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Sospensioni full floater

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Introduzione

Quando sono andato a provare la BMW S1000XR, ho notato dalla documentazione che la moto è equipaggiata con una sospensione posteriore denominata Full Floater Pro. Conoscevo già il nome Full Floater, perché è una sospensione a smorzamento progressivo largamente usata da Suzuki negli anni ’80. Ora, BMW tende a chiamare “Pro” un sacco di cose che fanno anche gli altri – per esempio, l’ABS Pro non è altro che il sistema antibloccaggio dotato di funzione cornering – perciò ho pensato distrattamente che si trattasse di qualcosa del genere e ho archiviato mentalmente il tutto nel cassetto “fuffa pubblicitaria”.

Successivamente ho provato anche la S1000R, basata sulla stessa meccanica, comune anche alla supersportiva S1000RR, ma questa volta sono stato colpito da questa frase nella cartella stampa, che prima mi era sfuggita:

il monoammortizzatore grazie al cinematismo Full Floater Pro si trova ora molto più lontano dal pivot del forcellone e dal motore. Ciò impedisce che il calore sviluppato dal motore causi il surriscaldamento del monoammortizzatore e garantisce una maggiore stabilità della temperatura di esercizio e una risposta di smorzamento ancora più costante.

In effetti, a un confronto visivo tra la vecchia e la nuova versione balza all’occhio il forte arretramento del mono, che prima era praticamente occultato dal telaio nella vista laterale, mentre adesso spicca con evidenza.

Il sistema full floater come lo conoscevo io ha parecchi pregi, ma non sposta affatto l’ammortizzatore lontano dal motore. Dovevo assolutamente capire, perciò ho gugolato a fondo, ho scoperto parecchie cosette interessanti e ho deciso di farne quest’articolo. Buon divertimento.

Un po’ di storia

A partire dagli anni ’70 i costruttori di moto da cross si trovarono ad affrontare il problema di come rendere meno drammatici gli atterraggi dopo salti che, con il crescere delle potenze, stavano diventando tanto alti da sfasciare i telai – e anche i piloti. Era indispensabile innanzitutto aumentare l’escursione della ruota. La mossa più semplice sarebbe stata quella di adottare ammortizzatori più grandi e di irrobustire il telaio, ma l’aumento di peso sarebbe stato insostenibile.

Una soluzione venne dal sistema Yamaha Monocross, introdotto nel 1973, dove il forcellone era dotato di una grossa capriata superiore, cui era fissato un mono quasi orizzontale ancorato molto in avanti al trave superiore del telaio. Questo schema consentì di aumentare di parecchio l’escursione della sospensione posteriore a parità di corsa dell’ammortizzatore e di eliminare le sollecitazioni lungo buona parte del telaio, a vantaggio della leggerezza.

Sospensione Monocross della Yamaha YZ250 1980

Con l’ulteriore progresso delle prestazioni però divenne evidente la necessità di adottare cinematismi che consentissero di accrescere progressivamente e notevolmente la rigidità della sospensione all’aumentare della compressione. In questo modo sarebbe stato possibile ottenere moto che copiavano bene le sconnessioni, ma allo stesso tempo sopportavano bene gli atterraggi, trasmettendo le relative sollecitazioni al telaio in modo progressivamente crescente e non tutte in un colpo quando il mono andava a pacco. Fu così che, a cavallo del 1980, tutte le case impegnate nel cross si dotarono di sistemi progressivi, che presto vennero adottati anche sulle moto stradali. In particolare, divennero piuttosto noti, perché utilizzati come leva commerciale, i sistemi sviluppati dalle case giapponesi: lo Honda Pro-link, il Kawasaki Uni-trak, lo Yamaha Monoshock e il Suzuki Full Floater.

Il Full Floater Richardson-Suzuki

Il Full Floater è associato a Suzuki, ma questa in realtà aveva soffiato l’idea – se qualche lettore anglofono si vuole avventurare nella lettura del caso giudiziario, ecco il link – ad un appassionato motociclista americano, Don Richardson, che lo aveva progettato, realizzato e applicato alla propria moto da cross, per poi brevettarlo nel 1974, all’età di diciannove anni.

