni involontarie e di comportamenti che devono o possono essere attivati volontariamente ma continuano in modo automatico.

Tutto il lavorio mentale che surriscalda il nostro cervello quando stiamo domando il nostro primo cavallo, prima o poi, perché ci consenta di guidare senza impazzire, dovrà diventare un processo automatico che attiviamo volontariamente ma necessariamente dovrà proseguire autonomamente.

Quando mi venne in mente di scrivere questo articolo e quindi pensare anche agli aspetti neurofisiologici, ripensai a quando da ragazzo facevo atletica leggera e correvo come un criceto dentro l’ovale rosso della pista sotto le urla di Silvio, l’allenatore, un tipo dal viso simpatico con la voce da orco, che nel periodo di preparazione alla stagione agonistica tentava di curare le tecniche di corsa dei sui allievi introducendo aspetti specifici: ad esempio, l’ampiezza della falcata aprendo di più l’angolo del ginocchio o l’altezza a cui deve arrivare la coscia quando corri o l’inclinazione del busto in avanti e via dicendo. Quando mi diceva di introdurre un nuovo aspetto che dovevo applicare al mio correre, in sostanza dovevo pensare di inserire ad ogni passo il nuovo movimento e ascoltare le urla di Silvio per capire se andava bene quello che stavo facendo oppure no. Se dopo qualche “va bene, vai così”, non lo sentivo più berciare e quindi era chiaro che il movimento nuovo fosse giusto, ad ogni passo ero io a controllare se quello che eseguivo fosse corretto con continui feedback che le afferenze propriocettive  mi indicavano. Ricordo che in quei momenti tutta la mia mente era sul quel movimento, andando così ad inficiare la fluidità degli altri movimenti e provocando quindi una conseguente perdita di efficacia della corsa. Inizialmente sembrava di regredire e le prime volte che facevo questo tipo di lavoro di restyling della corsa mi angosciavo molto.  Ma quando la morsa del mio controllo sul movimento si allentava perché percepivo che ad ogni passo andava bene, di lì a poco mi dimenticavo di pensarci. Correvo senza più pensare a quel movimento  che si era integrato alla mia corsa e mi consentiva di trarne dei vantaggi.

Anni dopo ho affrontato questi argomenti nel mio corso di studi e in effetti quando i meccanismi di feedback che si attivano ad ogni nuovo movimento o alla fine di ogni procedura del nuovo comportamento non registrano qualcosa di diverso da quello che abbiamo capito essere “il comportamento giusto” , © Copyright 2013 CorbisCorporationla rete neuronale che permette l’esecuzione dei movimenti inizia ad includere oltre alle strutture neocorticali anche neuroni sottocorticali i quali si occupano prevalentemente di gestire funzioni inconsce. Con il passare del tempo si crea una vera e propria rete neuronale in buona parte sottocorticale che ci permette di attivare volontariamente il comportamento complesso appreso e di continuare ad eseguirlo in modo non pensato. Questo tipo di funzione inconscia prende il nome di memoria procedurale.

Una volta lasciate alle spalle i moti rivoluzionari mentali e le imprecazioni entero-cascali, prende forma il nostro Pilota automatico tanto funzionale quanto nascosto, resistente al tempo e alla maggior parte degli eventi.  Un po’ come avere Silver surfer,silver-surfer il supereroe d’argento all’interno della testa che ci guida quando guidiamo, ci muoviamo seguendo i suoi movimenti e rimane al suo posto con il passare degli anni e delle moto. In realtà nel percorrere migliaia di chilometri  qualcosa cambia, Silver surfer diventa più agile, affina i suoi movimenti, diventa sempre più armonico, ma la maggior parte delle caratteristiche strutturali, salvo eventi particolarmente “forti” , permangono: la posizione del corpo, il modo in cui si curva, o meglio cosa muoviamo per far curvare la moto, lo schema di guida, come ad esempio le traiettorie, l’utilizzo del cambio e dei freni e così via.

Modificare Silver surfer non è semplice, come più volte mi ha spiegato un mio amico che lavora l’acciaio inox per costruire piccole parti dei motori: ogni metallo per essere cambiato nella sua forma senza spezzarlo o senza che perda le proprietà di resistenza, è importante che sia portato alla temperatura giusta e sapere che forma dargli per non correre il rischio di renderlo ancora meno utile di prima. Su questo Silvio era bravo, forse era la parte del suo lavoro in cui riusciva meglio, ma vi posso assicurare che come ex-atleta e attuale motociclista darsi la possibilità di metter mano alle proprie strutture interne per poter cambiare stile di corsa o di guida può essere faticoso e necessita di una forte motivazione. Allo stesso tempo però, anche se migliorare la propria guida può costare molte energie, se per noi andare in moto è una passione  vale sicuramente  la pena, sia per sentirsi più bravi nell’attività che ci piace e sia per raggiungere un grado di padronanza e quindi di sicurezza sempre maggiore.

Molti però, per diverse ragioni “si affezionano” al proprio supereroe intra-cranico  e guai a chi lo tocca! Altri non sanno nemmeno di averlo e pensano che il tempo e tanta strada facciano il motociclista. Quindi a cambiare molto spesso è la moto, che al di là delle differenze tra una  e l’altra, sembra che molte volte si intervenga sul mezzo per provare a migliorare qualcosa che non riguarda “lei”. Ad esempio quante volte in gruppo, soprattutto in quelli più competitivi, vediamo il nostro amico continuare a tagliare le curve a sinistra per rimanere attaccato agli altri, come faceva ai tempi del vespino o del fifty-top! Nonostante i decenni passati e le migliaia di euro in più che ha speso per avere tra il sedere e l’asfalto qualche cosa che lo faccia sentire un motociclista migliore, il suo stile non è mai cambiato.

In sostanza, per poter migliorare il nostro stile di guida è importante avventurarsi in esperienze di apprendimento che ci consenta di modificare la nostra memoria procedurale del guidare la moto. Nel prossimo articolo cercherò di proseguire questo argomento entrando nel  merito al tipo di esperienze che permettono un profondo cambiamento.

Prova BMW R1200GS 2013

UNA GS SPORTIVA

Com’è

Aspetto generale

La moto è una tipica BMW GS: design molto sofisticato e asciutto e costruzione senza dubbio solida, ma forse anche un po’ troppo essenziale sotto diversi aspetti, si vedano ad esempio quelle due specie di maniglie grigie ai lati del cruscotto, il cui interno non è rifinito e mostra le nervature di rinforzo della plastica. Colpiscono comunque l’integrazione di tutte le parti e l’alleggerimento cui sono stati sottoposti alcuni elementi, particolarmente impressionante quello relativo alla piastra di sterzo, ricavata per fusione.

R 1200 GSLa somiglianza col modello precedente è evidente, ma il tutto è stato rivisitato profondamente, tanto che probabilmente il vecchio e il nuovo GS non hanno un solo bullone in comune. Il nuovo modello è più raffinato nel design, più armonizzato nelle diverse componenti, più spigoloso, anche se con spigoli ben smussati e raccordati, e ha masse più voluminose all’anteriore.

Interessante l’inserimento nella linea dei due radiatori per il raffreddamento delle testate, camuffati da due pinne ben integrate nell’insieme, e il design del motore stesso, che ha conservato le alette per il raffreddamento ad aria dei cilindri tipiche del motore boxer BMW.

Belli ed eleganti i cerchi in lega. A richiesta sono disponibili le ruote a raggi, sempre equipaggiate con pneumatici tubeless.

Comandi elettrici

I blocchetti elettrici sono quelli del nuovo corso BMW, esteticamente gradevoli, con comandi delle frecce standard e caratterizzati dalla presenza di numerosi comandi per azionare tutti i servizi disponibili di serie o a richiesta; cominciano a essere davvero tanti, tanto da far sentire di notte la mancanza della retroilluminazione.

Le frecce si azionano con un normale comando a bilanciere, ma con in più la chicca dello spegnimento automatico dopo alcune centinaia di metri, il lampeggio è ottenuto premendo con l’indice una levetta posta sopra al blocchetto e il devioluci è attivato tirando in fuori la stessa leva, sistema inusuale, ma abbastanza comodo. Avviamento e spegnimento di emergenza sono comandati dallo stesso pulsante a bilanciere, con il vantaggio che è impossibile tentare di avviare la moto con il tasto in off.

Il clacson sembra come al solito quello di una Panda. La manovra del relativo pulsante è un po’ ostacolata dalla ghiera sporgente del Multi-controller, presente se si è richiesta la predisposizione per il navigatore BMW.

Il Multi Controller

L’hazard è azionabile con un pulsante dedicato posto sul blocchetto sinistro e non più con i comandi delle frecce premuti in simultanea, come avviene sui modelli equipaggiati con i comandi classici BMW.

Per la prima volta su una GS è presente a richiesta anche il pratico ed efficace sistema di regolazione automatica della velocità Tempomat, che già equipaggia da tempo i modelli più turistici della casa bavarese. Come di consueto, esso viene azionato da una levetta posta sul blocchetto di sinistra, dotata di una protezione scorrevole che funge da interruttore per lo spegnimento. Premendo la levetta in avanti si imposta la velocità corrente, che viene mantenuta finché non si frena o si tira la frizione o si forza la chiusura del gas. Se a regolazione attiva si preme la levetta in avanti o all’indietro, la moto accelera o decelera progressivamente finché non si rilascia il comando, mentre se la regolazione è disattiva, tirando la levetta all’indietro si richiama l’ultima velocità memorizzata.

Strumentazione

Cockpit

La strumentazione è molto bella, originale e assai diversa da quelle del modello precedente e di ogni altra BMW.

E’ composta da un unico strumento comprendente due quadranti analogici per contagiri e tachimetro, da un ampio display a cristalli liquidi dove sono visualizzate tutte una grande quantità di informazioni con caratteri grandi e nitidi, ma dall’asta sottile e quindi non molto ben visibili da tutti, e dalle spie, buona parte delle quali piazzate lungo il perimetro del display.

