Di Emiliano Luchetti
Mi ricordo quando arrivai per la prima volta al bar del paese con la vespa del ’68 del mio babbo, era il mio passaporto per entrare nel mondo dei motociclanti. Avevo compiuto 14 anni da una mezza giornata e la fame di moto mi portava ad avvicinarmi a gente che sembrava vivesse solo di quello, ragazzi, uomini, vecchi lupi che non parlavano d’altro per ore: modifiche, marmitte aperte, storie incredibili e teorie sulla dinamica della moto a dir poco improponibili. Il bar diventò da quel momento la scuola delle due ruote dove potevo imparare tutto, o almeno pensavo, quello che c’era da imparare da professoroni dall’alito che sapeva di Montenegro e da giovani ricercatori che si presentavano al bar bestemmiando perché avevano perso qualche pezzo per strada che avevano aggiunto poco prima.
Altro che scuola, i primi tempi sembrava l’università, imparai a impennare, sgommare, cadere e sbucciarmi bene bene, ma da subito notai un aspetto che ancora oggi mi intriga: nessuno in quel bar e nelle successive “scuole” che ho frequentato poneva l’attenzione sulle tecniche di guida, il focus rimaneva quasi esclusivamente sul mezzo, eccetto in quei casi in cui il pilota era evidentemente più bravo rispetto alla media della “classe” e si permetteva di sfoggiare manovre da stunt contornate da perle di saggezza su come si guida, che però risultavano criptiche a tutti. La maggior parte dei riders che ho conosciuto idolatrava, sminuiva, caratterizzava le motociclette appiccicandoci sopra adesivi, aggiungendoci o togliendoci parti convinti di modificare le qualità del mezzo.
Credo che questo argomento stia alla base dei nostri comportamenti e vorrei tentare di mettere in luce dei meccanismi ai quali facciamo poco caso.
La motocicletta è un oggetto meraviglioso, per come è fatta e per quello che proviamo quando la usiamo, è uno strumento di piacere con il quale possiamo vivere esperienze emotive di elevata intensità. Per lei siamo disposti a spendere soldi, litigare con chi vive con noi pur di mantenerla, prendere la pioggia, ogni tanto anche qualche multa, intorno alla moto si organizzano gruppi, eventi e stili di vita. Perché? In prima analisi possiamo dire che con la motocicletta viviamo esperienze emotive, diventa per molti un simbolo di passione, questo vale anche per coloro che dichiarano di non volerci avere niente a che fare perché intimoriti, ovvero attiva anche in loro emozioni nonostante queste non vengano percepite positivamente. Quindi in relazione alla moto ci emozioniamo e per questo motivo si attiva un meccanismo inconscio e potentissimo sul quale si fonda la relazione con “lei”. La motocicletta diventa un oggetto proiettivo, la caratterizziamo con parti del nostro Sé, attribuiamo a lei alcune delle nostre caratteristiche, emozioni, limiti, aspetti del nostro Sé ideale e qualche volta del nostro Sé fallimentare. È per questo che la nostra moto la possiamo amare, odiare, temere, spesso quando nessuno ci sente ci parliamo, la chiamiamo e ogni tanto la offendiamo.
Tutto questo sta alla base della relazione moto-motociclista, ci permette di fonderci in un’unica entità, di arrivare a sentire la moto come un prolungamento del nostro corpo e muoversi con lei in modo armonico e naturale. Per questo ci innamoriamo, ci fondiamo in un rapporto simbiotico, vediamo in lei il meglio di noi o quello che desideriamo essere, la nutriamo di attenzioni, gadget, accessori tecnici che modificano le prestazioni, ma che spesso non vengono sfruttati fino in fondo, perché in realtà attraverso “lei” sfamiamo parti di noi. Gli appassionati di custom ad esempio evidenziano questo aspetto più di altri, la moto diventa un monumento a sé stessi, un’opera d’arte sulla quale specchiarsi e confrontarsi con gli altri, arrivando persino a modificare profondamente le caratteristiche tecniche della moto rendendola talvolta più difficile da guidare pur di personalizzarla.