Suzuki, che da un po’ stava tentando di realizzare una sospensione del genere, aveva firmato con Richardson nel 1978 un’esclusiva per studiare il suo sistema e applicarlo alla produzione di serie nel caso si rivelasse fattibile. Il giovane quindi condivise tutte le informazioni che aveva e fornì anche diversi prototipi. Nel dicembre 1979 Suzuki comunicò la propria rinuncia, ma in realtà i suoi tecnici e collaudatori erano entusiasti, tanto è vero che depositò nell’ottobre del 1980 in Giappone un brevetto per uno schema praticamente uguale e cominciò a vendere modelli con questa sospensione nel 1981.

Richardson fece causa alla Casa Madre e alla sua sussidiaria negli USA e nel marzo 1987 la vinse, aggiudicandosi in primo grado il pagamento dei danni e una royalty di 50 centesimi di dollaro su ogni moto venduta negli USA, per violazione del brevetto, e di ben 12 dollari su ogni moto venduta nel mondo, per il furto di alcuni segreti commerciali non brevettabili per la realizzazione pratica del sistema. Considerando che Suzuki fino alla sentenza aveva venduto circa 1,5 milioni di moto con sospensione full floater, stiamo parlando di un ordine di grandezza sui 19 milioni di dollari.

A seguito dell’inevitabile ricorso in appello, Richardson ottenne ancora di più, anche se firmò un accordo con Suzuki per non rivelare la cifra finale. Forse non è solo per questioni tecniche che i giapponesi abbandonarono questo sistema alla fine degli anni ’80.

Da quest’articolo del Los Angeles Times, pubblicato dopo la sentenza, emerge inoltre che Richardson aveva già incassato denaro con accordi privati da Kawasaki e Yamaha, che pure avevano copiato in qualche misura il suo brevetto per i propri sistemi di sospensione progressiva. Sembra quindi che una bella fetta della corsa alla sospensione più efficiente a cavallo tra gli anni ’70 e ’80 sia dovuta al genio di un giovane californiano.

Lo schema Full Floater è basato su un normale forcellone bibraccio, collegato mediante due bielle alla parte posteriore di un bilanciere superiore, a sua volta infulcrato al telaio su un asse trasversale posto a metà della propria lunghezza. Il tutto quindi costituisce un quadrilatero deformabile. Il mono è ancorato al forcellone e all’estremità anteriore del bilanciere. Quando il forcellone si solleva, comprime la base del mono e solleva il bilanciere, la cui parte anteriore si abbassa, comprimendo a sua volta la testa del mono. La mancanza di qualsiasi collegamento tra il mono e il telaio rende questa sospensione completamente flottante, che appunto è il significato di “full floater”.

Sospensione Full Floater della Suzuki RM125 1981

Questo schema rende la sospensione progressiva e offre il vantaggio aggiuntivo che il telaio non è sollecitato direttamente dal mono, perché le forze gli vengono trasmesse attraverso il bilanciere, rendendo la marcia più confortevole.

Il Pro-Link Kawasaki

I vantaggi del sistema full floater erano evidenti, per cui anche altri costruttori si avventurarono in sistemi del genere. Il primo, già nel 1979, era stato Kawasaki con il sistema Uni-Trak. In realtà il nome indica una serie di sistemi full floater diversi. Il primo di essi è comunque una variazione dello schema Richardson, in quanto mantiene il bilanciere superiore, collegato al forcellone da una sola biella centrale, mentre il mono poggia non sul forcellone, bensì su un braccio inferiore parallelo ad esso e ancorato al telaio e al mozzo della ruota. Già solo a guardarlo, si capisce perché Richardson ottenne un accordo economico extragiudiziale anche con questa Casa.

Il primo sistema Kawasaki Uni-Trak

Lo Unit Pro-Link Honda

Honda aveva seguito una strada un po’ diversa dagli altri costruttori. Infatti, il suo sistema Pro-Link perseguiva sì la progressività dell’assorbimento, ma mirava anche a ridurre la lunghezza del mono, per aumentare la compattezza del sistema.

Lo schema Pro-Link originario non era un full floater, in quanto il mono era collegato superiormente al telaio. In basso invece esso era infulcrato alla parte anteriore di un elemento triangolare, a sua volta collegato posteriormente al forcellone e inferiormente, mediante una bielletta orizzontale, al telaio.

Il sistema Honda Pro-Link

Per inciso, questo sistema è usato tale e quale da diversi altri costruttori, tra cui BMW – sulla sua serie K frontemarcia – e Triumph.

Il successivo sistema Unit Pro-Link, tuttora in uso, è invece un full floater. Sviluppato sulla RC211V, questo schema fu trasferito alla produzione di serie sulla CBR600 del 2003. In pratica si tratta di un Pro-Link classico, con l’unica differenza che il mono è ancorato al forcellone e non più al telaio.