A richiesta è possibile avere la predisposizione per il BMW Navigator IV, la versione dedicata del Garmin Zumo 660, che comprende il citato Multi-controller e una staffa di fissaggio che non è proprio la cosa migliore della moto, visto che è montata su un traversino in posizione tale da coprire in parte la visuale del contagiri ed è dotata di un sistema di chiusura con chiave il cui azionamento è parecchio meno intuitivo della guida di uno Shuttle.

Illuminazione

La moto provata era dotata di impianto d’illuminazione totalmente a led, optional.

Faro a LED

Il gruppo ottico anteriore, molto bello da vedere, ha abbagliante e anabbagliante di potenza, ampiezza e omogeneità veramente superbe, pari e forse persino superiori a quelle dei fari allo xeno.

C’è anche la possibilità di circolare di giorno con la sola luce diurna accesa, cosa di cui mi sfugge l’utilità, visto che la visibilità della moto dal davanti diminuisce senza vantaggi apprezzabili, considerato il basso assorbimento dei led. In tal caso la commutazione giorno/notte avviene automaticamente grazie a un sensore di luminosità (che comanda anche l’accensione della luce degli strumenti). L’opzione può essere deselezionata attraverso il computer di bordo.

Posizione in sella

La sella del pilota è ben imbottita – né dura né troppo soffice – e comoda e può essere regolata sia anteriormente che posteriormente su due diverse altezze selezionabili indipendentemente, col risultato di ottenere quattro diverse posizioni: alta (870 mm da terra), bassa (850 mm) e due posizioni intermedie con la seduta inclinata in avanti o all’indietro.

La parte anteriore della sella è relativamente stretta e facilita l’appoggio a terra anche per chi non è particolarmente alto.

Sella

La sella del passeggero è montata come di consueto in posizione sensibilmente più alta e può essere regolata longitudinalmente in due posizioni diverse, cosa utile più che altro per regolare la lunghezza della seduta del pilota. Essa cela un piccolo vano, che può contenere i documenti e un antipioggia leggero.

Le pedane sono giustamente distanziate dalla seduta e poste sulla verticale della parte anteriore della sella e consentono una posizione molto comoda delle gambe, non troppo turistica, con un angolo del ginocchio ampio. Come su tutte le moto del genere, intralciano un po’ quando si poggiano i piedi a terra.

Il manubrio è abbastanza largo, alto e vicino, come si usa sulle enduro stradali, e può essere ruotato sui riser per adattare l’altezza dell’impugnatura.

Ne risulta una posizione di guida naturale e comoda, molto simile a quella della serie precedente, con il busto quasi dritto, ma comunque tale da poter anche caricare un po’ le pedane nella guida sportiva.

Gli specchi, sono un po’ piccoli – personalmente preferivo quelli tondi – ma ben distanziati, non interferiscono con gli specchietti delle auto, non vibrano e consentono una discreta visuale.

Il parabrezza è regolabile manualmente anche in marcia attraverso un comodissimo pomello, che però, essendo installato sulla destra, costringe a rilasciare il gas per la manovra, vanificando in  parte la comodità. Una ragione in più per acquistare la moto col regolatore di velocità Tempomat.

Il passeggero siede più in alto del pilota, su una sella ampia e ben imbottita e con pedane abbastanza distanti e avanzate, e ha a disposizione due ampie maniglie. Ne risulta una posizione comoda e con una buona visuale.

Capacità di carico

Le valigie somigliano a quelle del modello precedente, ma sono interamente nuove e non sono intercambiabili con esse.

Valigie

Il sistema di aggancio è stato modificato e reso più robusto e più pratico, ed è stata conservata la possibilità di variare il volume interno attraverso un maniglione posto all’interno di ogni valigia, topcase compreso.

La capacità delle valigie laterali è rimasta più o meno la stessa (tra i 30 e i 39 litri dichiarati per la valigia sinistra, qualcosa di meno per la destra), mentre il topcase è nettamente più profondo, con una capienza variabile tra i 25 e i 35 litri, e finalmente può contenere un casco integrale.

A valigie montate la larghezza della moto diventa come al solito notevole, specie con il loro volume regolato al massimo.

Motore e trasmissione

Il motore ha mantenuto lo schema boxer bialbero a quattro valvole per cilindro e l’aspetto in generale, i valori di alesaggio (101 mm) e corsa (73 mm) e quindi anche la cilindrata (1170 cm3) del modello precedente, ma per il resto è stato sottoposto ad un radicale ripensamento, che ne ha cambiato sostanzialmente il carattere.

La novità più nota, anche se esteriormente ben camuffata, per le ragioni dette commentando l’estetica, è l’introduzione del raffreddamento ad acqua delle testate, basato su due radiatori con termoventole posti sotto i fianchetti laterali, che sostituisce il precedente sistema di raffreddamento basato sull’olio motore e dotato di un solo radiatore posto sopra al parafango anteriore. Questa innovazione si è resa necessaria per migliorare la stabilità termica del motore e rendere possibile il suo adeguamento alle normative antinquinamento sempre più stringenti.

Più appariscente a livello visivo è la rotazione dei cilindri di 90°, in seguito alla quale ora i collettori di aspirazione e di scarico sono posti rispettivamente sopra e sotto i cilindri, anziché dietro e davanti come nel precedente modello. Questo ha permesso di razionalizzare il flusso dell’aspirazione, superando alcuni limiti intrinseci imposti alla fluidodinamica dal vecchio schema. Interessante e curioso è il fatto che gli alberi a camme sono rimasti orizzontali; di conseguenza ora le valvole di aspirazione e quelle di scarico sono azionate da alberi a camme dedicati, come avviene sulla stragrande maggioranza dei motori, mentre prima ciascun albero azionava una valvola di aspirazione e una di scarico.

Il motore raffreddato a liquido

Altra novità è data dal fatto che in ciascuna testa la catena non aziona più direttamente le pulegge dei due alberi a camme, ma il trasferimento del moto avviene attraverso un alberino centrale che muove gli alberi attraverso ingranaggi, col risultato che la catena non è più costretta a percorrere una curva particolarmente innaturale, cosa che aveva fatto storcere il naso a più di un appassionato di meccanica.

Immutata è invece la disposizione delle valvole, sempre radiali e azionate indirettamente dalle camme mediante l’interposizione di levette a dito basculanti.

L’insieme di queste e altre modifiche – tra le quali l’aumento del rapporto di compressione da 12 a 12,5:1 – ha consentito un rilevante aumento della potenza, passata da 110 CV a 125 CV allo stesso regime (7750 giri/min), e della coppia, già notevolissima nel modello precedente e cresciuta ulteriormente lungo tutto l’arco di erogazione – compresi i bassissimi regimi – fino a un massimo di 125 Nm contro i precedenti 120. Oltre ai nudi dati, va detto che il carattere del motore è reso particolarmente sportiveggiante dall’adozione di un volano molto leggero, peraltro non presente sulle nuove R1200GS Adventure e R1200RT raffreddate ad acqua.

Nuova è anche la possibilità di variare il comportamento del motore (e non solo) nelle varie situazioni di guida, ottenibile a richiesta. Il sistema consente di selezionare quattro diversi “riding mode”: Enduro, Rain, Road e Dynamic, ognuno dei quali influisce sia sul comportamento del motore, che diventa via via più pronto ai comandi del gas e più potente, sia su quello degli aiuti elettronici alla guida, il cui intervento viene adattato alle esigenze del settaggio, da conservativo in Rain a sportivo in Dynamic. Esiste poi anche un quinto riding mode, l’Enduro Pro, riservato all’uso in fuoristrada con gomme tassellate e accessibile soltanto dopo aver inserito una particolare spina codificata, la cui principale particolarità consiste nel disattivare l’ABS sul solo freno posteriore.

Ma forse ancora più impressionanti, almeno dal punto di vista meccanico, sono i cambiamenti che riguardano la trasmissione. A livello estetico salta subito all’occhio lo spostamento dell’albero cardanico da destra a sinistra, come già da tempo era avvenuto sulla serie K. Ma le modifiche che non si vedono sono assai profonde e impattano notevolmente sulla filosofia costruttiva e sulla guida della moto. Di fatto, il comparto trasmissione è stato totalmente rivoluzionato.

Nel modello precedente lo schema, concettualmente immutato dal 1923, prevedeva una frizione monodisco a secco, montata direttamente all’estremità posteriore dell’albero motore, che trasmetteva il moto al cambio posto in linea con essa e dotato di lubrificazione separata dal motore. Soluzione perfetta per un motore ad albero longitudinale e centrale, pulita e razionale. Ma se prima tale schema costituiva una rarità nel panorama motociclistico (si ritrova solo sulle Moto Guzzi), la trasmissione della nuova serie R è un unicum assoluto ed è l’ennesima prova della fantasia e dell’originalità – quasi al limite della follia – dei progettisti della Casa bavarese.

Nel nuovo modello la frizione è multidisco in bagno d’olio e per giunta antisaltellamento, e si trova davanti e sotto all’albero motore, è messa in rotazione attraverso una coppia di ingranaggi e trasmette il moto al cambio, situato  posteriormente, mediante un albero che ruota coassialmente all’interno del contralbero di smorzamento delle vibrazioni (!), sotto all’albero motore.

Particolarmente impressionante ed esemplificativo del livello di sofisticazione e di libertà concettuale nella progettazione di questo motopropulsore, è  il fatto che la catena di distribuzione sinistra è orizzontale e azionata direttamente dall’albero motore, mentre quella destra prende il moto dal contralbero antivibrazioni e quindi è disposta diagonalmente.

Per conto suo, il cambio è stato ovviamente riprogettato da cima a fondo, e alla guida si sente. La novità principale è che non si trova più in una scatola separata, bensì nel carter motore e quindi ora è lubrificato dal suo stesso olio, come avviene nella quasi totalità delle moto in commercio.

La rapportatura è piuttosto ravvicinata e corta. Queste sono le velocità massime teoriche raggiungibili al regime di potenza massima (7750 giri):

  • 1a 74,1 km/h
  • 2a 105,4 km/h
  • 3a 139,4 km/h
  • 4a 170,7 km/h
  • 5a 191,7 km/h
  • 6a 213,0 km/h.