In alcuni casi però possiamo trovarci in difficoltà: quando non ci sentiamo confidenti e non conosciamo a pieno le dinamiche della moto e le tecniche per poterla governare possiamo confonderci e non capire più cosa abbia a che fare con noi e cosa con la moto. C’è il rischio quindi che non conoscendo bene la nostra “lei” possiamo mischiare e confondere quello che proiettiamo con le reali caratteristiche della moto. Infatti è un classico sentir dire: “con questa moto più di così non si può piegare” o “queste gomme che ho comprato non vanno bene, tendono a scivolare”. Se non riusciamo a guidare con serenità, possiamo proiettare i nostri limiti, paure, incertezze, pensando che sono aspetti della moto e corriamo il rischio di attivare il circolo vizioso del disinnamoramento: più perdiamo confidenza, più ci spaventiamo e più proiettiamo sulla moto la nostra paura identificando in “lei” i problemi di una relazione ormai in crisi.
Molti continuano una difficile convivenza facendo finta di niente, altri massacrano il conto in banca cambiando selle, manubri, sospensioni, alla ricerca del problema, altri ancora la lasciano cercandone un’altra, andando a sbattere però nelle stesse antiche dinamiche.
Difficilmente ci pensiamo, ma la crisi può diventare l’occasione per poterci mettere in discussione e intraprendere un lavoro su di noi che ci consenta di capire i nostri limiti e saggiare le reali potenzialità del mezzo.
Per poter approfondire il rapporto con lei è fondamentale avventurarsi in un processo verso la conoscenza di noi, cercando di capire cosa “mettiamo” nella relazione con la moto, ma anche cosa può fare lei e in che modo. È un lavoro di coppia che solo noi possiamo intraprendere ma che può cambiare la relazione con il nostro amore.
Interessante e sincera, la riflessione di Emiliano apre strade che ogni motociclista dovrebbe percorre, per conoscere più a fondo se stesso e le proprie potenzialità.
Bellissimo articolo!
Penso che sia davvero un equilibrio strano e delicato capire cosa non va in noi e cosa non va nella moto…
Poi pensavo in particolare al discorso gomme “ho cambiato produttore\modello, e ora sento che scivola.” Beh, puoi essere un neofita, puoi essere un istruttore, puoi essere un Profi, ma alla fine se ti cacci in testa che una determinata cosa non va o è difettosa non c’è quasi niente che te lo possa togliere. Neanche vedere un altro che fa le cose che vorremmo fare con i nostri stessi mezzi…
Se poi ci aggiungiamo variabili come la scaramanzia o dei discorsi del tipo: quella moto mi ha disarcionato già una volta, non mi fido più….
Beh si entra in un ginepraio terribile.
Mi son fatta l’opinione che certe volte si arrivi ad un punto in cui non ci si risolve più e allora bisogna assecondare le nostre piccole manie. Una sorta di tassa da pagare per sentirci di nuovo a posto.
Dottore, son grave?
Ciao Giada,
Sono contento che ti piace e ti ringrazio per aver approfondito l’argomento.
Credo che, soprattutto quando siamo in sella, qualsiasi rituale o giochino mentale, purché non ci esponga a inutili rischi, possa essere utile se ci fa continuare a guidare sufficientemente sereni.
Penso però che di tanto in tanto, in particolare quando perdiamo la serenità nel guidare, sia utile analizzare quello che “non ci torna”, ipotizzando che una volta esclusi problemi meccanici, il “nodo” da sciogliere sta nella nostra testa. Il prossimo articolo che uscirà tra poco va nella direzione della tua riflessione.
Grazie
Poche volte ho letto qualcuno che sapesse così bene raccontare alcuni dei miei stati d’animo e che mi desse così tanto “materiale”su cui riflettere. Sinceramente e profondamente Grata.
Grazie a te per lo splendido commento.