Il Full Floater Pro BMW

Come abbiano visto sopra, nella sospensione Full Floater Richardson il mono si trova nella posizione avanzata classica dei sistemi progressivi. Invece, nello schema BMW Full Floater Pro una biella laterale posta subito accanto al mono connette diagonalmente il forcellone alla parte anteriore del bilanciere, che quindi funziona al contrario ripetto allo schema tradizionale. Il mono di conseguenza è collegato alla parte posteriore del bilanciere, perciò può essere arretrato di una quota pari alla lunghezza dello stesso, ben lontano dal calore del motore.

Sospensione BMW Full Floater Pro.

L’ennesimo capolavoro della meccanica tedesca? Macchè. Gli ingegneri crucchi hanno ripreso lo schema funzionale della sospensione Ducati Soft Damp, usata negli anni ’80 e ’90 su parecchi modelli della Casa di Borgo Panigale – dalla Paso alla serie 916-996-998 – e sulle Cagiva equipaggiate con gli stessi motori. Con questa soluzione, Ducati risolse brillantemente il problema di realizzare una sospensione progressiva nel risicato spazio disponibile tra lo scarico del cilindro posteriore e la ruota.

Sospensione Soft Damp della Ducati 996

Quindi, un applauso a BMW per aver avuto la fantasia di ripescare dalla storia uno schema che ha effettivamente risolto il suo problema, ma per quanto riguarda il suffisso “Pro”, può restare tranquillamente nel cassetto della fuffa.

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Prova Kawasaki ZRX1200R Lawson Replica

Di Claudio Cartia

Io mi arrendo subito.

Lo dico all’inizio di questo articolo, così evitiamo malintesi e incomprensioni dopo, mentre lo leggete.
Non sono Claudio Wotan Angeletti e quindi non ho l’autorevolezza per spiegarvi la curva di erogazione del motore di questa moto qua, o del perché è stato scelto un acciaio così anziché uno cosà per forgiare le bielle.
Non sono nemmeno Enzo Glock Trapella, che potrebbe spiegarvi quanti click dare al freno in estensione al posteriore a seconda della traiettoria che preferite tenere sulla strada che sale a Vallepietra.
E non sono neppure Emiliano Lobo Loco Luchetti, che senza dubbio avrebbe gioco facile nel correlare questa necessità di elevate cubature con la carenza di adeguate dotazioni anatomiche.
No, non sono capace di tutto ciò e anche se lo fossi sarebbe inutile, perché il problema è a monte. Se infatti cercassi di ricondurre questa moto a un insieme ragionato di tabelle, specifiche e misurazioni, alla sensibilità ciclistica alle regolazioni e alle geometrie, o anche solo alla razionalità dei pro e contro del mezzo… beh, tanto varrebbe ammettere fin da ora che questa moto fa schifo.

E invece non solo non fa schifo, ma è tutto il contrario, è una figata! Come è possibile?!

Ma andiamo con ordine, eh.

Intanto stiamo parlando di questa roba qua, guardate che bella:
KawasakiZRX1200REddieLawsonReplica. Tuttoattaccato.

Per chi vuole un minimo di dettagli, trattasi di Kawasaki ZRX 1200R del 2003. Gli strateghi del Sol Levante l’hanno chiamata Eddie Lawson Replica perché assomiglia alla moto con cui Steady Eddie vinse un po’ di titoli nel campionato AMA nei primi anni 80, probabilmente nella speranza che qualcuno la comprasse pensando di trovarsi tra le mani una race-replica pronto pista.
Che sagome, alla Kawasaki!

Un pitone. Per me è semplicemente Morelia. Si chiama così perché così la chiamava il precedente proprietario e -mi hanno spiegato- alle moto come alle barche il nome non si cambia, sennò porta sfiga. Oltretutto a me Morelia piace, ho sempre pensato fosse un riferimento a qualche pornostar degli anni 80, salvo poi scoprire che ha a che fare con il Morelia Viridis, ovvero questo pitone in foto. La somiglianza con la moto è effettivamente pazzesca e comunque pitoni e pornostar non sono concetti così distanti quindi possiamo dire che ci avevo quasi preso.

Dicevamo.