In 6a a 130 km/h il motore gira a circa 4700 giri, e la velocità massima coincide praticamente col regime di potenza massima.

Assetto

La moto è equipaggiata con le solite sospensioni Telelever all’anteriore e Paralever al posteriore che equipaggiano la serie R fin dalla 1100, ma le maggiori doti velocistiche della nuova GS hanno imposto una rivisitazione della ciclistica in chiave più sportiva.

E’ aumentata innanzitutto la sezione degli pneumatici, da 110/80-19 a 120/70-19 l’anteriore e da 150/70-17 a ben 170/60-17 il posteriore, all’evidente scopo di migliorare la trazione e l’appoggio nella guida veloce su asfalto.

Per aumentare il controllo e ridurre la tendenza all’impennata è stato poi ricercato un maggior carico sull’avantreno, attraverso lo spostamento in avanti del motore, mentre l’avancorsa e l’inclinazione dell’angolo di sterzo sono state leggermente ridotte, rispettivamente da 101 a 99,6 mm da 25,7 a 25,5°, per compensare l’aumento del carico e migliorare la maneggevolezza e la prontezza dello sterzo.

La diversa disposizione del motore e la nuova architettura della trasmissione hanno infine consentito un allungamento del braccio posteriore di circa 52 mm, pur lasciando l’interasse invariato a 1507 mm.

E’ possibile avere in opzione il sistema ESA II (Electronic Suspension Adjustment), che consente di tarare elettricamente le sospensioni attraverso un pulsante dedicato. Da fermo è possibile regolare la taratura in funzione del carico (solo pilota, pilota con bagagli, con passeggero), mentre in qualsiasi momento è possibile scegliere un settaggio tra Sport, Normal e Comfort, cui corrisponde una regolazione della frenatura da rigida a morbida. Esistono inoltre due settaggi per il fuoristrada, che tra l’altro comportano un aumento della luce a terra. La regolazione avviene sul freno in estensione e sul precarico di entrambe le sospensioni e influisce indirettamente anche sulla rigidità della molla posteriore, variando l’elasticità di uno spessore posto alla sua estremità e realizzato con uno speciale polimero.

Freni

La moto è equipaggiata con due dischi anteriori da 305 mm morsi da pinze ad attacco radiale Brembo a quattro pistoncini e con un disco posteriore da 276 mm e pinza flottante a 2 pistoncini, ed è presente di serie l’impianto semintegrale Continental Teves che equipaggia da qualche anno tutte le BMW R e K, comprendente l’ABS.

L’impianto si basa su due circuiti frenanti tradizionali, l’anteriore azionato dalla leva e il posteriore azionato dal pedale. La frenata integrale è ottenuta attraverso la pompa elettrica di ripristino della pressione frenante, che a quadro acceso aziona il freno posteriore quando si agisce sulla leva al manubrio, modulandone opportunamente la potenza in funzione delle circostanze.

In caso di guasto del sistema, vengono a mancare la frenata integrale e l’ABS, ma la potenza frenante rimane invariata e sempre disponibile al 100%.

Come va

Manovre da fermo

Pure essendo un po’ ingrassata rispetto al vecchio modello – la casa dichiara 238 kg col pieno, contro i 229 del modello precedente – la moto pesa sempre meno di buona parte delle sue concorrenti, quindi è sensibilmente più gestibile della media, sia condotta a mano che in sella.

Il cavalletto centrale è ben fatto e non richiede particolare sforzo, e quello laterale è comodo da azionare.

Partenza

All’avviamento, un po’ più pronto che sui precedenti modelli, si nota subito che la musica è cambiata. Resta la voce inconfondibile del boxer, ma la rumorosità meccanica è maggiore e quella di scarico è più cupa e secca; si sente che l’indole è più sportiva, sensazione che viene confermata dalla rapidità con cui il motore sale di giri all’apertura del gas. Altra particolarità è che la coppia di rovesciamento tipica delle moto con albero longitudinale è diminuita sensibilmente e, soprattutto, inclina la moto nella direzione opposta rispetto a prima.

Per chi è abituato al modello precedente, la partenza è uno shock. La frizione è morbidissima, ma non stacca totalmente come quella vecchia, per cui quando si inserisce la prima la moto sussulta, ma soprattutto il cambio emette un clack notevole e simile a quello delle K frontemarcia. E quando si parte, la frizione assai più brusca della vecchia, la notevole prontezza del comando del gas e la coppia straripante del motore costituiscono un vero invito all’impennata, prontamente stroncata dall’intervento immediato e invasivo dell’antipattinamento.

Motore

La coppia, possente fin dai regimi minimi, rimane elevata per tutto l’arco di erogazione e, insieme alla rapportatura corta, garantisce un’accelerazione notevole, ma soprattutto una ripresa nel rapporto superiore imbattibile. La moto può viaggiare in sesta dai 50-60 km/h senza problemi, garantendo un tiro tale da poter affrontare qualsiasi pendenza e in qualsiasi condizione di carico senza dover mai fare uso del cambio, e anche i sorpassi sono di una facilità disarmante. Intendiamoci, l’accelerazione e in particolare la ripresa erano già ottime nel modello precedente, ma qui tutto si svolge in modo decisamente più veloce.

L’allungo è proporzionalmente meno impressionante rispetto al comportamento ai bassi, però la nuova GS si difende molto bene anche da questo punto di vista e cede strada alle più potenti Ducati e KTM solo perché raggiunge prima il limitatore, complice anche la rapportatura corta, e non per mancanza di vigore nel salire di giri.

La nostra moto era inoltre equipaggiata con il sistema DTC (Dynamic Traction Control), disponibile a richiesta, che impedisce lo sbandamento della ruota posteriore per eccesso di gas e le impennate. Molto preciso nell’intervento, esso però risulta piuttosto brusco, a causa soprattutto dell’esuberante coppia del motore, e quindi risulta molto invasivo nella guida cittadina e in generale alle basse velocità. Il sistema è disinseribile e si riattiva comunque ad ogni riaccensione del motore.

L’esemplare provato era equipaggiato con la possibilità di scegliere differenti riding mode, descritta in precedenza. Il passaggio dall’uno all’altro è facile e può avvenire anche in movimento. La differenza tra una mappatura e l’altra è abbastanza evidente, però il comando è molto rapido, fin troppo, e stranamente rimane in buona parte tale anche con la mappatura Rain, che invece dovrebbe garantire una risposta particolarmente dolce del comando. Penso che BMW ne modificherà presto il comportamento, per differenziare meglio le mappature tra loro e rendere la moto meglio gestibile sul bagnato e dall’utenza più tranquilla. A parte tale aspetto, l’e-gas funziona bene, la risposta del motore è coerente con la rotazione del comando e non ci sono problemi di apri-chiudi.

Le caratteristiche citate, unite alla rapportatura piuttosto corta – simile a quella del modello precedente – rendono la guida di tutti i giorni senza dubbio più nervosa e reattiva al gas – e a tratti anche esilarante – che su qualsiasi moto concorrente provata, ivi compresa la Ducati Multistrada, la cui potenza nettamente superiore si manifesta solo a partire dai medi regimi. In pratica, dare tutto gas alle basse velocità è impossibile, perché o si innesca l’antipattinamento a ripetizione, o si passa continuamente da un’impennata all’altra. Chi ama la tranquillità non si troverà a suo agio su questa moto, ma chi ama le moto scattanti e divertenti, troverà pane per i suoi denti.

Trasmissione

Complice la nuova frizione in bagno d’olio, gli innesti del cambio e in particolare quello della prima sono piuttosto rumorosi e il folle si trova a volte con qualche difficoltà, per cui siamo lontani dal livello ottimo del vecchio modello. La leva è duretta, ma la corsa è corta e precisa e invita alla guida sportiva. Peraltro, questo cambio gradisce più del precedente le cambiate senza frizione.

La trasmissione a cardano funziona bene e non evidenzia le rumorosità riscontrate sulla K1600GT.

Assetto

Il comportamento delle sospensioni è quello tipico delle grandi BMW, con trasferimenti di carico in frenata anche violenta e in accelerazione particolarmente contenuti, cosa che da un lato garantisce una stabilità e un confort invidiabili, e dall’altro toglie ad alcuni un po’ di feeling nella gestione dell’avantreno. Personalmente non condivido questa critica, perché sono abituato a misurare la presa dell’anteriore attraverso l’aderenza dello pneumatico e non in base all’affondamento dell’avantreno, ma capisco che per alcuni la cosa possa essere fonte di disorientamento.

La moto provata era equipaggiata con il sistema ESA II di regolazione del comportamento delle sospensioni. Rispetto al vecchio modello tutte le regolazioni sono state virate verso il rigido, per contrastare i trasferimenti di carico dovuti alla maggior coppia motrice. Come risultato la taratura Comfort è morbida, ma comunque non troppo cedevole, mentre la Sport rende la guida più precisa, con limiti nel confort sullo sconnesso.

Le modifiche apportate alla rigidità e alla geometria delle sospensioni rendono questa nuova GS più precisa nella guida del modello precedente, ma altrettanto maneggevole e un po’ più stabile alle velocità medio alte. Ciò nonostante, la moto sembra cresciuta più di motore che di assetto, e quando si forza il passo sfruttando l’accelerazione e le velocità nettamente superiori, l’impressione è che un po’ più di avancorsa non guasterebbe, perché a volte si manifesta una certa tendenza allo sbacchettamento, pur non eccessiva. Non a caso, il modello 2014 è dotato di ammortizzatore di sterzo.

Maneggevole anche in città, la moto dà ovviamente il meglio di sé nel misto, dove la velocità nei transitori, il comportamento neutro o sovrasterzante a piacimento, l’assetto perfettamente piatto e la coppia ai regimi di maggior utilizzo la rendono un osso duro in sella a qualsiasi altra moto. Resta comunque una moto piacevole in tutte le situazioni, anche in autostrada, dove l’unica cosa che manca è una sesta di riposo.