La ZRX-R è una moto vera, come molti amano sottolineare. Immagino sia perché ha pochissima elettronica e molto poco a che fare con la modernità. Quelli che parlano delle moto vere  solitamente sostengono anche con nostalgia che i pomodori non hanno più il sapore di una volta e che ai loro tempi si giocava all’aperto con cose semplici. Sospetto che siano gli stessi che da ragazzini si guardavano bene dal mangiare pomodori e passavano il tempo crocifiggendo lucertole, perché se tanto mi da tanto il loro concetto di “moto vera” si traduce più o meno in “catafalco ignorante ai limiti dell’inguidabile”.

Ecco vedi? Sembra di nuovo che sia un cesso di moto. No no no, niente di più sbagliato.
Uff, riproviamo.

La ZRX è sicuramente una “moto vera”, intanto perché ha tutte le cose dove te le aspetti. Un bel serbatoione di metallo al centro, un motore gigantesco con tutto in mostra, una bella batteria da quattro carburatori (!) assetati di benzina, il rubinetto della riserva (!!), una strumentazione essenziale e persino una sella bella grossa comoda pacioccona con le finte cuciture che fanno molto eighties. Ci sono addirittura ben due capienti vani sottosella, roba che non si vede su una moto da anni, pensavo li avessero vietati per legge.

C’è poi una lunga lista di cose che non ci sono, esattamente quelle che fanno storcere il naso ai nostri amici torturatori di lucertole: niente ABS o controllo di trazione (ah-ah), niente strumenti digitali, immobilizer o luci a LED. Figurarsi che non c’è nemmeno l’orologio. La centralina di questa moto è grande meno di un pacchetto di sigarette, tanto per rendere l’idea.

Ma tanto che importa? Ci salite sopra, cercate per un attimo di non far caso al fatto che sembri pesare 350kg, mettete in moto e partite… e tutto il resto non conta più.

Brum! Bruuuuumm!!Perché la verità è che questa moto è maledettamente divertente!
Non vi fate ingannare dalla sua paciosità e dalla facilità con cui si fa portare a spasso nell’uso normale. Basta superare i 6000 giri per entrare in un meraviglioso mondo fatto di emozioni forti e cattiveria repressa. Vi sentirete come il camionista di The Duel, vi ritroverete a sgasare a ogni occasione, vi sembrerà perfettamente normale fantasticare su scippi in monoruota fuori dagli uffici postali.

Siccome mi sto già esaltando e rischio di perdere nuovamente il filo, facciamo che cerco di fare il bravo tester e procediamo per argomenti.

Motore

Spettacolo. Godimento puro. Il motorone della Rex spinge come un dannato in basso e ai medi regimi, non ci vuole chissà che impegno per trovarsi con la ruota anteriore per aria o con il posteriore che pattina in partenza. Con circa 120 cavalli non infrange nessun record in termini di potenza assoluta, ma sono tutti a portata di mano e scaricabili a terra in ogni momento, con grande soddisfazione oltretutto.
Un motore così elastico è buono anche per andare a spasso, con tutta quella coppia e sole 5 marce vi dimenticherete presto del cambio e potrete godervi il panorama ad andature turistiche e con consumi tutto sommato umani.
Ma ci sarà quella vocina, quella necessità di fondo, che vi accompagnerà sempre e che, prima o poi, vi porterà a spalancare di nuovo il gas e a sorridere inconsciamente sotto il casco.
Rassegnatevi.

Ciclistica

Se siete abituati a quelle moto in cui basta pensare la traiettoria per torvarcisi magicamente dentro, scordatevelo. Qua bisogna pedalare come su un pedalò nella tempesta! La Rex va guidata con le braccia, i piedi, le gambe, tutto il corpo. Controsterzo, pedane, ginocchia piantate nel serbatoio, nulla è superfluo quando si tratta di tirare in piega la verdona e tenerla lì dove si vuole, soprattutto quando il ritmo sale. E salirà, statene certi.
Difficile vincere trofei sul misto stretto e altrettanto difficile ottenere rigore dall’avantreno quando si fa sul serio, ma ciò che si perde in precisione e agilità di guida lo si guadagna, moltiplicato per cento, in gusto di guida e nella netta sensazione di essere un abile domatore di leoni incazzosi.
Il fatto che si trovi a suo agio anche ad andature turistiche non ne fa certo una moto da viaggio ideale. Sì, è comoda anche in due, ma la protezione aerodinamica non esiste, l’autonomia non è granché e la verità è che se prendete una moto del genere per fare il giro d’Europa siete dei masochisti, inutile argomentare oltre.