Freni

La frenata è abbastanza potente – le pinze radiali non hanno cambiato granché il comportamento rispetto al modello precedente, già molto buono per la categoria – piuttosto resistente e molto ben modulabile e la moto rimane perfettamente stabile anche nelle staccate più volente, come da tradizione della Casa.

La frenata integrale condiziona notevolmente il comportamento dell’impianto frenante. Per le caratteristiche del sistema, se si frena con entrambi i comandi, il loro effetto sul freno posteriore si somma, col risultato che nelle frenate un po’ più decise esso tende a bloccare prematuramente e a far entrare l’ABS. Per la stessa ragione il freno posteriore può andare in fading se nelle lunghe discese percorse in velocità si insiste a utilizzare i due comandi insieme. Ma una volta presa coscienza di questo fatto, l’impianto funziona benissimo, perché usando il solo comando anteriore si ottiene una frenata perfettamente bilanciata ed efficace anche in curva, grazie al fatto che è assente qualsiasi tendenza autoraddrizzante, mentre il posteriore si usa solo come timone per stringere la traiettoria.

Il sistema contribuisce anche a rendere l’intervento dell’ABS assai poco invasivo, perché in caso di intervento all’anteriore, l’impianto aumenta automaticamente la potenza della frenata posteriore, riducendo nettamente l’effetto psicologico di “moto che scappa in avanti” tipico dei sistemi antibloccaggio.

Il sistema ABS, oltre ad evitare il bloccaggio delle ruote, impedisce anche il sollevamento della ruota posteriore. 

Comfort

La sella ben fatta, la posizione di guida rilassata, il molleggio molto buono, la stabilità dell’assetto in tutte le situazioni e la discreta protezione dall’aria offerta dal parabrezza regolabile rendono la GS una moto senza dubbio comoda. L’unica nota criticabile è la rumorosità, un po’ troppo elevata per i miei gusti (ma c’è a chi piace) anche con lo scarico di serie e resa ancora più evidente in autostrada dalla sesta corta.

Consumi

Il consumo medio rilevato nel corso di tutta la prova, condotta con passo da hooligan per metà in città e per il resto in autostrada e sul misto, si aggira intorno ai 14,5 km/litro. A velocità costante è facile fare i 20 km con un litro, come con il modello precedente. Il serbatoio da 20 litri consente di percorrere mediamente 300-350 km con un pieno.

Pregi

  • Motore con coppia e sfruttabilità eccezionali
  • Ripresa da riferimento
  • Guida piacevole e sportiveggiante
  • Moto comoda

Difetti

  • Frizione brusca
  • Gas troppo rapido nelle mappature non sportive
  • Antipattinamento invasivo

La moto ed il corpo

La moto è anche fitness!

Ho sempre vissuto la moto come qualcosa di non assolutamente fine a se stesso. Non riesco e non voglio considerarla semplicemente un mezzo di trasporto. A maggior ragione da quando, assieme ad altri tre “talebani” della vita motociclistica, abbiamo fondato questa scuola proprio con l’intento di diffondere una maggiore consapevolezza dell’uso della nostra amata compagna su gomma. Tra i tanti aspetti infatti si sottolinea quello della partecipazione attiva alla guida da parte del pilota. Eh si! Sulla moto si fatica! Ci si alza, ci si siede, gira, inclina, sposta… a voi non sembra?

Non c’è da preoccuparsi: come ogni rapporto che si rispetti quello tra il pilota e la sua moto, se di amore si tratta, segue una naturale escalation nel tempo. Si inizia con un timido approccio, pochi km su percorsi facili, fin qua tutto nella norma. Poi la voglia di fare di più aumenta proporzionalmente ai km e si migliora il nostro bagaglio di esperienza cimentandosi su percorsi sempre più difficili. Rientrati ai box però il nostro fisico ci presenta immediatamente il conto! Ecco che le gambe dolgono, i muscoli del collo e delle spalle sembrano essersi saldati tra loro e magari finiamo per pensare che abbiamo fatto troppa strada o che la moto abbia il manubrio sbagliato o la sella fatta male. In alcuni casi potrebbe anche essere, ma la realtà è solitamente un’altra: l’allenamento ci ha affaticato. Ma eravamo in palestra o sulla moto? Poco cambia: qualsiasi cosa coinvolga in maniera attiva la psiche è il fisico è di fatto un allenamento.

                                                                                  
I piloti professionisti lo sanno bene e si allenano molto per poter effettuare performance di livello. Gli amatori come me lo sanno ancor di più e si ritrovano dopo qualche giro di pista ad avere lo stesso debito d’ossigeno di chi ha corso mezz’ora. Lo sa anche lo stradista appassionato, quante energie sono richieste da una buona quantità di chilometri tra curve e tornanti. Chi conduce uno stile di vita sedentario può risentire ancor prima dei postumi di un “allenamento motociclistico”, ovvero quei sintomi che nel mondo del fitness si usa chiamare con l’acronimo di DOMS – Delayed Onset Muscle Soreness, traducibile in italiano come indolenzimento muscolare a insorgenza ritardata. Se come abbiamo detto fin ora usare la moto è comunque paragonabile a praticare uno sport, allora allenandoci possiamo migliorare! É corretto?

Vediamo cosa ne pensa il nostro amico ed esperto del settore Enrico Lorenzani, uno dei personal trainer più stimati nell’ambiente del fitness Romano, nonché motociclista appassionato alla guida di una particolarissima BMW R1200ST da lui chiamata “la navicella”.
Insomma in poche parole l’uomo giusto!

Ciao Enrico ed innanzitutto grazie per la tua disponibilità!
Scherzi vero? Si parla di moto e di sport, cosa potrei chiedere di più?

Enrico pensi sia corretto definire l’uso della moto come un vero e proprio esercizio fisico anche al di fuori delle competizioni sportive?
Certamente! E’ ovvio che per vivere al meglio la moto ed aumentare il piacere di guida bisogna avere un minimo di condizionamento fisico. Se poi ci si allena con costanza tutto diventa più semplice. Dopotutto la maggior parte delle moto non pesano meno di 180 KG e anche da fermo lo sforzo può essere impegnativo, figuriamoci quando ci muoviamo ed entrano in gioco velocità, equilibrio, stabilità e le forze di accelerazione e decelerazione che dobbiamo contrastare.

Quindi tramite un allenamento mirato potremmo incrementare le nostre prestazioni in termini di attenzione, resistenza e rendimento?

Quando si guida una moto l`intero fisico è sottoposto a stress! Tutti i muscoli lavorano ed il sistema nervoso è attivo con tutti i sensori propriocettivi per mantenere una coordinazione e un bilanciamento ottimale. Uno sport paragonabile è lo sci nautico. Si pensi che in un’ora di guida impegnativa si può perdere fino ad 1,7 litri di liquidi e anche il battito cardiaco può salire come quando ci alleniamo duramente in palestra.

Questo per due motivazioni: la prima è lo sforzo fisico in sé, la seconda per via del rilascio di adrenalina, il più potente stimolatore per il cuore che si possa assumere.

Quindi un allenamento cardiovascolare può sicuramente aiutare nella resistenza, ma nelle lunghe distanze sono la concentrazione mentale e i muscoli a fare la differenza. Guidare la moto per ore può essere davvero stancante.

Visto che per noi un buon rendimento prestazionale si traduce in sicurezza, proviamo a  ipotizzare due scenari diversi tra i nostri lettori. Nel primo il nostro amico motociclista fa già sport. Quali sono gli esercizi che dovrebbe aggiungere o curare per il nostro scopo?

Per quanto riguarda l’allenamento cardiovascolare uno dei più indicati è la bicicletta, anche perché le similitudini nella postura da mantenere sono molte.

Ma si deve pensare ai  muscoli in modo diretto.

Per prima cosa prestare importanza ai muscoli delle gambe, sono fondamentali per gli spostamenti. Gambe allenate alleggeriscono le braccia, facilitando i movimenti per la piega, e inoltre, non caricando sulle braccia, si evita l’ insorgere di patologie sulle articolazioni dei polsi e delle mani.

Quindi è necessario fare esercizi fondamentali come squat, affondi, stacchi, e poi lavorare sui muscoli adduttori che servono per tenere stretta la moto tra le gambe. Utilissimo in fase di frenata.

Tra I muscoli più importanti ci sono anche la schiena, gli addominali, le spalle e sicuramente il “core”, ovvero tutto l’ apparato dei muscoli del bacino, pelvici, addominali e stabilizzatori della colonna.

Il core training migliora notevolmente le prestazioni in qualsiasi sport, stabilizzando la struttura si sviluppa più forza e resistenza, oltre a risolvere problemi di squilibri muscolari e  posturali.

Quindi esercizi come leg curl sulla fitball, addominali sulla fitball, semplicemente salire a cavallo della fitball come su una moto e stringere le gambe rimanendo in equilibrio, il taglialegna (rotazioni del busto al cavo dall’alto verso il basso con movimento diagonale) la tavoletta (a terra faccia in giù mantenere la posizione come un ponte su gomiti e punte dei piedi schiena dritta).

Chiaramente  questi sono i muscoli da enfatizzare, ma non dimenticate di allenare anche i pettorali (spinte su panca o usare la fitball come panca per aumentare l’instabilità e utilizzare i muscoli stabilizzatori ed aumentare la capacità propriocettiva) pettorali ai cavi, dorsali con trazioni alla sbarra o alla lat machine presa larga e presa inversa per sviluppare I muscoli della presa e dell’ avambraccio.

Per i muscoli del collo potete usare la fitball, tenendola tra il muro e la testa e poi ruotare su sé stessi o semplicemente mantenendo la posizione per alcuni secondi.

Nel secondo il nostro amico motociclista non ha il tempo di frequentare una palestra, ma ha voglia di svolgere qualche esercizio base, magari a casa dove non ha attrezzi. Che tipo di allenamento gli consiglieresti?

Semplice ma efficace, comincerei con semplici steps su di una sedia o un muretto, affondi statici o camminando, squat a carico naturale o spingendo un peso sopra la testa in modo da utilizzare allo stesso tempo spalle e braccia. Esercizi che migliorano l’equilibrio e i muscoli stabilizzatori.

Piegamenti sulle braccia, tavoletta a terra sui gomiti o sulle braccia, esercizio superman (a carponi sulle ginocchia distendere una gamba e il braccio opposto come appunto superman e alternare).

E se siete abbastanza forti, montate una sbarra e cominciate a tirarvi su; con costanza e impegno riuscirete a salire sempre più volte.

Se poi vi procurate una fitball per casa le combinazioni di esercizi che potete fare diventano svariate.

E come ha già accennato Enzo, ricordatevi che se non avete i DOMS, non avete lavorato abbastanza.

Bene, direi che c’è già molto su cui lavorare. Sconvolgente apprendere quanti siano i muscoli coinvolti nella guida e quanto qualche ora di guida in moto sia da considerare un allenamento completo. Più in la magari tornerò a trovarti e potremmo parlare di alimentazione. Ma dovrò studiare bene come farlo, perché, si sa, “la magnata” è uno stile di vita a cui tutti i motociclisti aderiscono senza alcuna fatica (soprattutto il sottoscritto) e non vorrei perdere tutti i lettori in un sol colpo!

Per chi volesse approfondire ancora l’argomento Enrico sarà lieto di offrire il proprio aiuto: enrico.lorenzani@gmail.com

Enrico Lorenzani

Ragazze, diffidate degli alti!

Ragazze, diffidate degli alti.

Lo so, mi rendo conto che sia una posizione alquanto perentoria e generalistica, ma datemi retta. Diffidate degli alti.
I motociclisti “alti” (sopra i 175 cm) sono portati a pensare che sia assolutamente impossibile andare in moto senza toccare con entrambi i piedi per terra, sono convinti che poter “zampettare” stando seduti sopra la moto sia l’unico modo possibile per fare manovre e non credono in nessuna maniera che una ragazza sui 50 kg possa gestire una moto di 200 kg. Manco ce la dovessimo portare a spalla, dico io.

Questo perché la “natura” non li ha mai portati a farlo e non perché sia realmente pericoloso o peggio ancora “quasi impossibile”, e – scusatemi se insisto – poco conta se la persona che vi suggerisce questa idea ha 10-20-30 anni di moto sulle spalle: perché per tutti quegli anni non avrà fatto neanche una volta quello che farete voi. O se ci ha provato si è trovato in difficoltà dimenticandosi che era la sua prima volta ed è normale dover prendere le misure.

...e hop!Parto dal presupposto che andare in moto non sia un diritto, i diritti son ben altri, e che non tutti siano portati per la guida, ma se vi piace la cosa e avete realmente intenzione di seguire la vostra passione non fatevi deviare. Attenzione che qui prendo un’altra posizione forte e tendenzialmente impopolare: solo voi sapete quel che è meglio per voi stesse. Ok, dai diciamo che se non avete mai guidato e iniziate a fare la ronda ad una 1198 Troy Bayliss magari in quel caso un esamino di coscienza me lo farei. Ma tendenzialmente le ragazze sono abbastanza brave ad autolimitarsi e riconoscere i propri limiti, pure troppo. Sono anche straordinariamente brave ad abbattersi e pensare che “avevano ragione, quella roba non fa per me”.

Lo scenario standard è che in assenza di dimestichezza coi comandi, con un appoggio a terra non perfetto e una forza fisica inferiore a quella di un uomo, ad ogni “ciuff” (rumore tipico del motore a quattro tempi che si spegne perché troppo basso di giri) ne consegue una probabile quanto innocua caduta da fermo. Ma il rumore di una moto che cade e l’impatto emotivo di vederla a terra abbandonata a se stessa è sempre una cosa non positiva. Ed ecco che la ragazza demotivata spesso si rifugia nel suo mentore dicendogli “pesa tanto, non ci tocco, avevi ragione. Comprerò una moto che non mi piace, ma più adatta a me”. Ecco, signore, ve ne prego. Non cadete in questa considerazione della moto “più adatta a me”.

Lo so che si dice che son tutti omosessuali con il lato B altrui (ehm, forse non era proprio così), ma chi vi scrive è alta 1.59 e certo non con la zampa lunga e se dovesse guidare una moto in cui tocca con entrambi i piedi per terra non dovrebbe andare oltre la 883. Eppure a me piacevano altre moto, eppure a me piacevano le enduro anche. E quindi che fare? Niente, nessun coniglio dal cilindro. Ma quando c’è una passione vera come quella che muove tante altre lady allora si cade comunque, ma ci si rialza e giorno dopo giorno si apprendono delle piccole astuzie: si impara prima di arrivare ad uno stop a sbilanciare leggermente la moto da lato in cui volete poggiare il piede (ecco che non ne servono più due), si impara a fare manovra scendendo dalla moto ed appoggiandosela al fianco, si Ecco.impara a spostarla con la prima marcia e il motore (ed ecco che la moto non pesa più) e si può anche imparare la tecnica giusta per rialzare da sole la moto sfruttando le leve più favorevoli della moto stessa (ma se c’è qualcuno a darci una mano, tanto meglio).

Non date quindi retta a chi suggerisce di modificare la moto con le biellette (lowering kit), o peggio chi punta a modificarne la ciclistica infilando la piastra sulla forcella e spompando il mono posteriore in modo che quando vi sedete guadagnate 5-6cm. Anche la sella esageratamente bassa è una cosa che vi incassa, vi costringe in una posizione obbligata e vi toglie piacere di guida, sì perché la moto dev’essere prima di tutto guidabile.

E quando vi fermate per definizione mica state guidando.

 articolo di Giada “Ghiaia” Beccari, che ringraziamo!

Ogni volta è lo stesso, perché ogni volta è diverso.

Di Claudio Cartia

Se dovessi raccontarvi le cose più importanti che mi sono successe negli ultimi venti anni avrei di che parlare per un bel po’. Se poi voleste sapere quali di questi fatti ricordi meglio, quali abbiano lasciato un ricordo vivido e indelebile allora sarebbero meno, ma ancora parecchi. Alcuni belli, altri meno, avrei comunque materiale per andare avanti ben oltre la terza o quarta birra, magari bevendo piano… in fondo devo raccontarveli, quindi non è che possa fare entrambe le cose insieme, no?

Mi rendo conto che tra tutti questi ricordi ancora vivi molti hanno a che fare con le moto. Sono rimasti impressi nella mia memoria in modo così chiaro non solo perché hanno avuto a che fare con la passione più grande della mia vita, ma anche perché erano prime volte.

Tutti ricordiamo bene le prime volte della nostra vita: la prima che ci siamo messi nei guai, il primo esame e il primo giorno di lavoro, ma anche la prima volta che ci siamo innamorati, il primo bacio e l’altra prima volta logicamente conseguente che adesso però non è che devo per forza descrivere tutto nei dettagli, eh!

Le prime volte sono belle perché nel bene o nel male sono cariche di aspettative, incertezze, emozioni di tutti i tipi che dalla seconda volta in poi non hanno già più la stessa intensità.

Ricordo benissimo quando comprai la mia prima due ruote, una Vespa 50 Special che andai a prendere senza aver la minima idea di come si guidasse. Tornai a casa sbagliando marce e grattando ogni innesto, facendola spegnere a ogni semaforo e rischiando di uccidermi non so quante volte, in un misto di fanatica esaltazione e terrore nero. Ricordo perfettamente il primo giorno sulla la mia prima moto “vera” (più o meno stessa patetica scena, con in più un paio di cadute da fermo, perché era pure alta) e di quei giorni potrei descrivervi tutto, che tempo faceva, le strade che percorsi, gli odori, le sensazioni. Mi sembrano ieri.

Soprattutto ricordo benissimo il mio primo viaggio in moto: Roma-Misano nel 1993, per vedere il GP del Motomondiale. Io su un Pegaso 600 e Antonio in sella a una 883. Quasi tutti i miei ricordi più belli relativi alle moto, da quel giorno in poi, sono legati a un viaggio di qualche tipo e il motivo l’ho capito qualche tempo fa.

Viaggiare in moto vuol dire vivere una serie infinite di Prime Volte, sempre diverse.

Non importa che tipo di viaggio sia e non importa quanto grande o piccola sarà la vostra avventura, ma voi la ricorderete.

Sono certo che ricordate la vostra prima foratura e il casino che avete fatto col Fast cercando inutilmente di riparare il buco in mezzo a quel posto del cavolo dimenticato da Dio. Immagino che ricordiate bene il primo Diluvio Universale che vi siete presi e la prima volta che vi siete trovati le mani surgelate perché la temperatura era scesa di 15 gradi in venti minuti e stavate coi guantini estivi. Io perfettamente! E la prima volta che avete dovuto affrontare un tratto di strada non asfaltata, magari spinti da un amico con l’enduro che vi diceva “ma dai che è facile!” mentre voi sulla vostra supersport racing RRR snocciolavate mentalmente il rosario in un modo non necessariamente rispettoso… ne vogliamo parlare? Magari continuavate a dire “mai più!” nel casco e adesso eccovi qui, col vostro KTM 990 pronto-raid.

Di sicuro io ricordo la mia prima notte all’addiaccio, il primo adesivo attaccato sulle valigie della moto, il primo timbro sul passaporto e le prime persone che si sono avvicinate a me durante un rifornimento o una sosta per conoscermi o salutarmi, magari senza nemmeno parlare la mia lingua. La prima caduta, il primo guasto, la prima emergenza. Come dicevo all’inizio, potrei andare avanti per ore.

La magia del viaggiare in moto per me sta proprio in questo. Potrei cambiare lavoro o iscrivermi di nuovo all’università, ma non vivrei i primi colloqui o i primi esami con lo spirito di tanti anni fa.

Ma se domani partissi di nuovo con moto e bagagli verso una destinazione qualsiasi, saprei per certo che ad aspettarmi ci sarebbero tante piccole e grandi avventure, sempre le stesse eppure sempre diverse, come la prima volta.