Freni

A dispetto delle promesse di una coppia di disconi con pinze a sei pistoncini all’anteriore, la potenza in frenata è buona ma non è esaltante soprattutto se gli tirate il collo e se lo fate per lungi tratti. La forcella tendenzialmente morbida non aiuta. Il freno dietro invece si blocca fin troppo facilmente, ma immagino che per i puristi delle “moto vere” sia un pregio.

Cambio e frizione

GRRRR!La frizione -stranamente idraulica- fa il suo dovere, il cambio invece fa cagare. Davvero, non capirò mai perché non siano riusciti a metterci un cambio decente, circostanza verificata anche su altri esemplari. Forse ha a che fare con quel discorso della moto maschia: se non prendi una sfollata nei cambi più veloci e non fa uno STUNK da far girare tutti al semaforo inserendo la prima, allora non è da veri uomini. Vai a sapere.

Consumi

Ah ah ah ah! No, dài, seriamente.

Voto finale

Tre erezioni e un mal di testa.

(ed è più semplice da mantenere di un pitone. O di una pornostar.)

Prova Kawasaki Z1000SX 2011

MOLTO SPORT, POCO TOURER

Aspetto generale

Kawasaki propone questa moto come versione più adatta al turismo della Z1000, ma è evidente che il cliente tipo che ha in mente non è il BMWista di lungo corso, ma piuttosto lo smanettone in cerca di maggior praticità, sensazione resa particolarmente evidente dal design moderno e molto aggressivo e in particolare dal codino minimalista, privo di portapacchi e con una sella del passeggero abbastanza ridotta.

Le finiture sono molto buone, ma comunque adeguate al prezzo, non propriamente economico, l’unico appunto è qualche scricchiolio proveniente dalle parti in plastica.

Imponenti e molto Kawasaki i due doppi scarichi squadrati, che personalmente trovo non belli.

Comandi elettrici

I blocchetti elettrici sono senza fronzoli, ma ben fatti e del tutto standard nei comandi.

E’ presente il comando dell’hazard.

I tasti sono azionabili facilmente con i guanti pesanti.

Strumentazione

La strumentazione, dal disegno essenziale e piacevole, ha a sinistra il classico contagiri analogico a lancetta e a destra un display lcd che mostra in caratteri digitali la velocità, il chilometraggio parziale o totale, l’ora e, mediante barrette, il livello del carburante.

La leggibilità è buona, peccato che manchi l’indicatore della marcia inserita, che per le caratteristiche del cambio sarebbe stato utilissimo.

Illuminazione

Il test si è svolto di giorno, quindi non posso dire nulla sull’efficacia dell’impianto, se non che il faro anteriore è doppio e il fanalino è a led.

In sella

Kawasaki Z1000SXLa sella è relativamente dura, stretta anteriormente, ma piuttosto larga e piatta dietro. Non è comoda come sembrerebbe a prima vista, perché sedendocisi sopra si sente una specie di nervatura che la attraversa trasversalmente, tanto che sembra un po’ di stare in bilico tra i due posti di una sella monopezzo.

Il manubrio è relativamente alto e largo, con pedane moderatamente arretrate e rialzate, e l’insieme consente una posizione piuttosto naturale, non sportiva, ma nemmeno troppo turistica, molto adatta al tipo di moto.

Gli specchi, di derivazione supersport, sono montati su due bracci incernierati sul cupolino, sono regolabili a piacere e offrono una visuale abbastanza ampia e senza vibrazioni né oscillazioni.

Passeggero

La sella del passeggero è piuttosto stretta, poco imbottita (ma migliore che su una supersport) e un po’ rialzata rispetto a quella del pilota. Dispone di due ampie e belle maniglie in metallo e le pedane sono collocate in posizione abbastanza comoda.

Non ho provato la moto in coppia, ma viste le caratteristiche del cupolino, penso che il passeggero non goda di alcuna protezione aerodinamica, o quasi.

Capacità di carico

La moto può essere equipaggiata a richiesta con motovaligie da 35 litri ciascuna (e in tal caso si ottiene in pratica la versione Z1000SX Tourer) oppure con un topcase da 39 litri; la Casa infatti non consente il montaggio dei tre pezzi contemporaneamente, immagino per evitare il rischio che l’assetto venga troppo sbilanciato. Inoltre l’integrazione pratica ed estetica lascia a desiderare; in particolare, il topcase è francamente scoordinato rispetto alla linea della moto, mentre le motovaligie sono piacevoli, ma una volta smontate laciano in vista i classici telai delle valigie aftermarket, piuttosto brutti da vedere.