La passeggera riluttante

Va bene, diciamolo, a me tutta sta passione per la moto risulta incomprensibile. Mi fa sbuffare e alzare gli occhi al cielo: è una questione di fede, mi rendo conto. Sono atterrata sul sito sbagliato, mi direte. E invece no, perché io con questa fede ci convivo tutti i giorni.

Ricordo uno dei primi appuntamenti con quello che, sfidando le leggi della fisica (40 cm di differenza) e della mente (no, io non sono mai salita su una moto), sarebbe diventato mio marito. Ricordo ancora il VFR rosso su cui sono salita per la prima volta, con incoscienza (nel senso di inconsapevole noncuranza), preoccupandomi più che altro di come conciliare l’andare in moto con i miei due problemi esistenziali: il freddo e il fashion victimism.
Ho sempre pensato alla moto come un semplice mezzo, fatto per raggiungere uno scopo evidente e di natura pratica. Sempre più mi rendo conto che invece è davvero uno strumento di affermazione del Sé.
Non starò qui a raccontare le speranze di condivisione deluse, le giacche da moto comprate e indossate 6 volte in 6 anni. Non starò a dirvi che per me il casco è sempre stato l’odiato oggetto che rovina i capelli e che mai, dico mai, mi sarei sognata di vederlo appoggiare sul letto come un trofeo (che poi è sporco no? perché deve stare sul letto!?).

Insomma, ancora oggi, nonostante i tentativi di mediazione, evito di andare in moto perché l’inverno fa freddo, l’estate fa caldo, ho il torcicollo, poi puzzo di smog, ecc. Ancora rispondo piccata a chi mi chiede “perché non sei andata anche tu in Patagonia in moto?!”. Sempre meno riesco a far finta di interessarmi alle lunghe discussioni tra motociclisti perché, diciamoci anche questo, appena sento “moto” il mio cervello va in risparmio energetico. Ancora sbotto quando inciampo negli ingombranti e costosissimi accessori da moto, tenuti come reliquie …che non potevamo appassionarci a ‘na cosa meno invadente no?!

Nonostante le premesse melodrammatiche, io con questa passione ci convivo felicemente da anni. Anche perché è una passione portata avanti con forza ma anche con maturità e continua voglia di migliorarsi. Ed eccoci qui, a parlare di sicurezza in moto, quella parte meno divertente, quella che non è per niente appealing, che questo “Safe” nel nome io l’ho osteggiato per lungo tempo. Un po’ perché l’idea della sicurezza, appunto, è poco cool. Un po’ forse anche perché, sotto sotto, il tormentone moto=pericolo ci perseguita e anche i più spavaldi se lo portano dietro, e allora è meglio non parlarne proprio!

Ora, io non ci capisco nulla. So solo vagamente cosa sia una traiettoria, guido di malavoglia la macchina e quando guido sono (ero?) una persona pessima. Poi mi guardo intorno e capisco quanto fondamentale sia la sicurezza stradale. Mi guardo come sono oggi mentre guido e penso che tanto devo a chi mi ha riconciliato, per quanto possibile, con la strada e con il mezzo.

Mi guardo infine in moto, come passeggera riluttante e penso a quando, dopo aver preso le misure al mezzo e al guidatore, finalmente ho deciso che potevo stare sicura, e mi sono addormentata su una moto da corsa, in corsa, senza maniglie e senza bauletto.

 

articolo di Maria Nesticò (che ringraziamo!)

La pista è di tutti!

Vengo anch’io, no tu no!

Chi di voi ricorda questo simpatico motivetto? Ma soprattutto, che c’entra con un articolo che dovrebbe trattare di moto e, nel dettaglio, di moto in pista? C’entra perché vorrei trattare questo argomento da un punto di vista diverso, che poi è quello che a noi di SafeRiders sta più a cuore: l’approccio ad una nuova esperienza muovendo i primi passi nella giusta direzione.

Ma la canzoncina direte voi? Un attimo, ora ci arrivo. Probabilmente, anche se non ve ne siete accorti, è il motivetto che dentro di voi è risuonato ogni volta che avete pensato di provare la pista.  E’ successo a livello inconscio e senza accorgervene vi siete detti “no tu no”! Anche se poi si è palesato in altre forme che dovrebbero aver risuonato più o meno cosi: mi piacerebbe ma…“non ho la moto adatta”,  “non ho le gomme in mescola”, “non sono in grado”,“ costa troppo“. Questo, sommato alla giustissima e doverosa paura della prima volta, ha portato sicuramente molti di voi a desistere e, lasciatemelo dire, è un vero peccato.

Proviamo allora a sfatare falsi miti e credenze da bar dello sport analizzando le problematiche più ricorrenti.

non serve una race-replica per girare in pista“Non ho la moto adatta”. 

Falso, non esiste una tipologia di moto adatta alla pista ma contrariamente ne esistono alcune adatte solo alla pista. Possederne già una al nostro primo tentativo, risulterebbe più o meno come voler possedere un telescopio astronomico per rivolgere un  fugace sguardo alle stelle.  La moto che abbiamo, purché sia progettata per un uso stradale (intendo su asfalto) va benissimo. Esistono invece situazioni inadatte, quelle in cui il nostro livello di esperienza o la nostra moto non vanno bene per niente. Ad esempio, se foste sul predellino di un’imbarcazione pronti a tuffarvi per la vostra prima immersione, vorreste che sotto di voi ci fosse la fossa delle Marianne? Penso proprio di no, quindi evitiamo di prenotare per il debutto una giornata di prove libere tra velocisti al Mugello magari solo perché ci va un amico.  Esistono giornate adatte ai debuttanti, con turni riservati a chi inizia, spesso con apri pista messi a disposizione dell’organizzatore.  Altro ottimo metodo è la suddivisione in tempi sul giro, grazie alla quale si accede al circuito in gruppi omogenei per capacità e velocità.

“Non ho le gomme in mescola”. 

Tranquilli non vi servono ancora. Occorre solo presentarsi con un treno di gomme almeno a tre quarti della loro aspettativa di vita. Poiché per quanto la vostra autostima inizi a crescere non appena mettete piede all’interno del circuito, il limite di tenuta delle vostre coperture è ancora lontano dalle vostre capacità. E se tra di voi ci fosse, e ve lo auguro, un talento nascosto? State certi che le vostre gomme non vi abbandoneranno lo stesso. L’unica cosa che le differenzia dalle loro sorelle specifiche è la capacità di sostenere molti giri a ritmi e temperature elevatissime prima di iniziare a cedere grip, ma non è ancora il nostro caso.

 “Non sono in grado”. 

Conservare il giusto timore reverenziale fa sempre bene, ma non deve esserci di ostacolo.  L’ambiente nel quale questa nuova esperienza prende forma è importantissimo. Gettarsi d’istinto nella situazione sbagliata spesso finisce solo per restituirci un’idea distorta di ciò che abbiamo vissuto ed ecco che quella vocina interna torna a dirci cose tipo “non fa per me”. Potrebbe sembrare banale detto da noi, ma iniziare con un corso di guida in pista è ovviamente la scelta più adatta.  Affidarsi a un amico può andar bene se riconosciamo in lui capacità e competenze necessarie. Il fatto che lui vada forte non è abbastanza.

“Costa troppo”. 

Vorrei potervi dire il contrario, come vorrei anche che le piste fossero parchi giochi gratuiti per bambinoni cresciuti, ma ahimè la pista ha i suoi costi. Diciamo solo che se fa parte delle nostre priorità troveremo di sicuro il modo come facciamo per lo specchietto, il casco, la marmitta, il giubbotto…ok mi fermo! D’altronde esiste un modo a voi conosciuto per ostacolare i desideri di un motociclista? Se lo trovate, vi prego ditemelo!

E il nostro orrendo motivetto? Già non lo sentite più? Bene, allora ci vediamo in pista! Vi aspetto.

Ah dimenticavo, dovesse accadere anche a voi di contrarre quel virus che io chiamo “pistite”, non me ne abbiate a male, è un virus che si propaga a fin di bene. L’unico modo conosciuto per contrastarlo è abbassare la visiera, percorrere la corsia dei box ascoltando il rumore del motore che sale allo stesso ritmo dei tuoi battiti. Poi arrivi a quella linea bianca che si assottiglia portandoti dentro il circuito, è l’ultima volta che ti volterai indietro. Da quel momento in poi andrai solo avanti correndo incontro alle tue emozioni.

Lo specchio del motociclista

Di Emiliano Luchetti

 

Mi ricordo quando arrivai per la prima volta al bar del paese con la vespa del ’68 del mio babbo, era il mio passaporto per entrare nel mondo dei motociclanti. Avevo compiuto 14 anni da una mezza giornata e la fame di moto mi portava ad avvicinarmi a gente che sembrava vivesse solo di quello, ragazzi, uomini, vecchi lupi che non parlavano d’altro per ore: modifiche, marmitte aperte, storie incredibili e teorie sulla dinamica della moto a dir poco improponibili. Il bar diventò da quel momento la scuola delle due ruote dove potevo imparare tutto, o almeno pensavo, quello che c’era da imparare da professoroni dall’alito che sapeva di Montenegro e da giovani ricercatori che si presentavano al bar bestemmiando perché avevano perso qualche pezzo per strada che avevano aggiunto poco prima.

Altro che scuola, i primi tempi sembrava l’università, imparai a impennare, sgommare, cadere e sbucciarmi bene bene,  ma da subito notai un aspetto che ancora oggi mi intriga: nessuno in quel bar e nelle successive “scuole” che ho frequentato poneva l’attenzione sulle tecniche di guida, il focus rimaneva quasi esclusivamente sul mezzo, eccetto in quei casi in cui il pilota era evidentemente più bravo rispetto alla media della “classe” e si permetteva di sfoggiare manovre da stunt contornate da perle di saggezza su come si guida, che però risultavano criptiche a tutti. La maggior parte dei riders che ho conosciuto idolatrava, sminuiva, caratterizzava le motociclette appiccicandoci sopra adesivi, aggiungendoci o togliendoci parti convinti di modificare le qualità del mezzo.

Credo che questo argomento stia alla base dei nostri comportamenti e vorrei tentare di mettere in luce dei meccanismi ai quali facciamo poco caso.