A questo punto, tanto vale lasciar perdere gli optional della Casa – e quindi anche la versione Tourer – e acquistare separatamente il kit Givi dedicato, che consente il montaggio contemporaneo dei tre pezzi, con motovaligie identiche a quelle marchiate Kawasaki (che in realtà sono delle Givi Monokey Side V35) e un topcase più gradevole e da 49 litri.

Manovre da fermo

La SX è piuttosto leggera per le sue caratteristiche (228 kg in ordine di marcia, tre in più se la si acquista con l’ABS), la sella non è bassissima (82 cm), ma è rastremata anteriormente, per cui il controllo da fermo è meno difficoltoso di quanto potrebbe apparire dal nudo dato, grazie anche al manubrio relativamente alto e largo, che offre una buona leva.

Il cavalletto laterale è pratico e stabile.

Il cavalletto centrale non è previsto, purtroppo, il che è un limite per una moto che ha ambizioni di turismo.

Motore

Il quattro cilindri in linea da 1043 cm3 offre 138 CV a 9.600 giri, ben 11,2 kgm a 7.800 giri ed è uno dei migliori quattro cilindri in linea nell’attuale panorama motociclistico.

Potente, pronto nel salire di giri, regolarissimo anche ai bassi regimi e soprattutto ricco di coppia sempre, spara la moto fuori dalle curve come un bicilindrico e allo stesso tempo consente un allungo possente fino alla linea rossa a 11.000 giri, e in più vibra anche in modo non eccessivo. Aggiungiamo anche il fatto che il suono emesso dai quattro scarichi è piacevole e mai invadente, che l’apri-chiudi non pone particolari problemi e che non si sente alcun rumore di aspirazione e il quadro che ne esce fuori è davvero lusinghiero.

Il campo di utilizzo va da 2.000 a 11.000 giri e la rapportatura corta consente di circolare in sesta praticamente sempre, potendo contare su una ripresa eccellente in qualsiasi momento.

Trasmissione

Il cambio è abbastanza silenzioso, preciso e ben manovrabile, con una corsa abbastanza corta, ma tende a fare un po’ troppo scalino nella guida rilassata.

Le marce sono piuttosto ravvicinate e abbastanza corte (nonostante siano state leggermente allungate rispetto alla Z1000), con una sesta da circa 23 km/h per 1.000 giri, tale da far girare il motore a circa 5600 giri a 130 km/h.

La trasmissione finale è a catena.

La frizione è morbida e ben modulabile.

Sospensioni

Le sospensioni nel settaggio standard risultano abbastanza rigide, cosa che dona alla moto una stabilità irreprensibile in velocità, ma crea qualche sobbalzo di troppo nella guida cittadina.

Sia la forcella, a steli rovesciati da 41 mm, che il mono offrono la regolazione del precarico e quella dell’idraulica. Se acquistassi questa moto, mi metterei subito a smanettare per ottenere un assetto un po’ più morbido, perché preferisco le sospensioni che copiano bene le asperità (specie in curva) alle “tavole da stiro”.

Freni

I freni sono costituiti da due dischi anteriori a margherita da 300 mm serviti da pinze radiali a 4 pistoncini contrapposti, e da un disco posteriore pure a margherita da 200 mm azionato da una pinza a pistoncino singolo – senza dubbio sottodimensionato su una moto che ha velleità di turismo in coppia (basti pensare che sulla Z750 il disco è da 250 mm!)..

La frenata che ne risulta è potente e ben modulabile, con il plus di una stabilità irreprensibile, dovuta alla fermezza della forcella e probabilmente anche alla corsa relativamente lunga delle sospensioni.

Non ho provato la moto in coppia, quindi non so dire nulla sull’efficacia del freno posteriore sotto carico, ma ho forti perplessità derivanti, come detto, dal suo ridotto diametro.

L’ABS è disponibile solo a richiesta, il che, visto il prezzo, è davvero un peccato.

Comportamento alla guida

La Z1000 SX è senza dubbio molto efficace, grazie alla generosa e sempre disponibile cavalleria, all’assetto tendenzialmente rigido, alle quote ciclistiche evidentemente azzeccate e alla posizione di guida moderatamente sportiva, ma che consente un ottimo controllo dell’avantreno.