La motocicletta  è un oggetto meraviglioso, per come è fatta e per quello che proviamo quando la usiamo, è uno strumento di piacere con il quale possiamo vivere esperienze emotive di elevata intensità. Per lei siamo disposti a spendere soldi, litigare con chi vive con noi pur di mantenerla, prendere la pioggia, ogni tanto anche qualche multa, intorno alla moto si organizzano gruppi, eventi e stili di vita. Perché? In prima analisi possiamo dire che con la motocicletta viviamo esperienze emotive, diventa per molti un simbolo di passione, questo vale anche per coloro che dichiarano di non volerci avere niente a che fare perché intimoriti, ovvero attiva anche in loro emozioni nonostante queste non vengano percepite positivamente.  Quindi in relazione alla moto ci emozioniamo e per questo motivo  si attiva un meccanismo inconscio e potentissimo sul quale si fonda la relazione con “lei”. La motocicletta diventa un oggetto proiettivo, la caratterizziamo con parti del nostro Sé, attribuiamo a lei alcune delle nostre caratteristiche, emozioni, limiti, aspetti del nostro Sé ideale e qualche volta del nostro Sé fallimentare. È per questo che la nostra moto la possiamo amare, odiare, temere, spesso quando nessuno ci sente ci parliamo, la chiamiamo e ogni tanto la offendiamo.

Tutto questo sta alla base della relazione moto-motociclista, ci permette di fonderci in un’unica entità, di arrivare a sentire la moto come un prolungamento del nostro corpo e muoversi con lei in modo armonico e naturale. Per questo ci innamoriamo, ci fondiamo in un rapporto simbiotico, vediamo in lei il meglio di noi o quello che desideriamo essere, la nutriamo di attenzioni, gadget, accessori tecnici che modificano le prestazioni, ma che spesso non vengono sfruttati fino in fondo, perché in realtà attraverso “lei” sfamiamo parti di noi.  Gli appassionati di custom ad esempio evidenziano questo aspetto più di altri,  la moto diventa un monumento a sé stessi, un’opera d’arte sulla quale specchiarsi e confrontarsi con gli altri, arrivando persino a modificare profondamente le caratteristiche tecniche della moto rendendola talvolta più difficile da guidare pur di personalizzarla.

In alcuni casi però possiamo trovarci in difficoltà: quando non ci sentiamo confidenti e non conosciamo a pieno le dinamiche della moto e le tecniche per poterla governare possiamo confonderci e non capire più  cosa abbia a che fare con noi e cosa con la moto. C’è il rischio quindi che non conoscendo bene la nostra “lei” possiamo mischiare e confondere quello che proiettiamo con le reali caratteristiche della moto. Infatti è un classico sentir dire: “con questa moto più di così non si può piegare” o “queste gomme che ho comprato non vanno bene, tendono a scivolare”. Se non riusciamo a guidare con serenità, possiamo proiettare i nostri limiti, paure, incertezze, pensando che sono aspetti della moto e corriamo il rischio di attivare il circolo vizioso del disinnamoramento: più perdiamo confidenza, più ci spaventiamo e più proiettiamo sulla  moto la nostra paura identificando in “lei” i problemi di una relazione ormai in crisi.

Molti continuano una difficile convivenza facendo finta di niente, altri massacrano il conto in banca cambiando selle, manubri, sospensioni, alla ricerca del problema, altri ancora la lasciano cercandone un’altra, andando a sbattere però nelle stesse antiche dinamiche.

Difficilmente ci pensiamo, ma la crisi può diventare l’occasione per poterci mettere in discussione e intraprendere un lavoro su di noi che ci consenta di capire i nostri limiti e saggiare le reali potenzialità del mezzo.

Per poter approfondire il rapporto con lei è fondamentale avventurarsi in un processo verso la conoscenza di noi, cercando di capire cosa “mettiamo” nella relazione con la moto, ma anche cosa può fare lei e in che modo. È un lavoro di coppia che solo noi possiamo intraprendere ma che può cambiare la relazione con il nostro amore.

 

Prova Honda VFR 1200F

L’esemplare provato è nuovo si zecca (300 km all’attivo) ed è dotato di ABS di serie. La prova è stata condotta su un percorso asciutto urbano, misto e autostradale.

Posizione di guida

La posizione è comoda, con pedane moderatamente arretrate e manubrio non troppo basso né lontano dalla sella. Ne risulta una seduta naturale, adattissima al tipo di moto. La sella è un po’ alta (815 mm), ma l’appoggio a terra risulta comunque facilitato dalla sottigliezza della moto nella parte centrale. Non sono previste regolazioni della sella o delle pedane, mentre ci sono i registri sulle leve al manubrio.

Da fermo

Honda VFR 1200FLa moto è un po’ pesante per la cilindrata (267 kg in ordine di marcia, cioè con tutti i liquidi e il serbatoio pieno), probabilmente a causa dell’architettura a V del motore, ma nelle manovre da fermo sembra più leggera di quanto dichiarato, grazie al baricentro basso e all’equilibrio generale. Il cavalletto laterale è comodo da azionare anche stando in sella, e a richiesta è disponibile anche il cavalletto centrale.

Capacità di carico

La moto può essere equipaggiata con topcase da 31 litri, valigie laterali da 29 litri e borsa serbatoio da 7 litri, per un totale di 96 litri; una capacità discreta.

Motore

Il motore presenta una rumorosità relativamente marcata al minimo, superiore a quella dei quattro in linea della stessa casa, ed è caratterizzato dalle tipiche vibrazioni della configurazione a V, evidenti a tutti i regimi, ma piacevoli e mai eccessive. Il rumore in marcia è piuttosto contenuto, e tende a scomparire rapidamente al crescere della velocità. Il timbro di voce del V4 è molto piacevole. Fino a 4000 giri il tiro è un po’ sottotono, pur consentendo una guida senza problemi (anzi, rendendo più semplice la guida sul bagnato e in città), mentre subito sopra tale regime la spinta si fa vigorosa e rimane praticamente costante fino al massimo dei giri. Il motore gira comunque rotondo anche a basso regime, e non presenta alcun difetto di erogazione né apri-chiudi. Notevole l’isolamento dal calore garantito dalla doppia carena, che devia l’aria calda emessa dalle due elettroventole lontano dalle gambe del pilota.

Trasmissione

Il cambio si manovra bene, ma non è il migliore esistente in commercio. In particolare, fa un po’ di scalino nell’innesto delle marce a salire a basso e medio regime, almeno sull’esemplare provato. I rapporti sono spaziati regolarmente e abbastanza lunghi (a 120 km/h in sesta siamo a circa 4300 giri). La strumentazione comprende un indicatore della marcia inserita. La frizione idraulica è impeccabile, morbida, resistente e progressiva. La trasmissione finale a cardano è un capolavoro: totalmente priva di giochi, riesce ad eliminare anche ogni movimento di beccheggio, pur essendo priva del braccio di reazione.

Freni

L’impianto è potente e ben modulabile. Oltre che per l’ABS, per nulla invasivo,  è caratterizzato dallo schema di frenata CBS. Questo sistema è al top per quanto riguarda la sicurezza, perché ciascun comando aziona entrambi i freni, sia pure con una diversa ripartizione (il pedale ha un effetto prevalente sul freno posteriore e la leva sul freno anteriore), e questo minimizza la possibilità di sbilanciare l’assetto della moto in frenata, specie in curva, e riduce la tendenza al bloccaggio, o meglio, all’innesco dell’ABS. Tale risultato è ottenuto mediante pinze freno speciali, nelle quali una parte dei pistoncini è azionata dalla leva e un’altra parte dal pedale, soluzione che impone il raddoppio dei circuiti idraulici, ma che ha il pregio di funzionare anche a quadro spento, a differenza del principale sistema corrente, l’Integral ABS della BMW. Tale sistema però è responsabile di una caratteristica a mio parere negativa, che emerge soprattutto nella guida sportiva: premendo il pedale posteriore in curva, la moto rallenta, ma non chiude la traiettoria – come di solito avviene – a causa del lieve effetto raddrizzante indotto dal freno anteriore, con il risultato di ridurre la maneggevolezza e, soprattutto, di limitare la possibilità di variare la direzione in caso di curva presa troppo allegramente o di un imprevisto. Per ottenere tale effetto è dunque possibile affidarsi al solo freno motore, perciò conviene affrontare le curve con una marcia bassa, anche perché in tale circostanza non è possibile fare alcun affidamento sul freno anteriore, che induce un marcato effetto raddrizzante. Al contrario, in rettilineo il comportamento dei freni è perfetto. In particolare, oltre alla potenza, vengono in aiuto la forcella rigorosa, l’interasse piuttosto lungo e il baricentro basso.

Sospensioni

Le sospensioni sono piuttosto rigide, ma non al punto tale da creare problemi nella guida sullo sconnesso. La taratura è risultata tale da garantire un ottimo comportamento in qualsiasi circostanza, anche alle velocità più elevate, dove le oscillazioni indesiderate sono totalmente assenti.

Comportamento su strada

La moto è molto scattante e veloce, ma allo stesso tempo è estremamente facile da gestire nella marcia a bassa velocità, grazie ai rapporti relativamente lunghi, alla coppia relativamente limitata ai bassi regimi, alla dolcezza dell’erogazione e all’assenza di apri-chiudi. Telaio e avantreno sono granitici e assicurano una stabilità ottima a qualsiasi velocità. Anche la maneggevolezza è buona, pur senza raggiungere i livelli di eccellenza di una K1300S, soprattutto per la già citata mancanza di efficacia direzionale del freno posteriore in curva. Il risultato è una bella guida, che con una diversa regolazione del sistema CBS diventerebbe bellissima.

Comfort

La moto risulta abbastanza comoda, grazie alla posizione di guida impeccabile, all’assetto non troppo rigido, alla sella un po’ dura, ma larga e ben fatta e alle vibrazioni non eccessive. La protezione aerodinamica però è discreta, con la testa che risulta quasi completamente scoperta. A richiesta è disponibile un deflettore supplementare regolabile che dovrebbe migliorare parecchio la situazione.