In particolare, risulta azzeccato il compromesso tra maneggevolezza, non eccelsa, ma comunque tale da consentire una guida piuttosto spigliata, e stabilità, ottima alle alte velocità.

La moto è piacevole e immediata da guidare anche in mezzo al traffico cittadino.

Comfort

Il confort, che dovrebbe essere la principale ragion d’essere di questa moto, è invece il suo unico aspetto criticabile.

La triangolazione sella-pedane-manubrio è senz’altro ben fatta, ma la sella abbastanza rigida e dall’imbottitura non regolare e il molleggio sportivo non fanno gridare al miracolo.

La situazione è resa ancora meno rosea dall’aerodinamica, perché la carena alleggerisce sì la pressione del vento in velocità e protegge il busto, ma lascia completamente scoperte la testa e le mani e anche buona parte delle gambe. Il trasparente in particolare, regolabile manualmente in altezza su tre posizioni in modo abbastanza pratico, ha una forma piuttosto infelice, convessa e tale da creare una lama d’aria che colpisce il conducente sul torace o sul collo, secondo la statura e la regolazione adottata.

Mi aspettavo di meglio e, a dirla tutta, non ho trovato una valida ragione per preferire la SX alla Z1000 naked.

Consumi

Non rilevati. Il serbatoio ha una buona capienza, 19 litri.

Pregi

  • Motore potente e ricco di coppia a qualsiasi regime
  • Posizione di guida azzeccata e che offre un ottimo controllo
  • Stabilità sul veloce

Difetti

  • ABS non di serie
  • Prezzo elevato
  • Sospensioni rigide sullo sconnesso
  • Protezione aerodinamica poco efficace

Si ringrazia la Concessionaria “AB Moto” per averci messo a disposizione la moto per la prova.

Prova Kawasaki Z750R 2011

UN BEL GIOCATTOLO

Aspetto generale

La moto è una versione migliorata della Z750, uno dei best-seller del mercato, alla quale sono state apportate parecchie modifiche, poco appariscenti, ma di sostanza al telaio (riprogettato nella parte anteriore), ai freni (ora con pinze radiali a 4 pistoncini contrapposti, come sulla Z1000, e con tubi in treccia metallica), all’estetica e soprattutto al comparto sospensioni. Per quanto riguarda queste ultime in particolare, anteriormente è stata adottata una forcella rovesciata da 41 mm regolabile nel precarico e nel ritorno idraulico su entrambi gli steli, e a anche dietro è stato cambiato tutto: nuovo forcellone in alluminio, nuovo monoammortizzatore con serbatoio separato, nuovo leveraggio progressivo Uni-Trak con biellette più lunghe.

La cura costruttiva complessiva risulta quindi nettamente migliore di quella, già buona, della Z750 base.

Comandi elettrici

I blocchetti elettrici sono senza fronzoli, ma ben fatti e del tutto standard nei comandi.

E’ presente il comando dell’hazard.

I tasti sono azionabili facilmente con i guanti pesanti.

Strumentazione

La strumentazione, dal disegno sportivo e piacevole, è composta dal classico contagiri analogico a lancetta, contornato da una bella ghiera circolare satinata, e da un display lcd rettangolare che in parte sconfina nel contagiri, movimentando l’estetica e separando l’indicatore del carburante a barre (all’interno del cerchio del contagiri) dagli altri dati in caratteri digitali: velocità, ora, temperatura dell’acqua, chilometraggio parziale o totale e altre informazioni selezionabili, che non ho sentito la necessità di visualizzare.

La leggibilità è buona, grazie ai caratteri abbastanza grandi e alla scelta di mostrare solo poche informazioni alla volta.

Illuminazione

Il test si è svolto di giorno, quindi non posso dire nulla sull’efficacia dell’impianto, se non che il faro anteriore è doppio e il fanalino è a led.

In sella

La sella è relativamente dura e non è comoda, perché l’imbottitura non è omogenea. Inoltre l’infelice forma della sella del passeggero, appuntita anteriormente, toglie al pilota ogni voglia di guidare in posizione arretrata.

A parte questo, la posizione di guida è molto azzeccata, con manubrio relativamente alto e non molto largo e pedane moderatamente arretrate e rialzate, adatta al genere di moto.

Gli specchi fanno dignitosamente il loro dovere.

Passeggero

La sella del passeggero sacrifica completamente la propria funzionalità in favore del design; oltre ad avere il profilo anteriore appuntito e scomodo per il pilota, come detto sopra, è stretta, poco imbottita e per giunta dotata di uno spigolo che la attraversa longitudinalmente.

Le pedane sono relativamente alte, anche se non proprio da fachiro.

Insomma, per fare il passeggero su una Z750R ci vuole molto amore per chi la guida.

Manovre da fermo

La Z750R non è leggerissima per essere una 750 (224 kg, 227 per la versione con ABS) e la sella è un po’ alta per una naked (82,5 cm), per cui il controllo da fermo non è facile per chi è basso, mentre per tutti gli altri non ci sono difficoltà particolari.

Il cavalletto laterale è abbastanza pratico e stabile.

Il cavalletto centrale non è previsto.

Motore

Il quattro cilindri in linea da 748 cm3 offre 106 CV a 10.500 giri (un valore interessante) e 8 kgm a 8.300 giri.

Gira rotondo e omogeneo a qualsiasi regime e vibra il giusto per un 4 cilindri in linea (cioè poco), ma è un po’ fiacco sotto i 7.000 giri, complice la rapportatura abbastanza lunga, cosa che semplifica senza dubbio la guida sul bagnato, ma può creare più di un imbarazzo quando ci si vuole disimpegnare rapidamente da una situzione di pericolo. Al contrario, agli alti regimi tira fuori tutta la grinta che serve e sfoggia un allungo notevole, fino alla linea rossa situata a 12.000 giri.

Trasmissione

Kawasaki Z750RIl cambio è abbastanza silenzioso, preciso e ben manovrabile, con una corsa abbastanza corta, ma tende a fare un po’ troppo scalino nella guida tranquilla.

Le marce sono abbastanza ravvicinate, ma la rapportatura è un po’ lunga (quasi uguale a quella della Z1000SX che dispone di ben altro motore), con una sesta da poco più di 22 km/h per 1.000 giri, per un regime di circa 5.800 giri a 130 km/h. Ciò mortifica un po’ le doti del motore, accentuando la sua carenza di coppia ai bassi e medi regimi, e costringe ad un frequente uso del cambio.

La trasmissione finale è a catena.

La frizione è morbida e ben modulabile.

Sospensioni

Le sospensioni sono molto scorrevoli ed efficaci e, stranamente, nel settaggio standard assorbono le asperità sensibilmente meglio di quelle della S1000SX, che pure dovrebbero essere molto simili, cosa che emerge con evidenza nella guida cittadina. Ciò nonostante, la moto ha un assetto particolarmente efficace anche in velocità, allorché le masse sospese sono tenute egregiamente a bada, grazie alla progressività del molleggio.

Molto efficace anche la forcella, ben frenata quando serve.

Freni

La moto provata era priva di ABS.

I freni sono costituiti da due dischi anteriori a margherita da 300 mm serviti da pinze radiali a 4 pistoncini contrapposti, e da un disco posteriore pure a margherita da 250 mm azionato da una pinza a pistoncino singolo.

La frenata che ne risulta è piuttosto potente e molto ben modulabile, specie all’anteriore.

Comportamento alla guida

La Z750R non è un fuscello e anche le sue quote ciclistiche (e il manubrio non molto largo) la rendono non particolarmente maneggevole rispetto alla concorrenza, ma se proprio devo essere sincero, la sua stabilità mi piace, infonde una piacevole sensazione di solidità e di sicurezza in tutte le condizioni, senza togliere molto al divertimento nel misto. E mi piace anche la facilità con cui la moto gestisce le sconnessioni in curva, senza quasi scomporsi. Di sicuro è una moto divertente e piuttosto facile, con la quale è possibile togliersi parecchie soddisfazioni.

Comfort

Il confort non è malvagio. La pressione del vento, mitigata dalla forma della carenatura del faro, non è eccessiva e consente di viaggiare fino a 130 km/h senza particolare sforzo, la posizione di guida è buona e il molleggio è ancora meglio. Unico vero neo, la sella, che io cambierei subito con qualcosa di meglio imbottito.

Consumi

Non rilevati. Il serbatoio ha un’ottima capienza per una naked, 19 litri.

Pregi

  • Moto ben fatta
  • Frenata potente e ben modulabile
  • Stabilità irreprensibile
  • Molleggio che realizza un eccellente compromesso tra confort e guida

Difetti

  • ABS non di serie
  • Selle pilota e passeggero scomode
  • Motore un po’ fiacco sotto i 7.000 giri

Si ringrazia la Concessionaria “AB Moto” per averci messo a disposizione la moto per la prova.