Consumi

La relativa brevità della prova non mi ha consentito di effettuare rilevazioni. Il serbatoio da 18,5 litri è un po’ piccolo per una moto che ha ambizioni di turismo sportivo.

Pregi

  • Buon motore, potente, ma gestibile
  • ABS impeccabile Stabilità eccellente

Difetti

  • Impossibilità di chiudere la curva con il freno posteriore, dovuta al sistema CBS
  • Serbatoio un po’ piccolo
  • Coppia un po’ limitata a basso regime

Prova BMW R1200GS Adventure 2010

L’esemplare provato è un Model Year 2010 equipaggiato con ABS, appena uscito dal tagliando dei 1000 km. La prova è stata condotta su un percorso perlopiù asciutto, a tratti umido, comprendente un tratto misto e uno autostradale.

Posizione di guida

La posizione è caratterizzata dal manubrio alto, largo e ravvicinato e dalle pedane abbastanza avanzate e distanti dalla sella. La posizione risultante è comoda, con l’unico appunto di un’angolo dei polsi un po’ innaturale, dovuto alle manopole quasi perfettamente orizzontali. La guida in piedi non presenta problemi (solo i più alti sentiranno la necessità di alzare ulteriormente il manubrio), agevolata anche dalla presenza dello spessore ribaltabile sul pedale del freno, che facilita l’uso del pedale stando in piedi. La sella può essere regolata in due posizioni, a 89 e 91 cm da terra. La larghezza è limitata e le gambe non hanno ostacoli, ma la gestione dell’equilibrio è problematica se si è alti meno di 1.75-1,80, complice anche il peso non indifferente. Le leve al manubrio sono regolabili.

Da fermo

La moto pesa 223 chili dichiarati a secco, che con i liquidi e il pieno di carburante diventano 256. Più i telai e le borse in alluminio, più gli optional, insomma, alla fine il peso non è indifferente ed equivale a quello di una R1200RT a parità di equipaggiamento. Le manovre devono essere ovviamente condotte con una certa attenzione, e anche salire e scendere non è facilissimo, almeno se non si è spilungoni; conviene usare sempre il cavalletto laterale e issare la moto sul centrale solo una volta in piedi. Se non altro, i cavalletti sono agevoli da usare.

Motore

Il motore è l’ultima variazione sul tema boxer 4v. Come tutte le unità di questa serie, spicca più per la coppia che per la potenza, presenta vibrazioni evidenti ma non eccessivamente fastidiose a tutti i regimi ed è caratterizzato da una “strana” coppia di rovesciamento dovuta all’albero longitudinale, particolarmente evidente quando si dà gas da fermo oppure per scalare marcia (anche se, occorre precisarlo, sia le vibrazioni che la coppia di rovesciamento sono sensibilente minori che sulle vecchie 1150, grazie alla presenza di un contralbero equilibratore). Però quest’ultima versione è riuscita particolarmente bene, perché nell’uso il motore evidenzia una disponibilità di coppia praticamente costante a qualsiasi regime, tanto da rendere possibili riprese vigorose fin dai 1500-2000 giri anche in salita. Si potrebbe dire che offre sia la pienezza ai bassi del 1100-1150 che la potenza agli alti del 1200 monoalbero, senza evidenti buchi di coppia. In più, il motore sfodera un allungo sconosciuto al vecchio 1200 (e ancor di più alle serie precedenti), tanto che tira dritto fino agli 8500 giri del limitatore senza alcuna esitazione e senza alcun aumento delle vibrazioni in prossimità del limite. Al godimento dovuto alle buone caratteristiche di funzionamento si aggiunge una rumorosità nettamente superiore rispetto ai modelli precedenti, con un timbro più cupo, tanto da sembrare dovuta ad uno scarico aftermarket (con il dB killer inserito, ovviamente). Chi si aspetta più potenza da questo nuovo bialbero rimarrà deluso, tutti gli altri si godranno un motore perfettamente equilibrato e adattissimo a questa moto.

Trasmissione

Il cambio, dalla corsa abbastanza corta, è preciso, abbastanza morbido e anche silenzioso. I rapporti sono ben spaziati e relativamente corti (a 120 km/h in sesta siamo verso i  4500 giri). La strumentazione comprende un indicatore della marcia inserita. La frizione monodisco idraulica è progressiva e la trasmissione a cardano non crea alcun problema alla guida.

Freni

BMW R1200GS AdventureL’impianto Integral ABS funziona molto bene. Dotato di un ABS poco invasivo, è privo dei servofreni elettrici, che avevano creato non pochi problemi di affidabilità all’impianto adottato in precedenza dalla Casa. Pur mantenendo tutta la potenza frenante del vecchio impianto, non c’è dubbio che la sua modulabilità sia migliorata notevolmente, tornando ad essere del tutto normale.

L’architettura si basa su due circuiti frenanti tradizionali, l’anteriore azionato dalla leva e il posteriore azionato dal pedale. La frenata integrale è ottenuta attraverso la pompa elettrica di ripristino della pressione frenante, che a quadro acceso aziona il freno posteriore quando si agisce sulla leva al manubrio, modulandone opportunamente la potenza in funzione delle circostanze.

In caso di guasto della pompa, vengono a mancare la frenata integrale e l’ABS, ma la potenza frenante rimane invariata e sempre disponibile al 100%, a differenza del vecchio impianto, basato su un’architettura completamente diversa, dove la rottura dei servofreni si traduceva in un drastico aumento dello sforzo frenante, con netto peggioramento degli spazi di frenata.

Unico inconveniente di tale schema è che se si frena con entrambi i comandi, il loro effetto sul freno posteriore si somma, col risultato che esso tende a bloccare prematuramente e a far entrare l’ABS. Ma si tratta di un inconveniente marginale, perché in effetti, questa moto può essere guidata in ogni circostanza utilizzando il solo freno anteriore, perfino quando si vuole correggere la traiettoria in curva, perché l’assenza di qualsiasi tendenza autoraddrizzante consente alla moto di chiudere comunque la curva. Se poi proprio si vogliono mantenere le buone abitudini, è possibile comunque controllare la traiettoria in curva “pelando” il freno posteriore con il pedale.

La moto rimane abbastanza stabile anche nelle staccate più violente, grazie soprattutto alla sospensione anteriore Telelever ,che riduce drasticamente l’affondamento dell’avantreno ed evita la riduzione dell’avancorsa in frenata tipica delle moto “normali”, ma la ridotta sezione delle gomme determina un leggero effetto galleggiamento, comunque non preoccupante.

Altra conseguenza della presenza del sistema Telelever è la rapidità con cui l’avantreno va in appoggio nelle staccate violente, cui consegue la possibilità di pinzare quasi subito con la massima forza e quindi la massima prontezza possibile nelle frenate di emergenza.

Sospensioni

La moto provata non montava il sistema ESA di adattamento della taratura delle sospensioni durante la marcia. Le sospensioni di serie sono molto morbide e a corsa lunga. Ne deriva un comportamento quasi dondolante, che però non crea problemi alla guida, grazie alle particolari sospensioni Telelever e Paralever, la cui geometria limita drasticamente i movimenti di beccheggio dovuti ai trasferimenti di carico. La moto quindi è molto comoda e le ruote copiano fedelmente le sconnessioni anche pronunciate, rendendo la guida molto rilassante in ogni condizione.

Comportamento su strada

La guida di questa moto è molto facile ed equilibrata, ad un livello che non capita spesso di trovare in giro. Il motore è particolarmente riuscito. La coppia notevole e regolare e l’allungo interessante consentono una fluidità di movimento eccezionale in ogni situazione e rendono possibile dimenticarsi del cambio in molte circostanze, e perfino le sue vibrazioni, che su una tourer (leggi R1200RT) potrebbero essere fuori luogo, qui sono perfettamente adeguate allo spirito enduristico della moto. Le caratteristiche della ciclistica descritte sopra, unitamente ad un’avancorsa particolarmente ridotta (soltanto 89 mm, contro i 101 della GS standard), donano poi alla moto un comportamento neutro e una maneggevolezza notevole, rendendo la guida sul misto una questione piuttosto divertente, senza compromettere la stabilità sul veloce, che rimane più che buona, anche se non granitica come sulle vecchie R1150GS. Come su tutte le BMW di alto livello, la particolare geometria della sospensione anteriore consente di ritardare di molto la staccata durante l’inserimento in curva, perché l’assetto della moto non ne risente minimamente, né è presente alcun effetto autoraddrizzante. La postura turistica non consente ovviamente di avere una grossa percezione di quello che accade all’avantreno, per cui bisogna fidarsi, e ciò può mettere a disagio chi proviene da moto più caricate sull’avantreno. Ciò nonostante, la sensazione di controllo che si ha sul misto alla fine è più che buona e superiore a quella ottenibile sulla R1200GS standard, probabilmente a causa del maggior peso.

Comfort

Le sospensioni sono ovviamente molto comode, ma il bello di questa maxienduro è la protezione aerodinamica, in assoluto ottima e paragonabile a quella di una buona tourer. Tale risultato è stato ottenuto armonizzando al meglio numerosi dettagli: parabrezza maggiorato e ben studiato, deflettori laterali, paramani, serbatoio maggiorato che ripara le gambe dalla pressione del vento, cilindri del motore boxer. La sella comoda e le distanze corrette tra questa, le pedane e il manubrio completano il quadro. Le sole cose che possono dare fastidio alla lunga sono la postura verticale, che alcune schiene non gradiscono troppo, e la posizione poco naturale dei polsi dovuta alle manopole orizzontali.

Consumi

Il consumo medio effettivo si attesta intorno ai 17/18 km/l, in percorso misto. Il generoso serbatoio da 33 litri consente agevolmente percorrenze di oltre 500 km tra un pieno e l’altro.

Pregi

  • Equilibrio generale
  • Regolarità del motore
  • Facilità di guida
  • Confort (molleggio e aerodinamica)

Difetti

  • Altezza da terra notevole
  • Posizione dei polsi poco naturale